Riprendiamo questa intervista dal sito Osservatorio Balcani e Caucaso:
Oggi, domenica 31 marzo la Turchia va ad importanti elezioni amministrative. Quale il significato del voto? E quali le prospettive per le principali forze politiche nel paese? Ne abbiamo parlato col noto analista Berk Esen, professore associato di Scienze politiche all’Università Sabancı
di Andrea Lazzaroni qui il link all’articolo originale
I migranti, la crisi economica e Hamas, questi sono i temi su cui più si discute in Turchia alla vigilia delle elezioni municipali di domenica 31 marzo. Quanto influenzeranno il voto?
La questione migratoria negli ultimi mesi è stata utilizzata da due partiti di opposizione per attaccare il governo. In primis da parte dal Partito della Vittoria (Zafer Partisi) guidato da Ümit Özdağ, che si colloca all’estrema destra dello spettro politico, ma in maniera minore anche dal Partito Buono (İYİ Partisi) di Meral Akşener. Non credo però che la crisi dei migranti farà perdere delle municipalità ai partiti di governo.
Allo stesso modo la sensibilità dell’elettorato conservatore nei confronti del conflitto israelo-palestinese non necessariamente si tradurrà in un voto di protesta. C’è delusione causata dal commercio marittimo con Israele, che prosegue indisturbato. In questo senso potrebbe essere premiato il Nuovo Partito del Benessere (Yeni Refah Partisi) capitanato dal figlio di Necmettin Erbakan, padre politico dell’islamismo turco e mentore del presidente Recep Tayyip Erdoğan.
L’inflazione e la relativa erosione del potere d’acquisto dei salari è invece la vera spina nel fianco per la coalizione governativa che, nonostante si presenti compatta al voto a differenza dell’opposizione, deve rendere conto ai suoi elettori di una situazione economica disastrosa, con la lira turca che perde continuamente valore e l’impossibilità di accedere al credito per via degli alti tassi d’interesse imposti dal ministro dell’Economia Mehmet Şimşek, nel tentativo di rimettere i conti in sesto e attrarre di nuovi investimenti dall’estero.
Non a caso la maggior parte dei sondaggi politici danno l’opposizione in vantaggio nei tre principali centri urbani del paese, Istanbul, Ankara e Smirne; peraltro già conquistati nelle precedenti elezioni municipali del 2019.
Quali sono i motivi dietro la nomina di Murat Kurum a candidato sindaco di Istanbul da parte dell’AKP?
Effettivamente nel Partito della Giustizia e del Progresso (AKP) c’erano personalità più carismatiche, con una migliore capacità oratoria. Tuttavia Erdoğan, che negli ultimi anni gestisce il partito in maniera sempre più personalistica, lo ha preferito ad altri nomi per una serie di motivi.
Innanzitutto il presidente turco vuole prevenire l’ascesa di eventuali rivali, per questo sia a Istanbul che in altre città sono stati scelti tecnocrati più che politici di professione. Inoltre Kurum ha ricoperto il ruolo di ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, del quale fa parte TOKI, l’agenzia immobiliare pubblica turca che si occupa di edilizia abitativa di massa e di ricostruzione in aree colpite da disastri naturali.
La sua competenza, unita a una certa docilità, ne hanno quindi fatto il candidato ideale, anche in previsione della futuribile creazione del Canale Istanbul, che collegherebbe il Mar Nero con il Mar di Marmara nella parte europea della città.
Che cosa rappresenterebbe una vittoria o una sconfitta per Ekrem İmamoğlu, il politico d’opposizione di gran lunga più popolare nel paese?
Una vittoria lo consacrerebbe definitivamente a principale rivale di Erdoğan per le prossime elezioni presidenziali, previste per il 2028. Al contrario, una sconfitta lo porrebbe in competizione con l’attuale sindaco di Ankara Mansur Yavaş che secondo gli ultimi sondaggi dovrebbe prevalere agevolmente sul candidato dell’AKP Turgut Altınok.
Per quale ragione il CHP ha forzato la candidatura di Lütfü Savaş ad Antiochia, città semi-distrutta dal terremoto dello scorso 6 Febbraio?
Essenzialmente per mancanza di alternative. Savaş è da ben tre mandati sindaco della città, prima nelle file dell’AKP e poi del CHP, ha sovrinteso all’espansione urbana di Antiochia, a suo carico ci sono più processi pendenti per abuso d’ufficio e corruzione. Il CHP è poi consapevole che la minoranza alawita volente o nolente non abbandonerà il partito repubblicano: Savaş ha quindi buone probabilità di essere eletto nonostante i malumori della popolazione. Al di là di ogni considerazione morale, a volte le peculiarità locali rendono impossibile scalzare un politico dall’influenza così radicata.
Come immagina il proprio futuro politico Recep Tayyip Erdoğan?
Come annunciato recentemente dal ministro della Giustizia Bekir Bozdağ, il presidente turco ha la facoltà di candidarsi per un ulteriore mandato. Ciò può avvenire tramite una modifica della costituzione, ma avrebbe bisogno almeno del consenso di 360 deputati di cui al momento la sua coalizione non dispone. Dovrebbe poi passare attraverso un referendum, un percorso ad ostacoli troppo rischioso alla sua età e in questa congiuntura economica. Per questo motivo la soluzione più semplice sono le elezioni anticipate. Erdoğan al di là delle dichiarazioni di un ritiro dalla politica non sembra pronto a rinunciare al potere, è quindi probabile che scelga quest’ultima opzione.
Come sta evolvendo il blocco islamista nel paese?
Non vedo un futuro roseo. Il governo ha gestito male l’economia e per qualche anno dovrà convivere con l’inflazione e l’impossibilità di spendere denaro come un tempo per stimolare la crescita economica.
Se all’equazione aggiungiamo l’autunno politico di Erdoğan e del leader del Partito del Movimento Nazionalista (MHP) Devlet Bahçeli, persino più in là con l’età, possiamo immaginare un’ulteriore frammentazione dei partiti conservatori, anche perché le nuove generazioni paiono tendere verso forze politiche non certo progressiste, ma nelle quali il ruolo della religione è secondario.
Inoltre non si vedono all’orizzonte degli eredi all’altezza del lascito di Erdoğan. Il genero, Selçuk Bayraktar, dell’omonima azienda produttrice dei famosi droni ha più da perdere che da guadagnare da eventuale ingresso in politica. L’ex-ministro degli interni Süleyman Soylu è una figura troppo divisiva e ormai senza un vero ruolo all’interno del partito. Senza Erdoğan a fare da collante, i conservatori turchi rischiano di entrare impreparati nella nuova stagione politica.
Che cosa resta del movimento curdo orfano da anni del leader Selahattin Demirtaş detenuto nel carcere di massima sicurezza di Edirne?
La questione curda si trascina da decenni e paradossalmente è stato proprio Erdoğan ad avviare nel 2010 la cosiddetta “apertura curda”, conclusasi cinque anni più tardi con la ripresa degli scontri nel sud-est del paese tra i militanti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e l’esercito turco.
Oggi la galassia delle forze filo-curde e di sinistra vive una crisi ideologica e di consensi, vittima della repressione della macchina statale e del crescente nazionalismo tra le nuove generazioni.
Nel caso in cui Ekrem İmamoğlu dovesse vincere in maniera netta le elezioni a Istanbul si può ragionevolmente ipotizzare una futura alleanza con il Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli, l’ultima evoluzione del partito curdo.
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