Approfondimenti

[Finestra sulle Rive Arabe] Rileggere la storia dell’Algeria nella letteratura postcoloniale

di Jolanda Guardi

Generalmente si ritiene che il romanzo o la produzione in senso moderno in lingua araba sia cominciata in Algeria a partire dagli anni ’60, dopo la guerra di Liberazione Nazionale. Questa posizione, tuttaviaو risente dell’influenza dell’ideologia della francofonia, che permane tuttora sul periodo che va dal 1830, anno dello sbarco dei francesi a Sīdī Frej, al 1962. Per questo periodo, infatti, abbiamo numerosi studi sulla produzione in lingua francese, ma pochissimi su quelli in lingua araba. È tuttavia da notare che questo silenzio riguarda soprattutto la produzione francese e quella algerina in lingua francese. Naturalmente, attingendo a fonti algerine in lingua araba la prospettiva cambia, evidenziando come nel 1962 esisteva già una produzione in lingua araba in Algeria, certo consona alla situazione politica e sociale del paese, e che quindi la produzione contemporanea non è nata dal nulla. L’interesse per la lingua araba non è mai venuto meno nonostante l’arabo fosse stato dichiarato “lingua straniera” da una legge francese nel 1938.

È allora interessante leggere la produzione contemporanea, che si configura come postcoloniale nel senso che si tratta di opere romanzesche che riscrivono la storia dal punto di vista di chi è stato “colonizzato” o di chi, per quanto attiene agli autori più giovani nati dopo l’indipendenza, ha elaborato una prospettiva sugli eventi del recente passato comunque interna e non influenzata dalla cultura francofona. E che questa produzione sia disturbante per l’ex colonizzatore lo dimostra il fatto che attorno a essa esiste una sorta di “omertà” e un certo boicottaggio da parte del campo culturale francese, che fa sì che questi autori non vengano tradotti nemmeno in altre lingue, italiano compreso. Di seguito alcune segnalazioni rispetto a romanzi scritti in lingua araba e che è possibile leggere in tutto o in parte in lingua italiana.

Il 2020 segna una data importante per la diffusione della letteratura algerina: è infatti in quell’anno che, per la prima volta, il Booker Prize viene conferito a uno scrittore algerino, ‘Abd Al-Wahhāb ‘Aysāwī (Abdelouahab Aissaoui, 1985-) per il romanzo Ad-diwān al-isbarṭī (La corte spartana, 2019 edizione italiana 2023). La corte spartana rappresenta uno spartiacque nella narrativa algerina di lingua araba; è vero che può essere inserito nel filone del romanzo storico caro alla letteratura araba, ma rappresenta una novità per almeno due motivi. In esso, infatti, viene narrato per la prima volta in forma romanzesca gli anni immediatamente successivi alla presa di Algeri. I fatti narrati si svolgono nell’arco di tre anni, dal 1830 al 1833, periodo generalmente assente nella narrativa araba. Ne La corte spartana l’invasione dell’Algeria da parte dei francesi viene narrata a partire da fonti storiche precise, ma secondo cinque punti di vista diversi: quello di un giornalista francese che segue la spedizione e che, profondamente cattolico, si illude che l’impresa non porterà a spargimenti di sangue e simpatizza per gli algerini; quello di un soldato francese di carriera che odia i Turchi e i Mori perché, fatto prigioniero dai primi, ha conosciuto la schiavitù nel bagno di Algeri; quello di un algerino che ha servito i Turchi e che crede che i Francesi rispetteranno gli accordi firmati con il dey prima della caduta della città; quello di un ribelle che combatterà sempre gli invasori e, infine quello di una donna. Particolarmente interessanti i personaggi di Dupont, il giornalista francese, simpatizzante delle idee di Saint-Simon, che rappresenta per la prima volta in un romanzo algerino in lingua araba, coloro che non condivisero pienamente la spedizione e soprattutto, la figura di Dugia, la protagonista femminile, che narra la condizione della donna in Algeria al momento della conquista. Basato su fonti documentali, La corte spartana è un affresco della società nordafricana del tempo e offre un punto di vista inedito sulla colonizzazione francese. Non solo, esso riesce a stabilire un collegamento con quello che viene considerato il primo “romanzo” moderno in lingua araba algerino, scritto nel 1894 dai Muḥammad ibn Ibrāhīm Bāshā, Ḥikāyat al-‘ushshāq fī al-ḥubb wa al-ishtiyāq wa-mā jarà li-ibn Al-Mulk Al-Ash‘ā’ī ma‘a Zuhrat Al-Uns bint at-tājir, un romanzo popolare che mette in scena già avvenimenti storici “nazionali” e ha per eroi personaggi storici locali. Il romanzo tratta infatti della difesa della capitale in occasione dello sbarco dei francesi, difesa alla quale aveva partecipato il padre dell’autore, Ibrāhīm ibn Muṣṭafà.

Alla presa di Algeri e più specificamente al momento in cui le truppe francesi entrarono nella città dedica uno spazio anche il romanzo Le tempeste dell’isola degli uccelli di Jilali Khellas.

