Come accadde nel 1968, gli studenti universitari, prima a New York poi in tutto il mondo, scendono in piazza per chiedere il cessate il fuoco a Gaza. Come allora, queste proteste vengono sedate, con arresti e smantellamenti. Come allora, potrebbero verificarsi ripercussioni sulle elezioni americane di novembre
di Andrea Colamedici e Maura Gancitano
7 maggio 2024
(Riprendiamo questo articolo da Vanity Fair; da QUI
Hanno fatto il giro del mondo le immagini del campus della Columbia University, a New York, in cui gli agenti di polizia hanno sgomberato la Hamilton Hall, uno storico edificio che era stato occupato da manifestanti pro Palestina. Negli ultimi mesi oltre 2 mila studenti e docenti universitari che manifestavano solidarietà al popolo palestinese sono stati arrestati nei campus statunitensi. A suscitare numerose reazioni e riflessioni sono state l’azione massiccia e repressiva dei poliziotti e il fatto che, nell’aprile del 1968, quello stesso edificio era stato occupato dai giovani che manifestavano contro la guerra in Vietnam.
Mentre la tensione aumenta anche in altre università americane, è importante chiedersi dove sia il limite tra libertà di espressione e garanzia di sicurezza, e quanto il diritto al dissenso oggi sia in pericolo, soprattutto quando si tratta di giovani e di proteste nelle università, come abbiamo visto anche in Italia nelle ultime settimane.
C’è anche un altro fattore: quel che sta accadendo potrebbe avere delle conseguenze sulle elezioni del novembre del 2024, che vedranno probabilmente Joe Biden scontrarsi di nuovo con Donald Trump. Queste vicende, infatti, stanno oscurando le vicende giudiziarie di Trump e creando conflitti all’interno del partito guidato da Biden. Anche, qui, dunque, un parallelo con il 1968, in cui le elezioni decretarono vincitore il repubblicano Richard Nixon e spostarono l’asse democratico ancora più a destra, sebbene i giovani stessero manifestando ovunque per la pace e per il ritiro delle forze militari dal Vietnam.
Il primo maggio è stato approvato alla Camera degli Stati Uniti l’Antisemitism Awareness Act. Con questa misura si adotta la definizione aggiornata di antisemitismo dell’Ihra, International Holocaust Remembrance Alliance. Lo speaker della Camera Mike Johnson ha spiegato che l’atto è finalizzato a «combattere l’antisemitismo nei campus universitari», ma la definizione dell’Ihra è considerata da molti «troppo larga». Il senatore Bernie Sanders, che ha perso gran parte della propria famiglia durante l’Olocausto, ha affermato che con questa legge «se stai protestando o non sei d’accordo con quello che Netanyahu e il suo governo estremista stanno facendo a Gaza, sei un antisemita. (…) Non è antisemita né pro-Hamas evidenziare che in quasi sette mesi il governo estremista di Netanyahu ha ucciso 34 mila palestinesi e ferito più di 77 mila persone – il 70 per cento delle quali sono donne e bambini». «Se questo disegno dovesse diventare legge potrebbe soffocare la libertà di parola di chi critica Israele o sostiene i palestinesi», ha affermato il deputato democratico Jerry Nadler, che si definisce «devoto sionista».
In un tempo delicatissimo come il nostro, in cui la minaccia di una nuova guerra mondiale non è più così remota, bisogna fuggire da ogni tipo di discriminazione e ingiustizia. È in atto un pericoloso incremento dell’antisemitismo, che va necessariamente arginato e non confuso con le proteste che chiedono il cessate il fuoco a Gaza. Dev’essere responsabilità comune far fronte a questo inasprirsi devastante dei toni, perché il rischio di farsi – tutti – del male è davvero alto.