Pubblichiamo due articoli in ricordo di Gino Strada, prematuramente scomparso ieri 13 agosto. Il primo del sindacalista e giornalista Dino Greco e l’altro del direttore di Africa-Express, Massimo Alberizzi.
PER GINO STRADA
(Dino Greco)
Eravamo nei primi anni novanta quando la Valsella Meccanotecnica di Castenedolo (Bs), controllata dalla Fiat, era leader nazionale nella produzione di mine anti-uomo, vendute all’Iraq in 9 milioni di esemplari. Vi lavoravano un pugno di ingegneri, pagati a peso d’oro, e 40 operaie, addette allo stampaggio, per 800 mila lire al mese. In assemblea ponemmo in tutta la sua gravità il problema della corresponsabilità anche di chi lavorava alla costruzione di quegli ordigni di morte. La prima risposta fu: “Noi non abbiamo le mani sporche di sangue; se non facciamo noi le mine le farà qualcun altro”. Allora organizziamo un incontro in Camera del lavoro con Gino Strada al quale partecipò l’intero consiglio di fabbrica. La riunione fu introdotta da un documentario che Gino aveva portato con sé sui tragici e indiscriminati effetti delle mine, soprattutto sulla popolazione civile sui bambini, con mutilazioni permanenti, provocati da ordigni in qualche caso fatti a forma di bambole affinché suscitassero l’interesse dei più piccoli. Lo shoch fu potente ed innescò nelle lavoratrici una catarsi, una presa di coscienza che avviò una delle più straordinarie battaglie sindacali e di civiltà che io ricordi. A quel primo incontro con Gino Strada ne seguirono altri, mentre maturata la decisione di chiedere l’interruzione della produzione delle mine e l’avvio di un processo di riconversione. Ma la Valsella non aveva alcuna intenzione di rinunciare ad una produzione lucrativa come nessun’altra. Cominciarono gli scioperi, via via più intensi, fino a trasformarsi in un blocco a oltranza dell’attività. Il prezzo era altissimo. Dopo mesi di lotta le operaie e le loro famiglie vivevano a credito. La lotta non aveva contenuti salariali o normativi. Era il grido di donne che dicevano all’azienda dove si fabbrica la morte: “Noi non saremo complici”. Quelle operaie vinsero, perché la moratoria nella produzione di quegli ordigni infami ne bloccò la produzione. A quel punto si fece avanti un’azienda, la
Vehicle Engineering&Design, che si candidò a rilevare l’impresa per produrre motori elettrici per automobili: indubbiamente un bel salto, dalle mine a motorizzazioni ecologiche. Ma la nuova azienda pose una condizione: potere vendere alla Spagna il brevetto dell’Istrice, un dispositivo per il disseminamento delle mine dall’alto, senza mappatura, con le conseguenze che ciascuno può immaginare. L’azienda promise che il denaro incassato sarebbe servito anche per saldare alle lavoratrici le mensilità arretrate. In assemblea intervenne la compagna più anziana, componente del consiglio di fabbrica e disse queste parole: “ragazze, in questi mesi abbiamo fatto tanta strada insieme e siamo cambiate. So che è dura, ma non possiamo tornare indietro. Quindi, nessuna macchia. Se la nuova azienda vuole subentrare, nessuna condizione. Le operaie approvano, tutte, con un grande applauso. A sera scrivemmo alla Engineering comunicando le decisioni assunte di comune accordo fra sindacato e lavoratrici. Per uno di quei rari casi che talvolta capitano, l’azienda rispose che rinunciava alla propria richiesta. Segui’ una grande manifestazione, in realtà una festa. I brevetti furono restituiti amministro della difesa e gli stampi delle mine bruciati in piazza.
Sono certo che distanza di oltre vent’anni tutte le operaie ricordino questa vicenda come uno dei momenti più importanti delle loro vite e che il ricordo di colui che tanta importanza ebbe nella loro maturazione non è mai venuto meno.
Ben fatto, caro vecchio Gino.
La terra ti sia lieve.
Ruanda genocidio 1994:
Gino Strada era lì per dare una vita ai martoriati dalle mine
All’età di 73 anni è morto improvvisamente ieri mattina Gino Strada,
il medico filantropo fondatore e soprattutto animatore di Emergency.
