In questa rubrica riprendiamo in sintesi, ma fedelmente, opinioni, commenti ed editoriali apparsi sulla stampa araba, che valutiamo siano di un certo interesse per il lettore italiano. La pubblicazione non significa affatto la condivisione delle idee espresse.

Rubrica a cura di Margaret Petrarca


Il futuro incerto dei drusi di Israele

di Lama Fakih e Sally Nasr

Flickr

Il futuro incerto dei drusi di Israele

Da: Orient XXI (Parigi)

Data di pubblicazione: 18 aprile 2024

Link:
https://orientxxi.info/magazine/l-avenir-incertain-des-druzes-d-israel,7245


Fin dai primi bombardamenti a Gaza, i drusi di Israele hanno mostrato il loro sostegno al governo e all’esercito. È la sola minoranza del Paese a svolgere il servizio militare obbligatorio. Del resto, la loro fedeltà allo Stato è storica. Ma l’accaparramento delle terre e la legge del 2018 che definisce Israele uno “Stato ebraico” hanno portato a un forte malcontento e talvolta anche alla ribellione.

La presenza drusa in Palestina risale al XVII secolo, quando la comunità si stabilì in Galilea dal monte Libano. All’inizio del mandato britannico, questa contava circa settemila membri, insediati in 18 villaggi al nord del Paese. Oggi, i drusi di Israele contano circa 150.000 persone, pari all’1,6% della popolazione totale. Pur essendo integrata, questa minoranza gode di una certa autonomia e si differenzia dalle altre perché gli uomini drusi devono svolgere il servizio militare obbligatorio nell’esercito israeliano.

Quando è iniziata l’operazione “Diluvio di al-Aqsa”, i drusi si sono schierati apertamente con l’esercito, confermando così la loro lealtà a Tel Aviv. Considerati da tempo traditori della causa palestinese, vengono mal giudicati dagli arabi, perfino dai loro correligionari del Libano e della Siria. Qual è dunque il loro posto in uno Stato che chiede il riconoscimento del suo carattere ebraico? E come coniugano l’integrazione con la preservazione della loro identità?

SOSTEGNO ALL’ESERCITO

In seguito al 7 ottobre, i drusi si sono mobilitati a sostegno dei loro compatrioti israeliani sfollati, mettendo a disposizione cibo e alloggi di emergenza. Il loro leader spirituale, Sheikh Mowafaq Tarif, ha subito espresso il suo sostegno all’esercito di fronte a quello che ha definito un “attacco terroristico”. I drusi che gli prestano servizio sono circa 2.500. Alcuni sono stati uccisi durante i combattimenti o presi in ostaggio da Hamas – in totale sette soldati e quaranta civili dal 7 ottobre 2023. Ma Tarif cerca soprattutto di far valere i propri diritti su una questione spinosa e addirittura vitale per la sua comunità: quella degli espropri e delle sanzioni legate alle costruzioni illegali.

A causa delle politiche israeliane, negli ultimi sessant’anni i drusi hanno perso quasi due terzi delle loro terre. Nel 1950, una popolazione di circa 15.000 persone possedeva 325.000 dunum (32.500 ettari) di terra. Nel 2008, in 100.000 ne avevano appena 116.000 (11.600 ettari).

