Per commemorare il 20esimo della scomparsa dell’On. Massimo Gorla, abbiamo voluto sentire la persona che gli è stata vicina negli ultimi anni e che ha condiviso con lui 25 anni di vita, la sua compagna Joan Haim. Questo per far emergere gli aspetti intimi del suo carattere, per non rimanere soltanto alla sfera pubblica dell’impegno politico.
Ecco le sue risposte alle domande di Farid Adly.
D. Vorrei far emergere in questa intervista anche gli aspetti umani della
personalità di Massimo.
R. Mi sembra importante soprattutto in questi tempi in cui la politica è
caratterizzata da una visione e da una pratica che definirei cinica.
D. Appunto, quindi come vi siete conosciuti?
R. è una storia di militanza. Io allora insegnavo nei corsi serali della scuola
Mosè Bianchi di Monza. Ero molto colpita dalla teoria e pratica educativa
di Don Milani e l’ho adottata come metodo di insegnamento e di relazioni.
Tramite gli studenti-lavoratori sono entrata in contatto con Avanguardia
Operaia. La militanza prevedeva un impegno “a pieno tempo” (c’erano
gruppi di studio sul marxismo leninismo anche il sabato e la domenica): al
mattino davo una mano alla redazione esteri del Quotidiano dei Lavoratori;
dopo la scuola serale avevamo riunioni e poi talvolta si andava ancora in
giro ad attaccare manifesti sui muri. Conoscendo le lingue – sia il francese
che l’inglese – mi era stato proposto di collaborare con Massimo nel suo
lavoro di responsabile della Commissione internazionale
dell’organizzazione.
Per me è stata un’esperienza molto intensa: partecipavo agli incontri
internazionali con delegazioni di movimenti e organizzazioni di tutto il
mondo (Spagnoli perseguitati dal regime di Franco, vietnamiti e
cambogiani – mi ricordo che andavo anche a Parigi per svolgere questa
attività).
Erano gli inizi degli anni ’70. Quando ho incontrato Massimo per la prima
volta io avevo 26 anni e lui 38, era molto più grande di me. Anche se
diceva di sentirsi vecchio (è sempre stato malandato di salute, anche se
non si è mai risparmiato), in realtà era un uomo molto seducente: sia
fisicamente che intellettualmente sprigionava un grande fascino. Ne sono
rimasta subito attratta.
Ero reduce da una vicenda sentimentale molto triste, avendo perso mio
marito un anno soltanto dopo il matrimonio. Con Massimo ho iniziato ad
avere una bella amicizia rafforzata da sintonia intellettuale: quante lunghe
discussioni sui temi dell’attualità politica di allora. Il bello è che questo
impegno politico era sempre accompagnato da momenti di convivialità,
che era una caratteristica di Massimo: oltre alle riunioni serie e
impegnative non mancavano mai le occasioni in cui continuare il dibattito
a tavola sia nelle case private che in trattorie, dove si mangiava, beveva e
cantava, esprimendo uno spirito gioioso della politica.
Un altro aspetto che mi aveva colpito di Massimo era il suo amore per il
bello, l’artistico, l’armonioso: visitare le città d’arte con Massimo era un
piacere immenso di conoscenza, un’emozione particolare. Lui era stato
anche insegnante di storia dell’arte e sapeva spiegare e far apprezzare le
bellezze artistiche. Anche di musica era appassionato: è stato tra i
fondatori della “Gioventù musicale” a Milano.
D. Cosa suonava?
R. No, non suonava, ma era un grande conoscitore della musica. Avevamo
in particolare un terreno comune interesse: la musica e le canzoni francesi;
ci piacevano molto le canzoni di Georges Brassens e di Mouloudji che
cantavamo in macchina nei nostri spostamenti (anche se lui era un po’
stonato!).
Questo gusto per le cose belle, oltre all’impegno politico, ci ha avvicinato
molto. Massimo aveva interessi e gusti molto variegati.
D. è stata una storia d’amore a tutto tondo…
R. è stata una storia d’amore che è durata 25 anni, ed anche quando ci
siamo separati nel 1997 siamo rimasti profondamente legati: abbiamo
continuato a frequentarci regolarmente come grandi amici e io durante il
periodo della sua malattia, mi sono molto occupata di lui, negli ultimi
giorni della sua vita mi sono trasferita a casa sua. Siamo stati vicini fino
all’ultimo momento. Il nostro è stato prima un grande amore e poi si è
trasformato in un grande affetto, una grande amicizia.