Stava bene ma soffriva di cuore.
di Massimo A. Alberizzi
Ecco il link all’articolo apparso su Africa-Express
Ho incontrato Strada la prima volta nell’agosto 1994. Eravamo in Ruanda, a Kigali la capitale. Il genocidio non era ancora finito e lui aveva appena aperto un ospedale per curare i feriti. Soprattutto giovani cui le mine antiuomo avevano sbranato le gambe. Era la prima missione di Emergency, organizzazione che aveva appena fondato. Kigali era devastata e le strade erano punteggiate dai cadaveri. La puzza della loro putrefazione pungeva inesorabilmente le narici. Appena entrato nell’hôtel Mille Collines (quello immortalato nel film Hotel Ruanda) ero rimasto sconvolto dalla presenza di tre corpi senza vita che galleggiavano sull’acqua della piscina.
Bande armate circolavano ancora per le strade della capitale e conveniva muoversi con una scorta armata. Il pericolo era costante e si percepiva ovunque Reso ancora più evidente per la mancanza di cibo. Era difficile trovare da mangiare. I negozi erano stati sfigurati e saccheggiati. Nello studio di Gino (studio è una parola grossa) all’ospedale, però campeggiava un casco di banane che serviva da pranzo, colazione e cena per lui, per i suoi 4 collaboratori arrivati dall’Italia, che per altro a Kigali non aveva ambasciata, e per me che, insalutato ospite, trovavo ogni giorno una gentile accoglienza. Indefesso il medico filantropo operava in continuazione era sempre lì, al tavolo operatorio con gli strumenti in mano.
Questo era il contesto nel quale si era trovato immerso, passando in poche ore dalla sua Milano, all’inferno di un genocidio “insensato”, come l’aveva giustamente definito lui.
Subito dopo quell’incontro abbiamo partecipato assieme a diverse puntate del Maurizio Costanzo show, denunciando le storture delle guerre e le giustificazioni ignobili che venivano date dal potere di qualunque genere. Poi l’ho sempre incontrato in contesti terribili, come la guerra tra Eritrea ed Etiopia del 2000.
Ci eravamo incrociati all’aeroporto di Francoforte, viaggiato assieme verso Asmara e l’avevo presentato alla mia collega del Los Angeles Times, Ann Simmons, che affascinata dai suoi racconti, aveva voluto rivederlo. L’avevamo intervistato assieme all’ospedale della capitale eritrea dove i feriti arrivavano a carrettate dal fronte.
Gino li curava ma non avrebbe dovuto parlare con i giornalisti e soprattutto negare le evidenze sotto i suoi occhi: che cioè, a giudicare dall’ingombrante ed esagerato numero di feriti, il regime dittatoriale di Asmara stava perdendo la guerra. La sua bellicosa propaganda invece sosteneva il contrario.
L’articolo di Ann con l’intervista a Gino Strada, pubblicato sul Los Angeles Times, fece il giro degli Stati Uniti e arrivò anche sul tavolo dell’allora presidente americano Bill Clinton, che parlò agli ambasciatori etiopico ed eritreo. Ma fu ripreso soprattutto dalla stampa, radio, televisioni, giornali locali americani. Lì Gino divenne un eroe ma la cosa non piacque alla dittatura di Asmara che lo chiamò a rapporto.
olevano espellerlo ma fu salvato dalla sua professionalità, dalla sua dedizione e dal suo altruismo. Il regime giudicò che non era il caso di cacciare il medico che salvava vite e recuperava quelle che erano state gravemente offese da ferite gravissime.
Più tardi con lui sono stato anche all’inaugurazione del meraviglioso ospedale soprattutto cardiologico a Khartoum, in Sudan, il Salam Centre for Cardiac Surgery. Un’opera straordinaria finanziata – come orgogliosamente amava ricordare – da donazioni private. Già perché il suo “attivismo umanitario”, rigorosamente laico e non religioso, catalizzava l’attenzione di finanziatori (spesso anche anonimi) che avevano capito che Emergency, a differenza di altre organizzazioni, utilizzava il denaro per portare aiuto ai più bisognosi del mondo e non per nutrire appararti burocratici che poco hanno a che fare con la genuina assistenza umanitaria.
Massimo A. Alberizzi
Segnaliamo anche questo articolo con intervista a Gino Strada da Kigali del 1994 e questo articolo di massimo Alberizzi che riporta le parole di Gino Strada sulla guerra in Eritrea del 2000.