di Silvana Barbieri
Ho una lettera di Massimo Gorla che risale al 9 ottobre 1963 (esattamente nei giorni in cui crollò la diga del Vajont, ai confini del Friuli-Venezia Giulia e Veneto, e che provocò la morte di 1.917 persone), mi trovavo all’ospedale militare di via Forze Armate per una appendicite e Massimo, non potendo venirmi a trovare, mi scrisse una lettera. Ricordo la sorpresa dell’infermiera quando me la consegnò, il suo sguardo chiedeva chi potessi mai essere per ricevere lettere in ospedale. In effetti, anche per me era stata una emozione. Solo un grande signore poteva avere avuto tanta delicatezza. E, col senno di poi, Massimo era così, un grande gentiluomo, delicato e affettuoso, sempre presente politicamente ma anche attento a te come persona. Questo per dire che lo conoscevo, bene. Da prima del 1963.
Sono entrata alla Sit Siemens il 26 aprile del 1961, avevo 18 anni. Mi iscrissi subito al sindacato e, alla sezione del PCI di riferimento per la cellula della Siemens, conobbi Giovanni Rabotti, detto Rebo, che faceva parte della IV Internazionale. Sicuramente fu lui che ci fece conoscere Massimo, allora responsabile a Milano della IV, con incarichi anche a livello internazionali. All’epoca la strategia politica della IV era praticare l’entrismo nel PCI.
Io ero giovane operaia, semianalfabeta, con una grande carica combattiva e una grande empatia. Le fabbriche in quel periodo pullulavano di giovani, ragazze e ragazzi, e, ben presto, divenni un punto di riferimento per tutta la fabbrica. Rapidamente emersero pesanti contraddizioni tra la grande spinta di cambiamento espressa da quella massa di giovani e un PCI che tardava a comprendere la portata reale di quella spinta.
Nella stessa situazione si trovava Luigi che era responsabile dei giovani comunisti a Sesto S. Giovanni, a contatto con i giovani operai della Magneti Marelli, della Falk e della Breda. Fu facile entrare a far parte della IV Internazionale che mi offriva gli elementi interpretativi della situazione. Ero sbalordita dell’alto livello politico culturale di questi compagni e, soprattutto, di Massimo. Ci affezionammo subito, io rappresentavo il contatto diretto con la fabbrica e, per il gruppo milanese della IV, era una grande conquista. Massimo ai miei occhi non era solo l’uomo politico più colto che io avessi incontrato, era anche un grande signore, preparato politicamente e di un alto ceto sociale. Si interessava molto a come era organizzato il lavoro in fabbrica, di cosa si discuteva tra noi giovani operaie, ed era interessato a sapere, se e come, la Commissione Interna intervenisse sui problemi che sorgevano nei reparti.
Erano anni molto “caldi” di scioperi spontanei, perché l’organizzazione del lavoro era continuamente sotto attacco con i tagli dei tempi. Le operaie avevano spesso dietro le spalle, per intere giornate, i “tempisti” che cronometravano minuziosamente i tempi di montaggio di ciascuna, per poi ristrutturare il lavoro, la mansione con i tempi di lavoro tagliati. Massimo rielaborava tutte queste informazioni e ne faceva la base dei suoi interventi all’interno del federale del PCI milanese. Anche questo mi stupiva, salvo il sindacato, la FIOM (diretto allora dal bravissimo Giuseppe Sacchi il quale si impegnò a far passare in fabbrica il principio della contrattazione collettiva) e la brava Nora Fumagalli, responsabile della commissione femminile del PCI milanese che si preoccupava di far crescere politicamente le giovani operaie, nessuno si interessava così tanto a quello che avveniva nelle fabbriche e soprattutto all’ondata di giovani donne e uomini che emergevano. Massimo invece era molto attento, voleva sapere quello che succedeva dentro la fabbrica ma anche voleva farci crescere politicamente. Spesso nelle riunioni della IV internazionale a Milano veniva posto all’ordine del giorno la situazione nelle fabbriche; con Luigi che seguiva le fabbriche a Sesto San Giovanni, Gino Meloni che lavorava alla Saint Gobain (una grande vetreria) ed io alla Sit Siemes riuscivamo a dare il polso delle condizioni di lavoro del mondo operaio milanese.
Massimo era un compagno particolare, molto colto, molto curioso, molto affettuoso e molto presente. Leggevo con passione i libri che lui e Rebo mi consigliavano dal Profeta armato di Isaac Deutscher, alla Rivoluzione tradita di Lev Trotzskij e testi di letteratura. Appena pubblicato mi fece leggere La costanza della ragione, di Vasco Pratolini di cui avevo già letto tutti gli altri libri.
Le condizioni di lavoro peggioravano giorno dopo giorno, l’insofferenza delle operaie verso quelle condizioni di lavoro aumentava la tensione e, di conseguenza, gli scioperi spontanei, così la Commissione Interna non riusciva a far fronte al disagio che cresceva nei reparti. La situazione in fabbrica, per la Commissione Interna, era incontrollabile. Era maturata la possibilità di proporre i Comitati di sciopero: proposi alla Commissione Interna di far eleggere un rappresentante per ogni reparto che, in collegamento con la Commissione Interna, decidesse le azioni e le forme di lotta. Per me, fu una grande esperienza, ma io, che in queste lotte ero la punta di diamante, avevo paura di non riuscire a portare avanti una esperienza così grossa che, di fatto, avevo imposto e che la Commissione Interna aveva mal digerito. Era la prima volta che in una grande fabbrica a Milano veniva costituito un Comitato di sciopero, una esperienza di democrazia e di partecipazione operaia. Tutti i compagni si resero conto che si stava sperimentando una nuova pagina della lotta operaia e che questa esperienza veniva portata avanti da una giovane e combattività Silvana, molto emotiva e, soprattutto, con la consapevolezza di tutti i suoi limiti formativi. Per tutto il periodo di esistenza dei Comitati di sciopero Massimo, spesso con Laura Hoesch, veniva a prendermi con la “cinquecento” all’uscita dalla fabbrica, mi portava in un bar dove si faceva raccontare tutto quello che era successo e discutevamo insieme come continuare il giorno dopo il rapporto con la commissione interna e la gestione del comitato di sciopero. Mi faceva calmare, mi faceva sentire che non ero sola, mi dava suggerimenti per gestire la situazione il giorno dopo. Lui c’era, era lì, fuori dalla fabbrica, ad aspettarmi.
Di Massimo ho tanti ricordi, è tra i compagni con cui condividerò l’esperienza di Avanguardia Operaia e di Democrazia Proletaria, ma il sostegno pratico, politico, umano che mi diede durante l’esperienza dei Comitati di sciopero è rimasto uno dei più bei ricordi che Massimo mi ha lasciato di sé.