D. A metà degli anni ’80, Massimo ha subito un’operazione chirurgica a
cuore aperto…
R. Quella fase segna il periodo molto doloroso del “distacco” e della
delusione. Mi piace però ricordare la fase precedente, quella della sua
militanza e dell’impegno quotidiano. Massimo ha fatto due legislature in
Parlamento: è stato per lui un lavoro enorme in cui ha sviluppato grandi
competenze; è stata una grande fatica, ma un’esperienza molto bella. Era
una persona che prendeva sul serio le cose che faceva. Mi ricordo le
nottate passate a studiare diversi argomenti che non conosceva abbastanza
a fondo, facendosi affiancare da compagni esperti. Si è avvalso di
consulenze su salute, ambiente, scuola, per condurre le battaglie
parlamentari con la conoscenza, mai con l’approssimazione. Lui prendeva
il suo lavoro sul serio e lo svolgeva con grande impegno e preparazione,
non lasciando nulla al caso.
Ha fatto due mandati legislativi e durante il secondo si è ammalato.
Voglio ricordare che era stimato anche dai suoi avversari politici. La
politica a quei tempi aveva rapporti diversi. Mi ricordo che aveva fatto
parte di una delegazione parlamentare in Russia insieme a Malagodi,
segretario del PLI; è nata una stima reciproca malgrado le differenze
politiche (ci mandò in regalo una cassetta dei migliori Chianti che
produceva in una sua tenuta in Toscana). C’era uno stile di civiltà e di
rispetto tra molti parlamentari, tranne ovviamente che con i fascisti: mi
ricordo che rifiutammo di stringere la mano a Rauti del Movimento sociale
a una cena istituzionale a Bruxelles!
Massimo era particolarmente apprezzato anche dagli avversari perché era
riconosciuta la sua serietà, il suo rigore. Ci sono state divergenze e
discussioni talvolta aspre anche all’interno del gruppo parlamentare che lui
dirigeva, ma non hanno mai fatto venir meno il rispetto personale e
l’affetto nei suoi confronti: mi ricordo che al suo ritorno in Parlamento
dopo la grave operazione al cuore, gli altri deputati del gruppo lo hanno
accolto con un dono: in una bella scatola avevano messo un campanello
(per rimarcare l’autorevolezza), un paio di boxer (per simboleggiare la sua
seduttività) e un barattolo di miele (la sua dolcezza). Era emozionatissimo.
Dopo l’intervento chirurgico io lo dissuasi dal proseguire l’attività
parlamentare, anche se lui di politica non smise mai di occuparsi in realtà.
Però non si è più presentato alle elezioni successive. Anche se la politica
era la sua vita.
A un certo punto fu tuttavia deluso dall’evoluzione che prese il Partito che
lui aveva contribuito a fondare e non riuscì più a sentirsi parte comune di
quel progetto. Questo fatto contribuì a demoralizzarlo e portò al suo
allontanamento dall’attività pubblica e in parte anche dalle relazioni, anche
se poi si è impegnato nel pacifismo e nell’ambientalismo. Devo dire che
lui è rimasto come orfano per la perdita di un progetto di partito di classe e
non è più riuscito a riconoscersi nella la forma che stava prendendo: questa
deriva per lui è stata una vera batosta, è cominciata così la sua ritirata.
D. Io me lo ricordo come un grande oratore. Ho in mente ancora oggi un
suo comizio nella campagna elettorale del 1976, in piazza Venezia. Come
si preparava agli interventi in pubblico?
R. è verissimo questo. Io l’ho seguito in tutte le sue campagne elettorali.
Lui non leggeva gli interventi, aveva fiducia nella propria memoria: non
preparava nemmeno schemi o tracce, aveva dentro molto chiaro quello che
voleva dire e lo diceva bene. Sapeva comunicare, parlare il linguaggio
della gente comune trovando le parole giuste per trasmettere i suoi
messaggi. Anche nei ragionamenti più difficili aveva la capacità di trovare
le parole più efficaci; con Emilio Molinari, un suo grande amico e
compagno, aveva in comune questo.
D. Cambiamo argomento: dalla politica alla vita di casa. Da come mi
raccontavi, ho avuto l’impressione che Massimo sapeva cucinare. È vero
anche nei fatti?
