La Memoria come strumento di Pace
Tavola rotonda – Piazza Scala – Milano
Organizzazione: FLC-CGIL
di Farid Adly, 28 gennaio 2023
Il colonialismo nasce in Europa ed è all’origine di tutti i genocidi nella storia moderna. Le catastrofi avvenute nell’area mediorientale sono opera del colonialismo britannico e francese; poi l’opera è stata proseguita dagli Stati Uniti con il non meno vorace imperialismo, sfociato nelle invasioni di Afghanistan e Iraq.
L’Eurocentrismo è una visione di superiorità della cultura dell’uomo bianco contro tutti gli altri popoli, considerati inferiori. Il colonialismo non ha prodotto soltanto la schiavitù per milioni di africani, deportati nelle Americhe in condizioni pietose con conseguente morte di molti di loro prima di arrivare alla terra di destinazione. I generali bianchi, di quasi tutte le nazioni europee dominanti nelle varie epoche, anche se in conflitto tra di loro, hanno causato morte e sofferenze per le popolazioni africane.
- L’Italia non è stata immune da questo germe: le bravate dei soldati italiani in Etiopia e in Libia sono note ai più, anche se a scuola non si studiano nel dovuto modo.
- Gi armadi della vergogna del colonialismo britannico sono elencati dall’ottimo “Il libro nero del colonialismo britannico” (uscito anche in Italia per 21 Editore) dello storico marxista inglese John Newsinger.
- Della Francia basta ricordare la carneficina di Sétif e Guelma in Algeria, del maggio 1945, in piena apoteosi per la vittoria degli alleati alla quale i combattenti algerini nelle file francesi hanno contribuito con un alto tributo di sangue.
Alla fine degli anni sessanta c’è stata una copertina della rivista francese Tempi Moderni di Sarte e de Beauvoir, col titolo: “Israel, un fatto coloniale?”. Più di un autore negli articoli interni, ha tolto il punto di domanda.
In occasione della ricorrenza di ieri, il 27 gennaio, ho scritto un editoriale per Anbamed dal titolo: “La Memoria dell’Oggi” QUI.
Il Giorno della Memoria è stato istituito dall’ONU per ricordare il genocidio nazista contro gli ebrei e contro tutte le altre etnie cadute vittime della furia della violenza militare tedesca. Quest’anno la ricorrenza cade mentre è in corso da 113 giorni un’altra carneficina contro il popolo palestinese per mano dell’esercito israeliano, sostenuto militarmente, economicamente e politicamente dagli USA e dalla stessa Germania.
È una giornata importante che tutti dovrebbero ricordare come monito. In tutti questi anni che ho organizzato eventi in questa data, io che sono agnostico, mi sono sentito per un giorno ebreo.
La data scelta è quella del giorno della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz per mano dell’armata rossa sovietica, il 27 gennaio 1945. Richiamando la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 1° novembre 2005, ha ribadito – leggo dalla Risoluzione 60/7 – che “l’Olocausto, che provocò l’uccisione di un terzo del popolo ebraico e di innumerevoli membri di altre minoranze, sarà per sempre un monito per tutti i popoli sui pericoli causati dall’odio, dal fanatismo, dal razzismo e dal pregiudizio”.
Inoltre – aggiunge la stessa risoluzione – “Olocausto è stato un punto di svolta nella storia, che ha spinto il mondo a dire ‘mai più!’. Il significato della Risoluzione è quello di far in modo di ricordare i crimini del passato per impedire che si ripetano nel futuro”.
Purtroppo la storia dell’umanità ci ha dimostrato che questo “Mai più” non lo è stato nella pratica delle relazioni internazionali e non lo è tuttora. La sentenza della Corte di Giustizia Int. dell’Aja, di ieri l’altro, conferma che questo pericolo è una storia dell’oggi. La ricorrenza del 27 gennaio non ha inibito i giudici internazionali ad emettere una sentenza forte che mette il governo di Tel Aviv di fronte alla verità del suo comportamento genocida; una sentenza emessa sulla base di una norma internazionale nata sulla scia del rifiuto dell’orrore nazista.
