Premessa d Fonti di Pace
Sembra incredibile ma l’immane disastro provocato dal terremoto di magnitudo 7,8 della scala Richter che ha colpito la Turchia e la Siria il 5 e il 6 di febbraio di quest’anno ormai non è più una notizia. Recep Erdogan il presidente turco si preoccupa della sua rielezione ed è meglio soprassedere sopra i 52.000 morti, i 120.000 profughi, i 5 milioni di sfollati certificati dai dati ufficiali. Numeri terribili che, piaccia o non piaccia al dittatore turco, peseranno sul voto che forse si terrà a maggio. Erdogan ha fretta, teme che l’opposizione possa organizzarsi, stringere le fila e sconfiggerlo. A Erdogan poco importano i vivi e i morti figurarsi dei monumenti. Eppure l’oggi non esiste senza il passato e le pietre antiche sono tracce importanti per la vita dei popoli. Il libro di Fatimeh Maleki, in allegato la recensione, acquista, dopo lo sfacelo del terremoto, un valore in più. Fatimeh, laureata in lettere moderne e lingue orientali con due specializzazioni una in Storia del diritto islamico e l’altra Storia del genocidio armeno, nel suo viaggio sui luoghi dell’Armenia storica aveva in qualche modo mappato quel che rimaneva dalla distruzione operata nel 1915 dall’allora potere turco dei monumenti e delle dimore di quel popolo antichissimo, un popolo che nella Turchia contemporanea non ha diritto di rivendicare la propria etnia, né di parlare la propria lingua. Il viaggio di una promessa acquista dunque nel post terremoto un valore che va oltre la bella scrittura. Diventa la testimonianza di vite dimenticate e il viaggio in una geografia perduta per sempre.
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“Viaggio del cuore e dell’anima” è per Fatemeh Sara Gaboardi
Maleki Minoo il racconto di un andare nei luoghi dove si è compiuta
la storia di un popolo dimenticato: gli armeni nascosti dell’Anatolia.
Per noi occidentali che la leggiamo oggi è una lezione di storia
necessaria per capire i conflitti attuali, e ci impone di umiltà per
capire il coraggio e la sofferenza delle donne e degli uomini che
abitano il Medio oriente, terre tormentate da conflitti interetnici e
religiosi, ma soprattutto dalla pesante ingerenza dell’Occidente. Il
libro Viaggio di una promessa (340 pagine, LineeInfinite editore) è il
diario in cammino di una studiosa mentre visita le terre e le genti
oggetto delle sue ricerche storiche, la Turchia, l’Armenia e l’Iraq, ma
anche un viaggio d’amore, per mantenere la promessa fatta ad Ali,
il fratello morto prematuramente: trovare l’uomo che, nel 1977,
aveva salvato dalle persecuzione dello scia di Persia la loro madre
e i fratelli aiutandoli ad attraversare la frontiera con la Turchia.
Quarant’anni dopo Fatemeh si avventura, sola ma strada facendo
incontrerà tanti volenterosi aiutanti, sulle tracce di un uomo di cui
conosce solo il nome, Sherko, un nome da clandestino, di chi
ancora lotta in difesa dei diritti di un altro popolo perseguitato e
dimenticato: i curdi. Lo cerca per “ringraziarlo”, per fare insomma
qualcosa che sembrerebbe doveroso ma che “nessuno prima di lei
aveva sentito di dover fare” le dirà Sherko quando alla fine
s’incontreranno. Ed è questa una delle tante meraviglie di questo
libro gentile, imparare a dire “grazie” con tutto il cuore. In
quell’incontro ci svelerà la storia complessa del popolo curdo dopo
la caduta dell’immenso impero ottomano, diviso in quattro stati
belligeranti tra di loro e che ancora non ha il diritto a una terra in cui
stare, di parlare la propria lingua e sviluppare la sua originale
cultura. E’ anche un viaggio nel dolore di un altro popolo che dal
principio del novecento, in seguito alla dissoluzione dell’impero
austriaco e di quello ottomano e la recrudescenza del nazionalismo
turco, è diventato “superfluo” e privato ancora oggi del diritto ad
esistere, gli armeni. Fatemeh nel suo andare ci fa conoscere la
storia, l’arte e la tragedia degli armeni, popolo antichissimo che era
già un impero quando Roma era ancora un piccola città bellicosa
dell’Italia centrale. Tappa dopo tappa, incontro dopo incontro le
vicende del popolo armeno e del suo genocidio riaffiorano dai
racconti dei discendenti dei superstiti e, attraverso quel mosaico di
piccole storie personali, si ricostruisce una delle più atroci tragedie
che ha segnato la Storia del novecento. Una storia di cui in Turchia
non si può ancora parlare e che in Europa fa fastidio ricordare.
Nell’accompagnarla scopriamo anche lo spirito di quelle genti, la
dimensione collettiva di quelle culture e anche la complicata
vicenda umana di Fetimeh nata in Iran, cresciuta in un orfanotrofio,
adottata da una famiglia italiana incontrerà quel che resta della sua
famiglia da adulta, diventerà docente universitaria e andrà in cerca
della sua terra e di quella cultura che si creano i popoli costretti a
diventare invisibili. Popoli senza terra ma non senza radici, perché
come gli alberi anche i popoli non possono esistere senza radici.