Continua, con questo articolo della collega Stefania Limiti, il dossier PER NON DIMENTICARE SABRA E CHATILA. il conflitto israelo palestinese non è iniziato il 7 ottobre.
di Stefania Limiti +
Lo status di profugo è una terribile realtà del nostro tempo che l’Occidente tenta come può di gettare sotto il tappeto (ma rispunta con la forza drammatica da ogni barcone avvistato in mare). I Palestinesi conoscono molto bene la condizione di rifugiato da oltre settanta anni, cioè da quando furono cacciati dalle loro case per fare posto al nascente stato israeliano. Oggi si stima che i palestinesi siano circa 5 milioni in giro per il mondo, oltre alle martoriate popolazioni di Gaza e Cisgiordania e agli oltre 500 mila persone che vivono nel piccolo stato libanese, dove nel settembre 1982 l’allora ministro della Difesa israeliano Ariel Sharon, con la fattiva collaborazione delle milizie falangiste (cristiane-maronite), provò ad applicare la soluzione finale: lo sterminio. Questo fu il senso del massacro realizzato con estrema efferatezza nei due poverissimi campi profughi di Sabra e Shatila, alla periferia sud della capitale Beirut.
Dal 2001 il Comitato per non dimenticare Sabra e Shatila, fondato dal giornalista de Il Manifesto Stefano Chiarini insieme a Maurizio Musolino, entrambi prematuramente e improvvisamente scomparsi (2007 e 2016), si reca in Libano con una delegazione di attivisti provenienti da diverse esperienze per partecipare agli eventi e alle manifestazioni organizzate per ricordare le vittime di allora e quelle di oggi: chi allora morì ammazzato barbaramente – gambe spezzate, pance delle donne incinte aperte, corpi bambini ingiuriati: leggete 4 ore a Shatila, testimonianza in diretta di Jean Genet – e che non ha mai avuto giustizia – i responsabili del massacro, a cominciare dall’allora ministro della Difesa israeliano Ariel Sharon, sono rimasti impuniti – e chi vive oggi da eterno rifugiato che viene umiliato e ammazzato con crescente barbarie dal governo di Israele, fino alla distruzione del territorio di Gaza, nel silenzio attivo del suo principale sponsor statunitense. C’è una orribile continuità nei massacri di ieri e di oggi: si pensi all’Unrwa. Qualche anno fa i governi di Tel Aviv e Washington iniziarono un orribile al tiro al piccione contro questa agenzia delle Nazioni Unite che si occupa esclusivamente dei rifugiati palestinese e che è simbolo del diritto al ritorno, togliendo finanziamenti per far sopravvivere uomini, donne e bambini nei campi profughi da Gaza, alla West Bank, dalla Libano alla Siria: oggi il personale dell’Unrwa viene direttamente accusato di terrorismo e ammazzato mentre svolge il loro lavoro umanitario.
Per ricordare il massacro del 1982, tragico simbolo della sofferenza e della resistenza palestinese, e per portare solidarietà a chi vive che nei campi profughi libanesi, anche quest’anno una folta delegazione del Comitato, dal 15 al 21 settembre, si unirà a quelle di altri paesi: per una intera settimana delegazioni provenienti da tutto il mondo visiteranno le case dei rifugiati, incontreranno le autorità politiche e istituzionali, faranno sentire la loro voce a fianco di quella parte di società dimenticata e che alcuni vorrebbero cancellare dalla storia. La vita nei campi è sempre stata molto dura ma un tempo c’era l’Olp di Yasser Arafat che era in grado di far fronte alle necessità di base offrendo anche una organizzazione della vita al loro interno e una prospettiva a chi è costretto a vivere ospite non gradito, senza diritti, cittadino di serie b – i palestinesi non hanno mai chiesto la naturalizzazione ma il ritorno nella loro terra. Poi, nel corso negli anni, le cose si sono via via sempre più complicate a causa della crisi economica mondiale che ha avuto effetti terribili sulle fasce più povere e delle guerre che hanno aggiunto profughi ai profughi. Oggi la situazione è resa ancor più terribile dall’escalation militare che Israele sta provando ad innescare in tutta l’area, per colpire i settori della resistenza libanese che riuscirono nel 2000 a liberare tutto il sud del paese occupato dall’esercito israeliano (che oggi tenta di rientrare).
La presenza di una delegazione internazionale così ampia, che viaggia da nord a sud del paese, portando ovunque le ragioni della propria azione politica, rappresenta un momento di solidarietà e vitalità per i palestinesi che da troppi anni dicono al momento, inascoltati: noi siamo un popolo, non una somma di individui, vogliamo dignità e una terra nostra
Il Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila lavora a fianco del proprio storico referente a Beirut Kassem Aina, responsabile dell’Associazione Beit Atfal Assumoud vedi qui, una Ong palestinese fondata nel 1976 che offre assistenza ai rifugiati presso i dodici campi profughi palestinesi in Libano. Beit Atfal Assumoud organizzerà gli incontri e le iniziative della settimana dedicata ai martiri di Sabra e Chatila e alle vittime di oggi della brutalità israeliana.
+ Stefania Limiti è giornalista freelance e scrittora saggista.