a cura di Francesca Martino
In questa rubrica riprendiamo in sintesi, ma fedelmente, opinioni, commenti ed editoriali apparsi sulla stampa araba, che valutiamo siano di un certo interesse per il lettore italiano.
La pubblicazione non significa affatto la condivisione delle idee espresse.
Donne marocchine: protette dalla legge, oppresse dalla realtà
Aicha Belhaj – As-Safir al-Arabi (02/01/2022)
Dalla famiglia alla scuola, dall’università al lavoro, dalla strada alla moschea, fino al cyberspazio: le storie delle donne marocchine raccontano la spirale di disparità e paradossi che investe qualunque sfera della loro vita… ‘’come se essere donna fosse un’onta che si trasmette di generazione in generazione’’, a prescindere dal livello di istruzione o dalla professione.
I proverbi, in quanto portavoce della comunità, si rivelano molto esemplificativi al riguardo. ‘’Una casa di femmine è sempre vuota’’ allude al carattere transitorio della donna e all’impossibilità di contare su di lei per costruire una famiglia, un cliché che contrasta ironicamente con la realtà, visto il numero (oltre 1 milione nel 2020) di famiglie mantenute da donne.
Insomma, ‘’nonostante le capacità che hanno dimostrato da tempo, le donne subiscono ancora grandi disparità tra ciò che ricevono e ciò che la legge ha concesso loro’’, legge che – ricordiamo – è considerata, tra quelle dei paesi arabi, una delle più avanzate in termini di tutela dei diritti delle donne.
Partiamo dal diritto di famiglia. Dal 2004, con la riforma della Mudawwana (Codice di statuto personale), i casi di divorzio sono diventati appannaggio esclusivo dei tribunali, sottraendo il matrimonio alle leggi della sharia. Ciò ha reso il divorzio decisamente più alla portata delle donne, ma la questione dei diritti, propri e dei figli se presenti, resta tutt’ora spinosa. L’affidamento spetta alla madre solo a patto che non si risposi e il pagamento degli alimenti, il cui importo è stabilito dal giudice in base allo stipendio del padre, non è garantito. Difatti, dopo il divorzio, i padri hanno tendenza a trascurare i figli di primo letto (perché intenti a formare una nuova famiglia) e, sebbene la legge lo imponga, in molti trovano escamotage per sottrarsi all’obbligo di versare gli alimenti.
Ancora più spinosa perché tuttora ancorata a una lettura patriarcale del testo coranico è la questione dell’eredità. In mancanza di figli maschi al decesso del capofamiglia, la moglie e le figlie devono dividere i beni con gli zii, ritrovandosi spesso senza un tetto sulla testa. Le recenti conquiste del movimento ‘’An-nisa’ as-sulaliyat’’ (donne discendenti) aprono tuttavia uno spiraglio di cambiamento.
I matrimoni con minorenni e la poligamia sono vietati dalla legge, con alcune eccezioni concesse dai giudici. ‘’E quello che succede è che l’eccezione si espande’’. Secondo i dati del ministero della giustizia, nel 2020 le unioni con minorenni rappresentavano il 7% dei contratti matrimoniali, una percentuale avvalorata dal tasso annuale delle nascite, di cui quasi il 20% attribuibile a ragazze tra i 15 e i 19 anni nel 2018.
La poligamia è scesa invece allo 0,3% nel 2020, una percentuale che però non tiene conto dei casi in cui è praticata ‘’attraverso la frode, ottenendo un certificato di celibato da una città diversa da quella in cui risiede la prima moglie e in cui è stato stipulato il matrimonio ‒ in connivenza con i funzionari del ministero dell’interno ‒ oppure minacciando di divorzio la prima moglie, soprattutto se non ha avuto figli. […] La paura di perdere un tetto diventa così motivo di consenso forzato alla poligamia’’.
I dati relativi alle violenze e alle molestie sessuali indicano che più della metà delle donne marocchine ne sono state in qualche modo colpite. La violenza coniugale e in particolare quella psicologica è la più diffusa, seguita dalla violenza nelle scuole, quella sul posto di lavoro e infine nello spazio pubblico. Anche in questo caso, la legge esiste ma resta di difficile applicazione. C’è innanzitutto un problema relativo alla definizione di molestie sessuali ‒ ‘’che dire delle donne che ricevono commenti indesiderati e vengono molestate per strada?’’ ‒ a cui si aggiunge la difficoltà di dichiarare la violenza subita, e questo ‘’è forse l’aspetto più grave, ovvero la mancata confessione dei fatti, per paura dell’incredulità altrui o per vergogna se non addirittura per paura della punizione’’. D’altra parte, l’ingerenza delle famiglie provoca spesso l’abbandono del caso dopo aver ottenuto un risarcimento economico. ‘’Dov’è allora la legge che impedisce alla vittima di rinunciare e porta innanzi l’iter giudiziario?’’
Nettamente migliorato risulta l’accesso delle ragazze all’istruzione, con percentuali di completamento della scuola primaria e secondaria che superano addirittura quelle dei ragazzi. I dati indicano inoltre che le ragazze sono molto più brave a scuola, eppure la presenza femminile nel mercato del lavoro rimane bassa, soprattutto nelle aree rurali. Le ragioni dell’abbandono sono essenzialmente familiari: per aiutare nelle faccende domestiche o nei campi, o ancora per sposarsi.
Quanto alle donne lavoratrici – che costituiscono circa il 20% della popolazione attiva – si tratta soprattutto di donne divorziate, che entrano nel mondo del lavoro dopo la fine del matrimonio, per necessità, e quasi sempre svolgono mansioni umili e malpagate. Una più grande percentuale di donne (35%) lavora invece senza percepire alcuno stipendio, come caregiver naturali o nelle imprese a conduzione familiare.
Le donne che occupano posizioni dirigenziali sono poche e questo vale per tutti i settori ‒ dalla politica ai tribunali fino agli affari religiosi – e nonostante la nomina di 7 ministre nel nuovo governo marocchino ‘’non si prevede alcun cambiamento in materia di diritti e uguaglianza di genere’’.
Ultima, ma non meno importante, la libertà di scegliere o meno di sposarsi e di formare una famiglia. ‘’Questo è un aspetto in cui la legge non può interferire ma dipende dalla coscienza collettiva’’ e cambierà solo se cambia la visione che la società ha della donna nelle diverse fasi della sua vita e a seconda del suo ceto sociale. Curiosamente, la percentuale di donne che vivono da sole supera il 65% tra le ultrasessantenni mentre scende al 3% tra le trentenni, perché ‘’alle giovani donne non è permesso essere indipendenti’’.