Questa è la puntata di Marzo della rubrica Finestra sulle Rive Arabe, curata dal gruppo di studiosi di lingua e letteratura araba dal nome Rive Arabe. La rubrica è coordinata dalla prof. Jolanda Guardi.
E se Orwell fosse palestinese?
di Antonino d’Esposito
Femminismo, socialismo utopico e filosofia di una gallina
Nell’immaginario del nostro bestiario quotidiano i polli, e in generale i volatili che nei sussidiari di un tempo rientravano nella categoria “animali da cortile”, non godono di grande rispetto. Infatti, le oche starnazzano, i galli ci svegliano alle luci dell’alba con un verso irritante e le galline hanno un cervello quasi non pervenuto. Eppure, agli albori di una letteratura prettamente palestinese, proprio una gallina assurge a eroina di un romanzo che, a nostro parere, oscilla tra il conte philosophique e la profezia. Nel 1943, Ishaq Musa al-Husayni (1904-1990) dà alle stampe Memorie di una gallina regalandoci un testo che, fortunatamente, di recente è uscito in italiano nella traduzione di Patrizia Zanelli, per le edizioni dell’Istituto per l’Oriente.
La trama non è intricata. Una gallina, dalle spiccate doti speculative, viene strappata dalla “casa” in cui viveva per essere portata in un’altra casa, dove trova un nuovo marito amorevole e tante altre compagne/co-spose, con le quali, tutto sommato va d’accordo. Una forza interiore volta al bene supremo, però, la spinge ad affrontare le compagne affinché queste si migliorino. Quando il gallo muore a seguito delle ferite riportate in un combattimento per difendere il suo harem, le galline hanno finalmente la possibilità di conoscersi davvero e vivere in armonia; per la nostra gallina è l’occasione per provare a realizzare il suo ideale di società. Tuttavia, il sogno si infrange quando la casa viene abusivamente occupata da altre galline che, in un certo senso, costringono gli abitanti originari a una diaspora volontaria nel mondo per diffondere i principi su cui si fonda la filosofia della gallina.
Dietro questa facciata di semplicità i temi trattati sono estremamente profondi ed anticipano tendenze ed eventi storici che segneranno tutta la nostra contemporaneità.
Il paragone con Orwell, già fatto tra l’altro, appare subito appropriato; ma, piuttosto che un semplice accostamento ad Animal farm (forse anche scontato, data l’ambientazione “animale” dei due romanzi), ci sembra più giusto dire che Memorie di una gallina sia, ante litteram, una fusione di elementi che appartengono ai due grandi testi di Orwell, Animal farm, appunto, ma anche 1984. In effetti, nel romanzo inglese gli animali si coalizzano per disfarsi del padrone e fondare una propria società, basata su dei comandamenti, nella quale, in seguito a una degenerazione, i maiali andranno a sostituire la figura umana. Ciò non avviene nel testo palestinese; qui gli umani, definiti “giganti”, non subiscono nessun attacco animale, ma mantengono la loro posizione di comando, non a caso tutti i grandi cambiamenti nella vita della gallina vengono operati dagli uomini, che dispongono liberamente della vita animale. Quindi, Memorie di una gallina ci sembra più prossima a 1984; infatti, la storia di al-Husayni ha i tratti di un grande esperimento sociale, in cui la gallina narrante è una sorta di “big brother” buono, una socialista utopica all’interno del pollaio, che prova a gestire e dirigere i comportamenti degli altri per creare un mondo di pace e armonia, dove non c’è sopraffazione tra gli individui.