Qui l’Algeria – l’isola degli uccelli – si presenta come una tela di Penelope che l’autore scrive, ma poi disfa per riscriverla di nuovo da un altro punto di vista e cosi all’infinito, tant’è che il romanzo termina con queste parole: “ho preso carta e penna e ho cominciato a scrivere…” (p. 125).

Khellas sceglie, come punto di partenza per la vicenda del romanzo, la manifestazione svoltasi ad Algeri il 5 Ottobre 1988, durante la quale il protagonista, un giornalista, viene arrestato dalle forze dell’ordine (una non meglio identificata brigata A‘). Dalla prigione, in un’appassionata narrazione storica, il protagonista-autore analizza gli avvenimenti che hanno segnato la recente storia politicosociale del popolo algerino, mettendoli in parallelo ad alcuni misteriosi episodi avvenuti durante l’invasione francese del 1830 e, ancor più a ritroso nel tempo, con l’occupazione spagnola.

Pur se il filo conduttore del romanzo è volto a svelare questi misteri, l’autore arricchisce il testo narrativo con citazioni storiche, letterarie, brani di poesia in arabo classico e popolare in dialetto algerino, proverbi e utilizza anche strumenti stilistici come l’alternanza del corsivo al tondo per sottolineare differenze di registro. Alla ricerca di tutte queste risposte, il protagonista traccia un affresco di due importanti città costiere, Algeri e Orano, e ci fornisce uno spaccato del mondo degli intellettuali algerini che durante il “decennio nero” (1990-2000) hanno scelto di rimare nel proprio paese dove, fra mille difficoltà, hanno cercato di resistere svolgendo il ruolo di vero “testimone” della storia del popolo algerino. A questo gruppo di autori appartiene dicevamo Jilālī Khallāṣ, che ci sembra rappresentativo di quanto andiamo dicendo con il suo romanzo Le tempeste dell’isola degli uccelli. In esso, infatti, l’autore, pur partendo dal contesto presente (coevo all’uscita del romanzo) e cioè al periodo di presidenza di Chadhli Benjdid, ripercorre, in un romanzo di amplissima documentazione storica, gli eventi del paese risalendo a ritroso fino all’invasione spagnola sotto il regno di Carlo V e del cardinal Cisneros. L’impegno ideologico dello scrittore, in questo caso, sta nel non accontentarsi delle spiegazioni semplicistiche che assegnano al “fondamentalismo” tutti i mali del paese a partire dal 1992, ma nel cercare le ragioni storiche, politiche ed economiche che hanno portato la società algerina alla situazione ben nota. all’“algerina”, creando così uno stile del tutto originale. La lingua araba (un po’ come in Germania dopo l’esperienza nazista) viene considerata non più in grado di esprimere letteratura, la sintassi viene pertanto smantellata elemento per elemento e il lessico dà prova di quella che Moncef Chelli (1980) chiama “anastomosi”, ossia un continuo rimando da un vocabolo all’altro, il secondo contenuto nel primo. Un ulteriore passaggio si ha, naturalmente, nel periodo più recente, dove il leitmotiv e la discesa nel profondo attraverso l’esperienza vissuta, il tormento della carne, la tristezza delle passioni e, ovviamente, il terrorismo. Tutto ciò si riflette in una nuova estetica che permetta di esprimere il tormento e l’orrore, nella ripetizione quasi ossessiva di alcuni vocaboli nei titoli dei romanzi – passione, insetti, memoria, ombre, acqua. Invano qui cercheremmo nel romanzo una struttura lineare, si tratta per lo più di una struttura elicoidale che torna continuamente su se stessa.

Se Khellas riesce a percorrere con un filo conduttore gli anni che vanno dall’occupazione francese fino al periodo del terrorismo islamista, altri autori si dedicano a indagare le cause di quanto accaduto andandone a cercare le ragioni nel periodo immediatamente successivo all’indipendenza. Già Ahlam Mostaghanmi in La memoria del corpo (1994) aveva indagato la disillusione dell’ideale rivoluzionario, rimanendo tuttavia nell’ambito dell’esperienza personale, seguita poi da diversi autori di generazioni diverse che hanno indagato il periodo che va dall’indipendenza alla deriva fondamentalista. È il caso, a esempio di Ṭāḥar Waṭṭār che ne La candela e i labirinti () ripercorre a ritroso gli anni dal 1962 al 1992 alla ricerca delle ragioni che hanno portato al decennio nero, proponendo una lettura della storia recente dell’Algeria molto accurata e profonda e mantenendo la sua capacità affabulatoria e di stile particolarmente accattivante.