R. Massimo è sempre stato un buongustaio, e sapeva cucinare.
Compatibilmente con l’impegno politico – come sai allora eravamo tutti
impegnati nel lavoro militante- dava consigli culinari alle sue compagne di
vita (prima di me c’era stata Ida Farè): lo prendevamo in giro, perché ci
parlava del menù che avrebbe preparato e poi lasciava il compito a noi,
perché doveva finire un articolo o un incontro politico dell’ultimo
momento. In ogni caso devo precisare che noi donne avevamo sicuramente
superato il nostro maestro in cucina!
D. Massimo ha fatto il maggio ’68 francese a Parigi. Ti ha raccontato
aneddoti o lasciato testi di riflessione su quell’esperienza?
R. C’è una bellissima foto, andata purtroppo persa, che lo ritraeva alla
Mutualité (l’evento che segna proprio l’inizio del maggio francese), con
Daniel Cohn-Bendit e Rudi Dutschke, mentre parlava dal palco. Lui è stato
segnalato dalla polizia francese ed è stato dichiarato “interdetto” di
soggiornare in Francia, per la sua partecipazione alle barricate. Mi ricordo
che quando era parlamentare, agli inizi degli anni ’80, ha partecipato ad
una Commissione che si doveva riunire a Parigi e fu fermato alla frontiera,
perché era ancora segnalato come “indesiderato”. Ma è riuscito a far valere
la propria carica pubblica e lo hanno lasciato passare.
Massimo aveva sempre espresso la sua perplessità sull’uso della violenza.
Riconosceva il diritto dei popoli alla lotta di liberazione partigiana, ma
sosteneva che dover ricorrere alla violenza, quando c’erano altre vie per
raggiungere degli obiettivi, fosse una contraddizione. Ci tengo a
sottolineare questa linea di condotta di Massimo, perché faceva parte del
suo carattere: Massimo era combattivo, ma era anche una persona mite,
gentile, dolce insomma.
Il suo impegno in tal senso, contro la lotta armata in Italia, fu deciso e
forte. Fece una testimonianza contro un volantino delle BR e fu minacciato
di essere gambizzato.
Anche negli aspetti organizzativi delle formazioni della sinistra era critico
rispetto alle possibili degenerazioni dei servizi d’ordine, come corpi
separati dall’organizzazione.
Farid Adly: Mi ricordo in un incontro averlo sentito dire che la
militarizzazione dei servizi d’ordine aveva un doppio pericolo: il distacco
dagli obiettivi politici e l’uso della violenza non per difendersi ma per
aggredire; per lui questa deriva sarebbe diventata una degenerazione come
poi la storia ci ha insegnato.
Joan Haim: Io tengo molto a sottolineare questo aspetto…
Inoltre, dopo la sua morte, ho scoperto altri lati nascosti della sua
personalità. Tra i suoi scritti c’erano diverse poesie e racconti di viaggi
risalenti alla sua gioventù: non ne aveva mai parlato in pubblico e neanche
con me, in privato. Questa vena poetica e riflessiva la custodiva per sé.
Insieme ad Ida abbiamo guardato le sue carte e abbiamo scoperto questi
suoi componimenti e riflessioni contro l’uso della violenza.
Nel libro “Massimo Gorla, un gentiluomo comunista” ho voluto che in
quarta di copertina venisse pubblicato un frammento della canzone di
Gaber “Qualcuno era comunista”:
“Qualcuno era comunista perché credeva di poter essere vivo e felice
Solo se lo erano anche gli altri
Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso
qualcosa di nuovo
Perché sentiva la necessità di una morale diversa
Perché forse era solo una forza, un volo, un sogno
Era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita”
E questo rappresenta Massimo molto bene; e molti di noi per fortuna.
In ricordo di Massimo Gorla; gli altri articoli:
Introduzione di Farid Adly: https://www.anbamed.it/2024/01/19/in-ricordo-di-massimo-gorla/
Intervista con Joan Haim: https://www.anbamed.it/2024/01/22/in-ricordo-di-massimo-gorla-intervista-joan-haim/
Le parole di Mario Gamba: https://www.anbamed.it/2024/01/22/in-ricordo-di-massimo-gorla-le-parole-di-mario-gamba/
Contributo di Giorgio Riolo: https://www.anbamed.it/2024/01/22/in-ricordo-di-massimo-gorla-un-contributo-di-giorgio-riolo/
Intervento di Sabino Di Donato: https://www.anbamed.it/2024/01/22/in-ricordo-di-massimo-gorla-un-riferimento-per-i-movimenti-di-liberazione/