ORDINI DI DEMOLIZIONE SERIALI

Di fronte all’obbligo di lasciare le loro terre, definite “terre morte” o per le quali i proprietari non avevano i documenti necessari, gli abitanti di alcuni villaggi colpiti dagli espropri, come Yarka e Kisra, hanno cominciato a esercitare una crescente pressione sul governo. A Beit Jann, il conflitto ha preso una piega più violenta. Nella regione del monte Meron, i drusi hanno visto il loro territorio trasformarsi in una riserva naturale. Nel 2004, poi, sono state spiegate le forze armate nel villaggio di Isfiya per confiscare terreni. Nel 2009, sono stati realizzati sette nuovi progetti che collegano Israele da nord a sud passando attraverso i villaggi drusi. Così, nel 2010, sono scoppiati nuovi scontri con la polizia.
Alcuni dei terreni acquisiti dallo Stato vengono poi affittati a prezzi spropositati ai drusi che hanno prestato servizio nell’esercito, rendendo impossibile la costruzione di case all’interno dei loro stessi villaggi. Negli ultimi vent’anni, alcuni hanno scelto di stabilirsi in città ebraiche, mentre altri hanno optato per costruzioni illegali. Nel 2017, l’emendamento della legge Kaminitz sull’urbanistica ha legalizzato gli ordini di demolizione, colpendo anche le famiglie dei soldati caduti. Le sanzioni includono inoltre pesanti multe e la reclusione. Questa legge può essere applicata con brevissimo preavviso da semplici ispettori edili, senza tenere conto delle circostanze personali che hanno portato all’infrazione. In risposta, Sheikh Tarif ha intensificato i suoi appelli al governo, minacciando di prendere “misure senza precedenti” se la legge non verrà abolita. E, anche se dopo il 7 ottobre ha rinnovato la fedeltà della sua comunità a Israele, non ha comunque esitato a ribadire le sue esigenze.

“PRIVILEGI PIÙ CHE DIRITTI”

La sua insistenza non si limita a risparmiare alla sua gente demolizioni, multe e altre sanzioni. Si tratta di garantire la coesione del gruppo e la sua continuità, impedendo ai giovani di trasferirsi in località ebraiche, dove finirebbero per integrarsi.
Soprattutto dopo che, con l’adozione della legge sullo “Stato-nazione del popolo ebraico”del 2018, i drusi sono diventati consapevoli di godere di “privilegi più che di diritti” e di subire una discriminazione che li esclude dalla nazione israeliana. Decine di migliaia di persone hanno marciato nel centro di Tel Aviv per chiedere uguaglianza. Sembra quindi legittimo affermare che i drusi, come altre minoranze, “possono considerare la cittadinanza non una forma di attaccamento allo Stato, ma piuttosto un contesto che dà loro il potere legale di opporsi alle politiche di quello Stato”.

UNA STRATEGIA DI ACCOMODAMENTO

Alla luce di queste realtà, quale posto occupano i drusi all’interno dello Stato israeliano? Fu verso la fine degli anni Venti che i sionisti iniziarono a interessarsi alla comunità drusa in Palestina, che vedevano come un potenziale alleato nel progetto di uno Stato ebraico. Questi, infatti, non presero parte alle sommosse del 1929, cosa che indebolì la resistenza palestinese. I drusi optarono allora per una strategia di accomodamento e di coesione nell’ottica di sopravvivere in un ambiente a dir poco ostile.

A differenza degli arabi delle aree urbane, in origine i drusi erano contadini che vivevano principalmente sul monte Carmelo e in Galilea. Non avevano istituzioni organizzate, risorse economiche o interazioni politiche con gli altri gruppi. Non presero parte al dibattito nazionale e alla campagna antisionista portata avanti dai movimenti arabi dell’epoca. Quindi non percepirono l’immigrazione ebraica come una minaccia, ma piuttosto come un’opportunità per avviare un progresso economico, sociale e politico nei loro villaggi.
I mercati ebraici aprirono una nuova via ai loro prodotti agricoli, venduti per la prima volta al di fuori dei confini locali. Gli insediamenti permisero loro di accedere più facilmente all’assistenza sanitaria, grazie al personale medico proveniente dall’Europa. L’alleanza tra ebrei e drusi era basata quindi su interessi comuni, che sembravano giustificare la loro dominante neutralità durante la rivolta araba nella Palestina mandataria del 1936-1939.

