Per ascoltare l’audio di oggi, 18 maggio 2024:
Anbamed, notizie dal Sud Est del Mediterraneo
(testata giornalistica online fondata da Farid Adly.
Direttore responsabile Federico Pedrocchi)
Rassegna anno V/n. 132 (1383)
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Le notizie:
Genocidio a Gaza
I generali israeliani hanno compiuto ieri 4 stragi, bombardando palazzine densamente abitate a Rafah: 31 uccisi e 56 feriti.
Il numero totale delle vittime dall’inizio dell’aggressione su Gaza è di 35.303 uccisi e 79.261 feriti.
Situazione umanitaria
L’occupazione del valico di Rafah da parte dei carri armati israeliani e la sua conseguente chiusura, al traffico di persone e merci, hanno causato gravi danni alla popolazione di Gaza intrappolata. Migliaia di persone affette di malattie croniche, che aspettavano di potere uscire dalla Striscia e curarsi all’estero, hanno visto svanire le loro aspettative di guarire o di potersi curare. Malati di cancro e altri che necessitano di ricorrenti dialisi non hanno più la possibilità di farsi curare nelle strutture palestinesi, oramai ridotte a cumulo di macerie, per l’accanimento dell’esercito israeliano nella distruzione sistematica e puntigliosa del sistema sanitario palestinese di Gaza.
Secondo un rapporto dell’UNRWA, 33 ospedali su 35 esistenti precedentemente a Gaza sono stati messi completamente fuori servizio. La mancanza di medicine e di carburanti hanno cancellato ogni tipo di assistenza ai malati e feriti anche negli ambulatori improvvisati che sono stati aperti per garantire un minimo di aiuto. La minaccia dell’imminente offensiva su Rafah ha costretto finora 600 mila di sfollati palestinesi a sfollare di nuovo verso il centro della Striscia.
Porto galleggiante USA
Centcom ha annunciato che il porto galleggiante costruito dall’esercito USA sulle coste di Gaza è pronto e può entrare immediatamente in funzione. Ha anche sottolineato che questa linea di collegamento non è alternativa ai valichi di terra. La prima nave proveniente da Cipro è attraccata ieri e camion provenienti dalla zona centro e sud di Gaza hanno iniziato a scaricare gli aiuti forniti da diversi Stati e organizzazioni umanitarie internazionali. Secondo fonti USA, tramite questo porto si potrà fornire circa 150 camion al giorno. Le agenzie dell’ONU hanno accolto positivamente la notizia, ma hanno ribadito che non è sufficiente e non è alternativo ai passaggi di terra, che Israele ha chiuso.
Le organizzazioni politiche palestinesi temono che il compito principale di questo porto non sia la fornitura di aiuti umanitari, ma di diventare una via per la deportazione “volontaria” dei palestinesi verso paesi ospitanti, contattati precedentemente da Israele, come Canada, Australia e paesi africani e europei.
Cisgiordania e Gerusalemme est
Un combattente delle Brigate Jenin è stato assassinato ieri con un missile lanciato da un caccia israeliano. L’uomo preso di mira era Islam Khamaissy, della Jihad islamica. Nel bombardamento sono state ferite altre 8 persone.
A Bal’a, nei pressi di Tulkarem, l’esercito di occupazione ha attaccato la manifestazione settimanale contro la colonizzazione ebraica delle terre del villaggio. Un manifestante, Karim Iemeir, è stato assassinato con un colpo di mitra.
Per favorire la colonizzazione ebraica nel distretto di Ramallah, l’esercito israeliano ha chiuso tutti gli ingressi del villaggio di Sinjel con blocchi di cemento e cumuli di sabbia. In un’unica strada ha costruito un posto di blocco con cancello di ferro. La popolazione in questo modo è racchiusa in un ghetto e può spostarsi soltanto quando lo decidono i soldati di occupazione. È un modo diabolico di far perdere i raccolti e impedire ai contadini di raggiungere i loro terreni agricoli, lasciandoli facile preda delle occupazioni dei coloni.
Corte Giustizia Int.
A L’Aja, la delegazione israeliana ha offeso il Sud Africa definendo la sua causa un cumulo di bugie e di antisemitismo, aggiungendo che “Pretoria agisce per non vedere sconfitta la sua alleata Hamas”. Il presidente dell’udienza ha premesso all’intervento difensivo della delegazione israeliana invitando Israele ad assicurare che il suo esercito non compia nessuna violazione delle norme internazionali. Una consigliera del ministero degli esteri israeliano, nel suo intervento alla Corte, ha avuto l’ardire di sostenere che “Israele non ha chiuso i valichi di collegamento con Rafah e che non ha impedito l’ingresso di prodotto alimentari, medicine e carburanti per la popolazione di Gaza” e poi ha aggiunto: “L’esercito israeliano continua a migliorare i servizi sanitari in tutta Gaza”. Un cumulo che bugie che ha portato una persona del pubblico ad alzarsi e gridare: “State raccontando un sacco di bugie”. Un altro membro dell’equipe legale israeliana si è lamentato del poco tempo dato per rispondere alle accuse del Sud Africa e ha criticato il comportamento della Corte che non aveva accettato il rinvio chiesto da Tel Aviv.