Per rispettare la memoria delle vittime della II guerra mondiale, bisogna rispettare la vita dei civili che in tutta la Palestina sono sottoposti all’occupazione militare: sono vittime di genocidio a Gaza e dell’Apartheid in Cisgiordania e Gerusalemme est; occupazione e discriminazione compiute per mano del governo e dell’esercito israeliani.
L’antisemitismo è il cancro che divora le società, principalmente quelle europee, ma non solo; manifestare contro le nefandezze di Netanyahu non è antisemitismo; lo afferma un gruppo di ebrei e ebree in un appello di qualche giorno fa. Scrivono: “ci sembra urgente spezzare un circolo vizioso: aver subito un genocidio non fornisce nessun vaccino capace di renderci esenti da sentimenti d’indifferenza verso il dolore degli altri, di disumanizzazione e violenza sui più deboli.
Per combattere l’odio e l’antisemitismo crescenti in questo preciso momento, pensiamo che l’unica possibilità sia provare a interrogarci nel profondo per aprire un dialogo di pace costruendo ponti anche tra posizioni che sembrano distanti.
Non siamo d’accordo con le indicazioni dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane per la giornata del 27 gennaio, in cui viene sottolineato come ogni critica alle politiche di Israele ricada sotto la definizione di antisemitismo. Sappiamo bene che cosa sia l’antisemitismo e non ne tolleriamo l’uso strumentale. Vogliamo preservare il nostro essere umani e l’universalismo che convive con il nostro essere ebree ed ebrei”. (fine della citazione. Il testo integrale lo trovate qui).
I palestinesi sono semiti. Negare loro protezione o peggio ancora negare loro di ricordare al mondo il genocidio attuale, come pretendono certi sostenitori di Israele, è una nuova forma di antisemitismo.
Credo che queste voci, che ho citato prima insieme al comunicato del Laboratorio ebraico antirazzista (leggi tutto) e alle mobilitazioni in tutto il mondo dei giovani palestinesi e arabi nell’emigrazione, siano la luce che scrutiamo nel fondo del tunnel.
Ricordo a tutti noi che non bisogna mai disperare.
Malgrado la catastrofe a Gaza, 26 mila morti e 64 mila feriti, malgrado i rastrellamenti in Cisgiordania e le confische delle case a Gerusalemme est con sull’altro fronte le sofferenze delle famiglie israeliane per i figli in prigionia nelle mani di Hamas e Jihad islamica, dico che non dobbiamo disperare.
Per tornare all’esempio dell’Algeria, ricordo che dopo 131 anni di colonialismo francese, l’Algeria si è liberata con il sacrificio dei suoi figli e figlie che hanno creduto nella giusta causa portata avanti dall’FLN. Quella lotta ha raccolto attorno a sé la solidarietà internazionale di grandi intellettuali francesi ed europei, tra i quali ricordo anche un certo milanese, uno dei fratelli Pirelli, quello buono, Giovanni. Curatore di “Lettere dei condannati a morte della resistenza italiana e lettere della rivoluzione algerina” (edizione Einaudi). Oppure quella di industriali di stato italiani come Enrico Mattei, da non confondere con il farlocco piano Mattei sbandierato a vuoto della prima ministra italiana.
Anche i palestinesi sapranno tessere percorsi e strade che porteranno alla liberazione dei loro territori occupati ed a costruire un rapporto di pace e convivenza con i loro cugini israeliani.
Ci vorrà del tempo, ma avverrà.
Quando sono stato invitato a questa tavola rotonda, mi aveva colpito lo slogan del vostro impegno in difesa della Costituzione Italiana e contro l’autonomia differenziata: “Una, unica e unita”. Il mio primo pensiero è stato rivolto a quel legame sotterraneo che unisce le lotte di tutti i lavoratori e gli oppressi nel mondo. Questo vostro slogan applicato alla Palestina-Israele è una bellissima utopia, che molti sognano tra i figli più accorti e sensibili dei due popoli: uno stato binazionale per uguali diritti e doveri, senza discriminazioni.
“La lunga marcia dei mille miglia, comincia con un passo”, diceva il saggio cinese Lao Tzu.
Farid Adly
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