Ringraziamo AssoPacePalestina per la traduzione di questo articolo apparso sulla testata israeliana 972Magazine.
Set 6, 2022 | Notizie
di Ziv Stahl,
+972 Magazine, 5 settembre 2022.
La decisione del Procuratore Generale di chiudere l’inchiesta sull’uccisione di Ali Harb manda un chiaro messaggio: chi fa del male ai palestinesi non ne dovrà pagare il conto
Il 25 agosto, la Procura di Stato israeliana ha annunciato l’intenzione di chiudere il fascicolo investigativo aperto in seguito all’accoltellamento fatale di Ali Hassan Harb, un 27enne palestinese del villaggio di Iskaka, nel nord della Cisgiordania occupata. La chiusura del caso senza un’incriminazione del colono colpevole (il cui nome è vietato alla pubblicazione) è un’ulteriore prova dell’impunità e della protezione che le forze dell’ordine israeliane offrono agli israeliani che fanno del male ai palestinesi, anche in casi gravi come l’omicidio.
Il 21 giugno 2022, un gruppo di coloni israeliani ha invaso un terreno appartenente agli abitanti del villaggio di Iskaka con l’intenzione di creare un avamposto illegale. I membri della famiglia Harb e altri sono arrivati sul posto per impedire ai coloni di impossessarsi dei loro uliveti. Ne è seguito un confronto verbale, che secondo i testimoni oculari palestinesi non ha comportato violenza fisica da parte loro. Durante l’incidente, un colono ha accoltellato a morte Ali Harb.
Ore dopo, il sito di notizie israeliano Ynet ha riferito che, secondo la polizia, l’accoltellamento potrebbe essere stato causato da un conflitto interno tra i palestinesi e non da un confronto con i coloni. Questa falsa affermazione, che la polizia non si è vergognata di rilasciare prima ancora che Harb fosse sepolto, è stata apparentemente il primo indicatore della piega che l’indagine avrebbe preso.
In seguito è diventato chiaro che le autorità israeliane stavano investendo la maggior parte delle loro energie nel tentativo di ripulire il nome dell’esercito, confutando tra l’altro l’affermazione dei testimoni oculari palestinesi, secondo cui l’incidente è avvenuto di fronte a soldati israeliani che non hanno fatto nulla per impedire l’accoltellamento o per arrestare il colpevole dopo il fatto. Secondo i testimoni oculari, Harb non è morto immediatamente, ma solo dopo che i soldati hanno impedito alla sua famiglia di raggiungerlo o di trasportarlo d’urgenza in ospedale.
Nei giorni successivi all’accoltellamento, le forze di sicurezza israeliane hanno fatto anche di meglio, invadendo le case dei membri della famiglia Harb e di altri testimoni oculari del villaggio e arrestandoli. Gli investigatori israeliani hanno cercato di convincerli a ritrattare l’affermazione che i soldati erano presenti sulla scena e che l’esercito ha ritardato l’assistenza alla vittima. Sono stati poi rilasciati senza accuse.
Ora, a due mesi dall’indagine, l’Ufficio del Procuratore ha deciso di chiudere il caso per “insufficienza di prove” perché, secondo loro, “non è stato possibile escludere la versione [del colono sospetto] di aver agito per autodifesa”. Tuttavia, sembra che l’assassino non si sia comportato come farebbe qualsiasi persona ragionevole che non ha altra scelta se non quella di uccidere come ultima risorsa per proteggersi.
Prima di tutto, non si è consegnato alla polizia ed è scappato dal luogo del delitto. Anche dopo che era stato comunicato che la polizia stava cercando il colpevole e aveva trovato il coltello usato per l’accoltellamento, ha continuato con la sua routine quotidiana. Inoltre, nelle foto scattate nei momenti precedenti all’accoltellamento, si vede una persona che i testimoni oculari palestinesi identificano come il colpevole, con un guanto di gomma su una delle mani.
Il colono è stato infine arrestato con il sospetto di omicidio e di intralcio alla giustizia solo un giorno dopo l’incidente, quando si è recato alla stazione di polizia per presentare una controdenuncia contro i palestinesi. È probabile che a quel punto si sia consultato con un avvocato per formulare una linea d’azione.
Una serie di testimonianze raccolte dalla polizia da altre persone presenti sulla scena hanno anche contraddetto l’affermazione del sospettato di essersi trovato in una situazione di pericolo. Un video di pochi istanti prima dell’accoltellamento mostra che sono state scambiate grida e imprecazioni tra le parti, ma non c’è stata violenza fisica. La documentazione mostra anche che sulla scena erano presenti guardie di sicurezza armate dell’insediamento di Ariel; questo si aggiunge alle affermazioni dei testimoni oculari secondo cui erano presenti anche soldati israeliani.
Se ci fosse stata una minaccia reale alla vita del colpevole o di altri, le guardie di sicurezza avrebbero sicuramente agito per proteggere i cittadini israeliani. Il fatto che nessuno sia rimasto ferito nell’incidente, ad eccezione di Ali Harb, mette ulteriormente in dubbio la versione degli eventi raccontata dal colpevole, che ha affermato di aver dovuto difendere se stesso e gli altri.
Eppure, nonostante tutto questo, l’Ufficio del Procuratore ha chiuso il fascicolo d’indagine.
La chiusura del caso è innanzitutto una notizia straziante per i genitori di Ali Harb; anche se il loro figlio non tornerà mai più, avevano almeno la speranza che il suo assassino avrebbe pagato un prezzo pesante. Allo stesso tempo, la chiusura di questo caso invia un chiaro messaggio ai coloni: chiunque faccia del male ai palestinesi non sarà ritenuto responsabile.
I palestinesi sanno che il loro sangue è a buon mercato agli occhi delle autorità israeliane, e l’impunità che il sistema garantisce agli israeliani che fanno del male ai palestinesi va ben oltre questo singolo caso. Secondo i dati di Yesh Din, il 92% dei procedimenti di polizia aperti tra il 2005 e il 2021 su crimini a sfondo ideologico commessi da israeliani contro palestinesi sono stati chiusi senza alcuna incriminazione. L’81% di questi casi sono stati chiusi in situazioni in cui l’indagine era stata assente o inadeguata.
Il colono colpevole, che era entrato nelle terre della famiglia Harb con l’obiettivo di usurparle installando un avamposto illegale, ha affrontato la famiglia che voleva allontanare lui e la sua banda e ha ucciso un giovane con un colpo di coltello – e ora continuerà la sua vita come se nulla fosse.
È chiaro a tutti che se la situazione fosse stata invertita – se l’accoltellatore fosse stato palestinese e la vittima israeliana – il sospetto sarebbe stato arrestato immediatamente, ammesso che le guardie di sicurezza non avessero deciso di sparargli sul posto. Sarebbe stato designato come terrorista, sarebbe stato incriminato per omicidio, sarebbe stato condannato a una lunga pena detentiva e l’esercito avrebbe probabilmente distrutto la casa dei suoi genitori.
Ma ahimè, il colono che ha ucciso Ali Harb appartiene a un gruppo speciale di civili israeliani in Cisgiordania che gode di una serie di privilegi, tra cui la licenza di fare del male e persino di uccidere senza conseguenze.
https://www.972mag.com/settler-stabbed-killed-ali-harb/
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
Non solo le autorità israeliane non puniscono chi uccide un palestinese, il mondo intero non ritiene un crimine se a morire, per mano di un colono , è un palestinese. Il popolo palestinese non ha alcun diritto di vivere, di abitare la propria terra, è condannato ad essere vittima perenne della prepotenza di Israele e del mondo “democratico”