Si attende presto, probabilmente lunedì, un responso della Corte.
Segnaliamo che questi sviluppi alla Corte di Giustizia Internazionale hanno ricevuto un silenziamento totale, da parte dei giornaloni scorta mediatica del genocidio in corso a Gaza. Neanche una riga. Per seguire le due sedute, potete vedere le registrazioni video sul sito dell’ICJ: QUI.
Il nuovo antisemitismo
Il caso di Seif BenSouibat è emblematico. Insegnante algerino di lingua francese, in una scuola romana, è sottoposto ad una persecuzione poliziesca e giudiziaria per aver detto la verità sul genocidio a Gaza. È stato perquisito a casa sua dalla polizia, come se fosse un pericoloso terrorista, sospeso dal dirigente scolastico, sottoposto dalla polizia alla sospensione e revoca del permesso di soggiorno umanitario, infine due giorni fa. il 16 maggio, è stato prelevato dalla sua abitazione e trascinato a nel lager CPR di Ponte Galeria, dove attualmente è detenuto in attesa di decreto di espulsione.
È razzismo istituzionale che colpisce selettivamente gli arabi. È il nuovo antisemitismo. Contro queste discriminazioni si è formata una mobilitazione che chiede di fermare la mano della censura e di salvare Seif dalla persecuzione di Stato. Per aderire: siamo.tutti.seif@gmail.com
Turchia-Curdi
Quarantadue anni di reclusione per quarantasette diversi capi d’imputazione. Non finisce l’incubo per Selahattin Demirtas, il leader curdo di Turchia, già in prigione dal 2016, che oggi è stato condannato a 42 anni di carcere da un tribunale di Ankara, ritenuto colpevole, tra le varie accuse, di avere “aiutato a distruggere l’unità e l’integrità territoriale dello Stato” e “incitato il pubblico a disobbedire alla legge” per dei comizi contro l’Isis durante l’assedio di Kubane.
Terza forza del parlamento turco, il Partito democratico dei popoli (Hdp, oggi Dem) è oggetto di una repressione implacabile dal 2016, l’anno dell’arresto di Demirtaş.
L’altra ex copresidente dell’Hdp, Figen Yüksekdağ, è stata condannata a trent’anni e tre mesi di prigione.
I governatori di almeno quattordici province del sud e del sudest del paese, dove vive una grande comunità curda, hanno vietato le manifestazioni per quattro giorni, secondo l’ong Mlsa.
All’annuncio della sentenza, alcuni deputati del Dem hanno esposto i ritratti dei due leader in parlamento.
“Abbiamo assistito a una parodia della giustizia”, ha affermato il Dem in un comunicato. Gli avvocati della difesa hanno annunciato ricorso in appello. (Per approfondire).
Tunisia
La corte di cassazione ha confermato la condanna di 3 anni di reclusione al leader del partito Ennhada, Ghannouchi. Il processo è quello riguardante i finanziamenti esteri ricevuti dal partito islamista prima delle elezioni presidenziale del 2019. La condanna definitiva prevede anche una sanzione pecuniaria di 3 milioni e 643 mila dinari tunisini (1 milione e 470 mila dollari). Contro l’anziano leader Ghannouchi (83 anni), dall’aprile 2023 in carcere, sono in corso altri 3 procedimenti giudiziari pretestuosi.
La polizia nel 2023 ha chiuso tutte le sedi del partito islamista e ha vietato tutte le attività politiche a nome del partito e queste misure sono state poi applicate anche alla coalizione di partiti, Fronte di Salvezza, della quale Ennahda fa parte.
Per maggiori approfondimenti: QUI
Cultura
Al festival di Cannes, la direzione ha imposto una chiusura contro ogni espressione politica. Le dichiarazioni degli artisti sono state molto blande, anche coloro che sono di origine araba o provenienti dal mondo arabo. La stessa presenza cinematografica palestinese è fortemente ridotta.
L’attrice francese di origine algerina, Leila Bakhti, si è accontentata di esporre una spilla con un’anguria che rappresenta simbolicamente i colori della bandiera palestinese. Un membro della giuria ha pubblicato un post sui social nel quale chiedeva il cessate il fuoco. Troppo poco rispetto alle prese di posizioni, in festival di oltreoceano, di attori statunitensi di origine ebraica che hanno espresso dal palco il loro pensiero di condanna al genocidio, chiedendo il cessate il fuoco in diretta.
Notizie dal Mondo
Sono passati due anni, due mesi e 24 giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina.
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Appello 2
Mai Indifferenti. Voci ebraiche per la PACE leggi tutto
Approfondimenti
76 anni di Nakba, la cacciata dei palestinesi dalla loro terra: qui
[Finestra sulle Rive Arabe] “Il mare nella letteratura araba contemporanea”, di Antonino D’esposito. QUI
- Due anni fa l’assassinio di Shireen Abu Akileh: QUI
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