La preoccupazione per la condizione femminile è una costante. Sin dalle prime pagine, la gallina si inquieta per la condizione psicologica delle altre, il suo rapporto privilegiato col marito le infastidisce? Le rende più tristi? Le angustia? Una sferzata, a nostro parere, verso la poligamia che viene prontamente smorzata quando la gallina si ammonisce per essersi lasciata andare ancora una volta a “sterili riflessioni filosofiche, ma ho una mente che continua ostinatamente a pensare e riflettere (p.14)”. Poco più avanti, la speculazione continua: adesso la gallina si chiede: “cosa vieta a una femmina di essere come un maschio nel condurre le lotte necessarie per affrontare le disgrazie, eliminare gli orrori e risolvere le crisi (p.20)?” Nel pollaio, la presenza del gallo non permette alle femmine di esprimersi pienamente, né di far fronte alle emergenze perché il maschio è lì per quello, per assolvere alla sua funzione di capo affidatagli dalle tradizioni e dalle consuetudini. La tragica morte del gallo, a seguito dello scontro con l’invasore sconosciuto, diventa allora l’occasione per liberarsi del gioco maschile: la gallina ora può avvicinarsi alle altre e conoscerle per davvero. Rimaste sole e indifese, le galline sono in realtà libere di esprimersi e si dimostrano capaci di convivere armoniosamente. Quando il marito era in vita, l’atteggiamento altruista, sociale e psicologico della gallina veniva travisato, generava incomprensioni e tutta quella serie di sentimenti negativi che, invece, si prefiggeva di eliminare. Morto il maschio, che pure non era cattivo con nessuna delle mogli, esse vengono spogliate dal ruolo imposto loro dalle abitudini. È questo il momento in cui il sogno della società utopica agognata dalla gallina è più prossimo alla realizzazione; eppure, ancora una volta, come vedremo, la mano del gigante interviene per modificare il corso della storia. La biografia della gallina sembra quasi un continuo scontro tra due titani: l’uomo o il gigante, che rappresenta in un certo senso la parte negativa, e la gallina stessa, la parte positiva. Entrambe le entità agiscono per modificare il corso degli eventi; l’uomo condiziona la vita della gallina che, quasi alla Sisifo, accetta gli sconvolgimenti e vi si adatta, e che, a sua volta, prova a condizionare il comportamento dei suoi simili, al fine di perseguire il bene supremo.
“Io, che ragiono, ricorrendo ad analogie e deduzioni, contraddico me stessa e mi rifiuto di accettare un giudizio che non sia sostenuto dall’osservazione e dall’esperienza!” (p.73) questo dichiara la gallina in uno scambio verbale col pulcino del quale si invaghisce. Nel corso della narrazione, essa sottolinea a più riprese il suo metodo di ragionamento, senza far riferimento a particolari correnti filosofiche in modo chiaro, ma verso la fine si tradisce. Questa gallina, estremamente etica e morale, appare a più riprese kantiana fin quando, a pagina 86, tra le righe, lo afferma: è notte, esce da casa e sotto il cielo stellato si mette a riflettere e qui è quasi impossibile non pensare a “la legge morale dentro di me, il cielo stellato sopra di me”. Lì fuori, la gallina scruta l’armonia secondo la quale le stelle si sono divise lo spazio della volta celeste, cosa che sulla terra succede in modo simile tra i fiori, e quest’osservazione la spinge alla riflessione finale del romanzo, l’ultima lezione che impartisce ai pulcini.
Ma cosa era successo nel frattempo nel pollaio? Tutte le galline, ad eccezione dell’eroina e dei pulcini, vengono prese dalla mano del gigante con chiari intenti di macellazione. A questo nuovo sconvolgimento, la gallina reagisce con la sua consueta fermezza di spirito e prova a tenere alto il morale dei piccoli. Un giorno, però, di ritorno da un’escursione, trovano la casa occupata da nuovi abitanti; gli scontri sono inevitabili. Per quanto la gallina si sforzi per mantenere la calma tra pulcini e nuovi arrivati, questi ultimi non sono per niente intenzionati a conformarsi ai principi di vita che guidano la gallina, anzi, vivono perseguendo proprio i principi che essa ha sempre combattuto. Come non pensare in questo punto del romanzo a una metafora che rappresenta il flusso di popolazione di fede ebraica che giunge nella Palestina mandataria ed è preludio alla catastrofe del 1948?
Cosa fare, dunque? All’alba la gallina porta i pulcini sulla collina e tiene loro un discorso dai toni profetici che sa di discorso della montagna. Il mondo, afferma lei, è fatto di idee infondate, dette anche illusioni – come la sopraffazione, l’isolazionismo; “io vi ho allevati secondo i principi di fratellanza e giustizia.” Se allora non è possibile applicare queste idee in casa propria, la gallina sostiene che non è comunque giusto imporle con la forza: la soluzione è andare per il mondo e diffonderle. Alle prime luci del giorno quindi la gallina guarda i piccoli spargersi in tutte le direzioni con l’intento di salvare il mondo attraverso la predicazione del bene; lei, invece, resta perché non può arrendersi all’idea di abbandonare la sua lotta, deve restare tra i nuovi per continuare a provare a diffondere le sue idee.
Memorie di una gallina è un testo breve che, però, ha una portata torrenziale. I temi affrontati, l’originalità della costruzione che, rifacendosi alla tradizione orientale di Kalila e Dimna, anticipa, come abbiamo visto, Orwell, l’allegoria dell’invasione sionista e la profezia della diaspora palestinese fanno del libro di al-Husayni una pietra miliare non solo della letteratura araba in senso ampio, ma anche di quella mondiale.