UN’IDENTITÀ SPECIFICA E RICONOSCIUTA

Dopo la creazione dello Stato di Israele, si formò un’identità drusa israeliana distinta da quella araba. Nel 1957, questa passò attraverso l’istituzione di un consiglio religioso, seguito poi, nel 1962, da quello di tribunali comunitari. Alla voce nazionalità, il termine “arabi” fu sostituito da “drusi”. Negli anni Cinquanta, alcuni membri della comunità parteciparono alla Knesset, prima di accedere ad altri importanti incarichi politici e diplomatici. Non essendo riusciti a fondare un proprio partito, i drusi si sono uniti nel corso degli anni a organizzazioni tradizionali, come il partito laburista o il Likud, nonché, più di recente, a Kadima e Israel Beitenu. Eletto più volte nelle liste di Israel Beitenu, il deputato Hamad Amar ha rivendicato l’uguaglianza tra drusi ed ebrei: c’è lui all’origine della legge votata nel 2018, che ha reso il primo marzo la giornata nazionale per il contributo della comunità drusa.

Questa fedeltà a Israele deriva anche dallo specifico programma scolastico druso, che dal 1977 instilla nella comunità un particolare senso di identità e fedeltà allo Stato di Israele, oltre all’apprendimento della lingua ebraica. Essendo bilingui, non c’è voluto molto prima che diventassero gli interpreti dei tribunali militari, cosa che li costringe a rimanere neutrali.

SERVIZIO MILITARE OBBLIGATORIO

I drusi furono incorporati nell’esercito fin dalla fondazione Israele. Dal 1956, a differenza degli altri palestinesi in Israele, sia cristiani che musulmani, sono obbligati a prestare il servizio militare. Fatta eccezione per la piccola comunità circassa, i drusi sono gli unici non ebrei a essere arruolati nell’esercito. D’altro canto, questo permette loro di godere di notevoli vantaggi economici, cosa che rende l’esercito sia una fonte di sicurezza finanziaria che un indicatore del loro particolarismo comunitario.

I soldati drusi sono molto spesso schierati in prima linea e subiscono perdite pesanti in proporzione al loro numero. Per questo motivo alcuni intellettuali della comunità vedono questa legge come un atto di colonizzazione, la quale, tra l’altro, impedisce ai giovani di continuare gli studi. La percentuale di laureati drusi è la più bassa di tutte le minoranze. Così, nel 2014, la campagna “Rifiuta, il tuo popolo ti proteggerà” incoraggia i giovani a rifiutare di svolgere il servizio militare. Il movimento mira a sensibilizzare i drusi sulla loro storia araba e a rendersi conto delle manipolazioni israeliane. L’opposizione drusa critica anche il divario di sviluppo tra i suoi territori e i vicini insediamenti ebraici, che beneficiano di infrastrutture moderne e servizi pubblici avanzati.

Insomma, la lealtà dei drusi di Israele può essere spiegata soltanto attraverso una serie di fattori storici, geografici e perfino religiosi (come il principio della taqiyya, o dissimulazione) loro caratteristici. Agiscono per pragmatismo e con l’intento di salvare i propri interessi. Certo, un piccolo numero di drusi ribadisce il proprio rifiuto di condurre “la battaglia di un governo fascista”, come sottolineato sui social il 15 ottobre 2023 dalla pagina “Rifiuta, il tuo popolo ti proteggerà”. Eppure, non possono rinnegare la nazionalità israeliana, come hanno fatto invece i loro correligionari nel Golan, spinti da un forte senso di appartenenza nazionale alla Siria. A dispetto delle divergenze, queste due comunità druse mantengono un certa solidarietà. Sheikh Tarif non esita a sottolineare le sue rivendicazioni, in particolare per quanto riguarda il progetto di turbine eoliche che il governo israeliano ha intenzione di sviluppare sui terreni agricoli drusi.

Il futuro dei drusi dipenderà dall’esito dell’attuale guerra di Israele contro i palestinesi. Il governo, già alle prese con una profonda spaccatura interna, rivedrà le sue politiche discriminatorie nei confronti di una minoranza che combatte nelle file del suo esercito? Quale sarebbe il loro destino nel caso di una ridistribuzione dei territori a favore dei palestinesi, o addirittura di un’avanzata di Hezbollah sulle loro terre situate a pochi chilometri dal confine libanese?

Traduzione dal francese di Margaret Petrarca

Articolo originale: https://orientxxi.info/magazine/l-avenir-incertain-des-druzes-d-israel,7245

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