Anbamed, notizie dal Sud Est del Mediterraneo
15 novembre 2021
Rassegna anno II/n. 138
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I titoli
Libia: Si candida Seif Islam Gheddafi, ricercato dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra. Insorgono le milizie.
Tunisia: Manifestazione di protesta, davanti la sede del Parlamento, contro lo stato d’emergenza.
Sudan: Mercoledì un’altra mobilitazione contro la giunta golpista. Arrestato giornalista di Al Jazeera a Khartoum.
Yemen: Si combatte anche a sud del porto di Hodeida.
Palestina Occupata: L’associazione israeliana B’tselem denuncia la rapina delle terre palestinesi operata dallo Stato di Israele tramite i coloni.
Iraq: Pubblicate le confessioni di Al-Jabouri, numero 2 dell’Isis.
Le notizie
Libia
Seif Islam Gheddafi ha presentato la propria candidatura alla Commissione elettorale di Sebha, capoluogo della regione meridionale del Fezzan. La voce di una sua candidatura girava da tempo ed i seguaci della famiglia dell’ex dittatore libico si sono mobilitati con comitati e strutture di comunicazione al Cairo e Tunisi. Le disponibilità finanziarie e i legami che hanno mantenuto in Libia hanno permesso di arrivare a questo accreditamento politico. Seif Islam è ricercato dalla Corte Penale Internazionale che ha ribadito, ancora ieri, la perdurante validità del mandato di arresto e dei capi d’accusa per crimini contro l’umanità. La condanna del Tribunale di Tripoli del 2015, invece, è stata annullata dopo il ricorso presentato dai suoi avvocati e il processo di revisione non è stato ancora istruito. Il piano di riconciliazione nazionale avviato dal premier Dbeiba, peraltro figlio di un amico personale di Gheddafi padre, ha liberato molte persone legate al vecchio regime. Lo stesso Saady Gheddafi è stato rilasciato ed ha abbandonato immediatamente la Libia, lo scorso mese di settembre. Le milizie di Zawia e Zentan alla notizia della candidatura di Seif Islam sono insorte, minacciando di ricorrere alle armi per impedire le elezioni nelle loro città. Le milizie di Tripoli organizzate sotto la denominazione “Vulcano di Rabbia” si apprestano a prendere una posizione simile.
Le elezioni secondo il piano dell’ONU dovrebbero tenersi il prossimo 24 dicembre, ma il Parlamento ha approvato una legge elettorale che fissa per quella data soltanto il primo turno delle presidenziali e, un mese dopo, il ballottaggio e le politiche. La Commissione elettorale (HNEC-LY) ha registrato 3 milioni di elettori ed ha preparato amministrativamente e tecnicamente tutte le misure per le candidature ed il voto. Le elezioni saranno monitorate da 17 osservatori internazionali, 3000 osservatori nazionali e sono stati accreditati finora 88 giornalisti stranieri e 205 locali.
Un altro candidato è il generale Khalifa Haftar, che conta su un forte sostegno nella regione orientale. Aveva annunciato la sua intenzione di candidarsi anche l’ex ministro dell’Interno, Fathi Basha-Agha. Un altro nome che si presume abbia l’intenzione di presentarsi è il premier Dbeiba, ma la sua strada al momento attuale è bloccata. La legge elettorale richiede, infatti, le dimissioni dagli incarichi pubblici tre mesi prima della data delle elezioni (entro il 23 settembre 2021). Oggi il Parlamento in una seduta straordinaria dovrebbe recepire le raccomandazioni dell’ONU per una legge elettorale condivisa.
Tunisia
Una grande manifestazione si è svolta ieri a Tunisi davanti alla sede del Parlamento, per protestare contro le misure d’emergenza imposte dal presidente della Repubblica lo scorso 25 luglio. Gli attivisti islamisti di Ennahda hanno tentato di sfondare le transenne e il cordone di polizia, mobilitata per impedire l’arrivo alla sede dell’organo legislativo, di fatto chiuso e non operativo. Si sono avuti scontri con manganellate e lacrimogeni da una parte e pietre dall’altra. Dopo quattro mesi e mezzo dalle decisioni del presidente Saied non si intravede però fine alla fase di emergenza. Il sindacato ha chiesto con forza la necessità di fissare una data per il ritorno alla normalità della vita politica e di prestare attenzione alla situazione sociale, che rischia di esplodere a causa della perdurante crisi economica.