Alla generazione di Waṭṭār appartengono altri, pochi in verità, scrittori di vaglia, come Muḥammad ‘Alī ‘Ar‘ār, sbrigativamente etichettati come scrittori di “regime” semplicemente perché hanno operato e operano con modalità che non si inseriscono nell’immagine che lo studioso ha dell’Algeria. In ogni caso, grazie a questi autori, la letteratura algerina in lingua araba vive una stagione estremamente felice, superando anzi la produzione in lingua francese, per intensità di forme e qualità. Pur se ancorata alla terra, questa letteratura riesce ad avere un respiro mondiale e a sperimentare nuove forme letterarie senza rinnegare il passato. I nuovi autori, infatti, sono l’espressione di una nuova società, quella che ai tempi di Waṭṭār era in “cambiamento”. Una generazione successiva, alla quale appartengono Merzaq Beqtash (1945-2021), Amin Zaoui (1956-), Ḥamīda ‘Ayāshī (1958-) e molti altri, propone personaggi che rispecchiano il fermento dell’Algeria degli anni ‘80. In queste opere si ripercorre la storia del paese che si intreccia con la storia di un personaggio, ma anche con quella dell’autore/autrice. Questo legame fra lo scrittore e la storia è un motivo ricorrente nella letteratura algerina contemporanea e fa sì che la letteratura sia uno strumento ideale per la comprensione più generale del fenomeno storico, soprattutto per quanto riguarda i rapporti con il tessuto sociale. Cambiata la situazione politica e sociale, anche il ruolo dello scrittore cambia: non è più portatore di rinnovamento, ma non è ancora nella fase di denuncia di una situazione che esploderà alla fine degli anni ’80, soffre di una “solitudine” all’interno del corpo sociale che non riesce più ad “assimilarlo”. Il romanzo, allora, non sarà più, come ai tempi di Waṭṭār, “romanzo realista e socialista”, ma virerà verso l’esotismo e il passato, l’erranza di una vita che “divora”, che si consuma in un’unica fiamma. Fiamma creatrice sì, ma anche ricerca di identità definita attraverso lo svolgersi del tempo, passato perché difficilmente sradicabile, mentre il futuro tanto sognato resta ostaggio del presente, prigioniero delle tradizioni e dei tabù. E non è un caso, infatti, che l’autore che affronta direttamente la situazione politica e la condizione della donna sia ancora una volta della generazione precedente; ‘Abd al-Ḥamīd ibn Hadūga con Ghadan yawm jadīd (Domani è un altro giorno, 1992). Il romanzo affronta la situazione algerina all’indomani della cosiddetta “rivolta del pane” del 1988, partendo dalla storia personale della protagonista, una giovane originaria di un piccolo paese che accetta di sposare un uomo che non ama per potersi trasferire nella capitale. Attraverso la sua storia, l’affresco storico che l’autore ci offre spazia dal periodo coloniale alla contemporaneità.

Negli ultimi anni altri autori algerini sono entrati nella Long list del Booker prize come Amīn Zawī e Abd Al-Laṭīf Wuld ‘Abd Allah (Abdellatif Ould Abdallah, 1988-) che, con il suo romanzo ‘Ayn Ḥamūrābī (L’occhio di Hammurabi, 2020, in corso di traduzione) introduce una scrittura più volta all’introspezione psicologica e agli stati alterati di coscienza nella produzione romanzesca del paese. Ne L’occhio di Hammurabi, così come in diversi romanzi della generazione di autori e autrici più giovane, la riflessione si rivolge all’interno del personaggio che, disilluso a causa della mancanza di democrazia nel paese, trova in una sorta di follia lo spazio per poter sopravvivere. L’occhio di Hammurabi è interessante anche per almeno altri due motivi: lo stile in cui è scritto, molto diretto e diverso dal periodare in arabo e l’ambientazione: esso infatti si svolge prevalentemente in uno scavo archeologico, offrendo a chi legge anche un affresco delle civiltà antiche che si sono succedute sul territorio algerino.

Da ultimo, infine, è arrivato anche il riconoscimento alla letteratura algerina anche dall’Egitto: nel 2021, infatti, il premio Najib Maḥfūẓ per il romanzo arabo è stato assegnato al romanzo Ikhtifā’ as-sayyd Lā Aḥad (La scomparsa del signor Nessuno, 2020) di Aḥmad Al-Ṭaybawī (1980-), che ruota attorno a un personaggio immaginario a rappresentare tutti coloro che vengono emarginati e “cancellati” – da cui il nome del protagonista Nessuno – dalle società arabe e ovunque nel mondo.

In conclusione la narrativa algerina è molto vivace e comincia a ottenere i riconoscimenti che merita, superando i propri confini con una ricchezza e vivacità di produzione che lasciano intravedere sviluppi importanti per il futuro.

Iolanda Guardi

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Abdelouahab Aissaoui (2023). La corte spartana. Milano: Edizioni Centro Studi Ilà®

http://www.certificazionearabo.com/altre-pubblicazioni-2/

Jilali Khellas. (2006). Le tempeste dell’isola degli uccelli. Roma: Jouvence

Ahlam Mostaghanmi. (1999). La memoria del corpo. Roma: Jouvence

https://www.jouvence.it/autore-cognome-nome/mosteghanemi-ahlam/

Tahar Wattar. (2019). La candela e i labirinti. Milano: Jouvence

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