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Israeliani e palestinesi, giornalismo italiano a senso unico: come sempre la prima vittima della guerra è la verità

Editoriale dell’Unità del 15 ottobre: Mario Capanna (QUI)

Cari colleghi, non lo capite che rappresentate una esigua minoranza?

La professione del giornalista dovrebbe consistere nel dire alle persone ciò che devono sapere, non ciò che vogliono sapere.
(W. Cronkite)

È proprio vero: la prima vittima della guerra è la verità. In questo, per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, l’italico giornalismo è all’avanguardia. Prendiamo, per esempio, i talk show televisivi: ormai sono i giornalisti che intervistano altri giornalisti. Nessuno di loro, al contrario di me, ha mai messo piede a Gaza o in Cisgiordania. Il risultato è uno stucchevole chiacchiericcio, per lo più a favore di Israele.

Ci sono, poi, autentici casi di faziosità. Enrico Mentana, nel Tg della 7, dando notizia del massacro di Hamas nei kibbutz, ha parlato di bambini decapitati, aggiungendo: non mostriamo le immagini perché sono scioccanti. Frase atta a rafforzare l’orrore. In realtà le foto non le aveva, ma la faccia tosta sì. Paolo Mieli ha scritto sul Corriere della Sera contro “cantanti o rettori d’università” (chiara allusione a Tomaso Montanari), che difendono i legittimi diritti dei palestinesi. Il suo “mielitarismo” è indefesso.

Nicola Porro, su Rete 4, è apparso inviperito mostrando immagini di studenti che in una università sventolavano la bandiera palestinese. Sarebbe stramazzato al suolo, immagino, se avesse notato il video della imponente manifestazione pro Palestina, svoltasi a Chicago (Chicago, dico, che notoriamente non è una città araba…). Sono ben due giornaloni a scagliarsi contro l’ex ambasciatrice Elena Basile, rea di mostrare, con argomenti condivisibili o meno che siano, le responsabilità sioniste. Stefano Cappellini, su Repubblica, dopo avere additato al ludibrio “la famigerata (?) ex ambasciatrice”, la bersaglia di nuovo, il 13 ottobre, con un’intera pagina.

Non è da meno Massimo Gramellini che, in prima pagina sul Corriere della Sera, anche lui il 13 ottobre (ma che: i due si sono passati parola?) titola: “Ostaggi di Basile”. E che dire di Massimo Giannini che, in prima pagina su Repubblica, ha scritto: “Siamo tutti israeliani”. Incapace di fare un passo in più e scrivere “siamo tutti israeliani e palestinesi”. Non avete, cari colleghi “embedded” (“incistati” con l’elmetto nell’esercito di occupazione) nemmeno un briciolo della serietà e del coraggio dei giornalisti israeliani. Haaretz, ad esempio, usa parole di fuoco contro il corrotto Netanyahu e l’involuzione autoritaria-fascista del governo di Israele.

Quasi nessuno dei grandi media dà conto delle mille manifestazioni pro Palestina, che si svolgono in Italia e nel mondo. Cari colleghi, non lo capite che rappresentate una esigua minoranza? E che la grande maggioranza delle opinioni pubbliche è d’accordo con me – a difesa dei diritti palestinesi e, dunque, di quelli israeliani – e non con voi? La presidente Meloni proietta la bandiera israeliana su Palazzo Chigi, schierando l’Italia istituzionale con uno dei belligeranti. Bene: insieme a certi italici scribi, corre il rischio – lei, unitamente al governo – di incappare nel reato di tentato omicidio colposo plurimo: per aver fatto quasi morire dal ridere mezzo mondo.

Mario Capanna

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