Sudan
Il Consiglio presidenziale, nominato due giorni fa dal generale golpista Burhan, ha tenuto ieri la prima seduta. Non sono state annunciate le decisioni, tranne una promessa di formare il nuovo governo nei prossimi giorni. Nel paese cresce l’opposizione alle misure d’emergenza. 26 partiti e movimenti, sulla scia delle grandi manifestazioni di popolo, che si sono tenute sabato, hanno svolto una riunione per affermare la continuità della lotta contro il colpo di Stato fino alla sua caduta. Il comunicato finale condanna l’uccisione di sei manifestanti sotto il piombo della polizia e chiede alla magistratura di processare i responsabili dell’uso di armi da guerra contro il popolo. È stata fissata per mercoledì la prossima manifestazione di massa contro la cricca dei militari. L’emittente Al-Jazeera ha annunciato che il capo della sua redazione a Khartoum è stato arrestato. Il sindacato dei giornalisti ha denunciato che finora sono 26 i giornalisti privati della loro libertà per aver compiuto il loro dovere.
Yemen
A sud di Hodeida si è aperto un nuovo fronte di guerra. I ribelli Houthi hanno bombardato con l’artiglieria le postazioni dei governativi che, nei giorni scorsi, si erano inaspettatamente ritirati. L’aviazione saudita ha compiuto 10 raids contro le colonne dei miliziani in avanzata sulla strada costiera verso sud. Hodeida è il principale porto yemenita e nel 2018 era stato raggiunto un accordo tra le due parti belligeranti per una tregua, consentendo così il passaggio degli aiuti umanitari.
Palestina Occupata
L’associazione israeliana per i diritti umani, B’tselem, ha informato che dal gennaio 2020 e fino alla metà di quest’anno sono stati compiuti 450 attacchi da parte dei coloni contro i contadini palestinesi in Cisgiordania e Gerusalemme Est. Le forze di occupazione hanno assistito inerti e non hanno mai bloccato questi soprusi. Anzi, in caso di prevalenza della resistenza dei palestinesi, con il lancio di pietre, i soldati erano pronti ad intervenire. Nel comunicato si legge: “I coloni compiono le loro azioni sostenuti dallo Stato, che permette queste violenze, le stesse sue istituzioni le mettono in campo, come una parte della strategia di Apartheid israeliana, mirante ad una continua rapina delle terre, per impedire la nascita dello Stato di Palestina”.
Iraq
La stampa irachena ha pubblicato le confessioni di Al-Jabouri, l’uomo numero 2 dell’ISIS. catturato in Turchia e trasferito a Baghdad l’11 ottobre scorso.
Sami Jassem Al-Jabouri è nato nel 1974 nel villaggio Shurqat Provincia Salahuddine. Nel 2004 ha aderito al movimento “Monoteismo e jihadismo”, per poi passare ad Al-Qaeda e infine entrare nell’ISIS, arrivando fino alla carica di vice di Al-Baghdadi e responsabile delle finanze dell’organizzazione terroristica.
Ha ricoperto l’incarico di “ministro” del petrolio, gestendo la vendita delle produzioni di 2 giacimenti in Iraq e 5 in Siria. Il greggio veniva venduto alla Turchia tramite intermediari curdi-iracheni e trasportato su camion cisterne fino al porto di Mersin sul Mediterraneo. Il prezzo di vendita era di 180 dollari alla tonnellata (25 dollari al barile, mentre il prezzo ufficiale in quel periodo oscillava tra 60 e 70 dollari al barile. NdR). L’ISIS incassava tra il miliardo ed il miliardo e mezzo di dollari all’anno,
Quando ha assunto l’altro incarico di “ministro” delle finanze, nel 2016, nelle casse dell’ISIS c’erano 250 milioni di dollari e 3 tonnellate di oro. Le fonti di finanziamento, oltre al petrolio sono; riscatti dei sequestri, zakat (le tasse islamiche) e le imposte sulle attività economiche e commerciali.
Ha, inoltre, emesso una moneta del califfato, un dinaro d’oro.
Ogni kamikaze veniva pagato 30 mila dollari.
È scappato in Siria dal valico di El Qaim dove si è incontrato con Al-Baghdadi e poi nel 2018 ha mandato le 4 mogli e i figli in Turchia raggiungendoli in seguito. In Turchia, come attività di copertura, ha svolto il lavoro di venditore di macchine da cucire. Aveva tagliato barba e capelli e si vestiva con abiti occidentali, per evitare di essere riconosciuto, soprattutto dopo la taglia di 5 milioni di dollari emessa dalle autorità statunitensi.