di Duccio Facchini*
Dati inediti dell’Agenzia delle dogane certificano che tra dicembre 2023 e gennaio 2024 Roma ha esportato a Tel Aviv armi e munizioni da guerra, e non a uso civile come fatto intendere, per oltre due milioni di euro. Una condotta che potrebbe costare al nostro Paese un’accusa di complicità nella violazione del diritto internazionale di fronte alle Corti dell’Aia
Dati inediti dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli ottenuti da Altreconomia attestano che solo nei mesi di dicembre 2023 e gennaio 2024 l’Italia ha esportato in Israele armi e munizioni da guerra e non per uso civile per oltre due milioni di euro.
I valori forniti dall’Agenzia governativa tolgono ogni alibi all’esecutivo guidato da Giorgia Meloni, che nelle scorse settimane, dopo che le nostre inchieste sull’export di armi a Tel Aviv avevano smentito le rassicurazioni fornite da diversi ministri (Tajani e Crosetto su tutti) circa uno stop integrale, aveva tentato di mettere in dubbio la correttezza e l’interpretazione dei dati forniti dalle Statistiche del commercio estero dell’Istat, sostenendo che quelle cifre pubblicate includessero anche componenti di natura “civile” (rivoltelle, pistole, sciabole, spade, baionette e così via), distorcendo così la realtà.
Sorvolando sulla problematicità legata in ogni caso all’esportazione di armi e munizioni “civili” in contesti critici come la Cisgiordania occupata, le Dogane, ovvero la fonte dell’Istat, hanno fornito oggi dati scorporati per sottocategorie della voce “Armi e munizioni” che permettono di andare nel dettaglio e sottrarre la discussa componente “civile”.
Impressiona il valore dell’export della categoria “Bombe, granate, siluri, mine, missili, cartucce ed altre munizioni e proiettili, e loro parti” relativo ai mesi di dicembre 2023 e gennaio 2024, cioè nel pieno dell’attacco militare di Israele a danno della popolazione civile della Striscia di Gaza e dell’assunzione di misure cautelari da parte della Corte internazionale di giustizia dell’Aia per “plausibili” atti di genocidio commessi da Tel Aviv: 730.869,5 euro a dicembre dello scorso anno, quasi raddoppiati a 1.352.675 euro a gennaio 2024. “Cifre elaborate sottraendo la quota di munizioni comuni non oscurate dall’Istat: ciò significa che si tratta di materiale interamente a uso militare”, conferma Giorgio Beretta, analista esperto dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal).
E questo è un grosso problema per l’Italia, considerando che stiamo parlando potenzialmente di sottocategorie quali “Cartucce e loro parti per armi da guerra”, “Cartucce per pistole mitragliatrici”, “Munizioni e proiettili da guerra”.
Lo rileva anche Triestino Mariniello, docente di Diritto penale internazionale alla John Moores University di Liverpool, già nel team legale delle vittime di Gaza di fronte alla Corte penale internazionale. Quella stessa Corte che il 20 maggio ha dato un segnale rilevantissimo, con la richiesta formulata dal procuratore capo Karim Ahmad Khan di emettere mandati di arresto nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, del ministro della Difesa Yoav Gallant, del capo di Hamas nella Striscia, Yahya Sinwar, del leader Ismail Haniyeh, e dell’alto vertice delle Brigate al Qassam, Mohammed Deif.
“L’esportazione di armi a Israele da parte di Paesi europei è un fatto estremamente rilevante dinanzi alla Corte penale internazionale così come alla Corte internazionale di giustizia”, osserva il giurista. In che senso e con quali differenze? “Partiamo dalla Corte internazionale di giustizia e dalla causa intentata dal Sudafrica a carico di Israele per violazione della Convenzione sul genocidio: i giudici a gennaio e a marzo di quest’anno hanno imposto misure cautelari per porre fine ad atti di plausibile genocidio e per garantire l’ingresso di beni essenziali a Gaza. Esportando armi a Israele, il nostro Paese starebbe perciò violando precisi obblighi di prevenzione di atti di genocidio e si sarebbe reso complice della facilitazione della commissione di atti plausibilmente genocidiari, nella piena consapevolezza di questo rischio. E uno Stato terzo potrebbe richiamarci alle nostre responsabilità, così come ha fatto il Nicaragua nei confronti della Germania per la medesima questione”.
Poi c’è la Corte penale internazionale, che si occupa come detto di responsabilità penali individuali. “Qui il discorso è diverso -osserva Mariniello-. Occorre attendere infatti gli sviluppi a seguito della richiesta del procuratore capo Khan. Se la Camera dei giudici, in via preliminare, dovesse individuare prove sufficienti contro i leader israeliani incriminati, allora anche in quel caso si potrebbe configurare una responsabilità penale individuale in capo agli esponenti al vertice del governo italiano per aver facilitato la commissione di gravi crimini internazionali, cioè crimini di guerra e contro l’umanità. Il procuratore contesta infatti l’aver affamato intenzionalmente la popolazione civile, il crimine di guerra di sterminio, l’aver condotto attacchi intenzionali contro i civili, violando così il principio di distinzione”.
Beretta richiama l’attenzione anche sul Trattato delle Nazioni Unite sul commercio di armi del 2013, che sul punto è molto chiaro. “L’Italia, stando al Trattato cui aderisce, avrebbe dovuto prendere in considerazione il rischio che le armi potevano essere utilizzate per ‘commettere o agevolare gravi atti di violenza di genere o atti di violenza contro donne e bambini’. E se dopo la concessione di un’autorizzazione fosse venuta a conoscenza di ‘nuove informazioni rilevanti’ era ‘incoraggiata’ dal Trattato a ‘riesaminare la sua autorizzazione dopo aver consultato, se necessario, lo Stato importatore’”. Tutto questo non è accaduto. “Non è un caso -continua Beretta- che, nonostante le ripetute richieste della Rete italiana pace e disarmo, nelle contestate modifiche alla legge 185/1990 il governo abbia scelto di ignorare qualsiasi richiamo esplicito al Trattato. Perché proprio sulla valutazione delle autorizzazioni e sospensioni all’invio di armi quella norma internazionale è più precisa e restrittiva rispetto alla legge 185″.
Il ministro della Difesa Guido Crosetto, dopo aver inizialmente sostenuto che le “vendite armi ad Israele” fossero state “sospese dopo il 7 ottobre”, ha dovuto ammettere in Senato a metà marzo di quest’anno dopo l’inchiesta di Altreconomia che quelle “licenze di esportazione verso Israele autorizzate prima del 7 ottobre erano già state in gran parte utilizzate, mentre su quelle non ancora utilizzate, cioè quelle già autorizzate prima, l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (Uama) ha fatto una valutazione caso per caso”. Aggiungendo poi che queste non riguardassero “materiali che possano essere impiegati con ricadute nei confronti della popolazione civile di Gaza”.
Mariniello è perplesso. “La tesi del governo circa una valutazione caso per caso fatta da Uama e una presunta inoffensività delle armi è assolutamente irrilevante agli occhi delle Corti. Non è infatti oggetto di sindacato l’offensività o meno di quelle forniture ma il fatto di averle esportate o meno nella piena consapevolezza del gravissimo rischio che si correva. Di fronte all’evidenza, lo Stato e i decisori politici avevano e hanno il preciso obbligo di fermare la vendita di armi così come di interrompere finanziamenti a questo scopo, training o anche la cessione di strumenti di possibile ‘dual use’. Queste rassicurazioni paventate dal governo non escludono affatto una precisa responsabilità per complicità”. Quale sarà la prossima scusa?
Articolo tratto da Altreconomia: QUI