di Milad Jubran Basir – Giornalista italo Palestinese
Quando Sharon invase il Libano nel 1982 aveva in mente un progetto militare e politico ben preciso, ovvero quello di demolire e distruggere una volta per sempre la resistenza palestinese guidata da Arafat che era insediata nel Libano. L’Olp di Arafat, con i partiti progressisti libanesi, aveva resistito per tre mesi davanti alla macchina bellica israeliana, registrando una resistenza unica nel suo genere.
Il Libano, come è noto, ha avuto una guerra civile dal 1975 al 1990, che ha provocato ufficialmente oltre 150.000 morti e circa 80.000 sfollati in tutto il territorio libanese. La resistenza palestinese era già presente in Libano sin dal 1967, a seguito della guerra dei sei giorni, ma questa presenza ha avuto un aspetto formale e sostanziale subito dopo il “settembre nero” in Giordania, nel 1970, quando lo scontro militare tra i palestinesi e il Re Hussein è diventato molto duro e l’Olp di Arafat ha scelto di abbandonare la Giordania. Come racconta Shafiq Al Hout, uno dei fondatori dell’Olp, nonché ex Ambasciatore della Palestina in Libano, “il Libano era il nostro Hanoi “perché allora l’Olp aveva bisogno di un terreno adeguato dove stabilirsi per potere attaccare Israele. La Giordania aveva i fucili puntati, l’Egitto aveva il Sinai occupato e la Siria non aveva le braccia aperte per i palestinesi.
Dopo tante mediazioni di diversi Stati, Arafat ha accettato di lasciare Beirut per venire accolto assieme ai suoi uomini a Tunisi, dove stabilì il suo quartiere generale. Dopo la sua partenza verso Tunisi che era il 30 agosto 1982 si assiste a quello che possiamo considerare un atto di “pulizia etnica”: il 16, 17 e 18 settembre 1982, giovedì, venerdì e sabato, le milizie libanesi, assieme all’esercito israeliano, entrano nei campi profughi di Sabra e Shatila, compiendo una strage tra i civili, con 3500 persone, bambini, donne ed anziani circondati e uccisi anche con l’arma bianca.
Novembre 2023: il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, a seguito di una azione militare da parte di Hamas (nuova formazione politico militare di ispirazione islamica, nata nel 1987) che ha provocato 1200 morti israeliane e oltre 200 ostaggi secondo il governo israeliano, scatena la guerra su Gaza con lo scopo formale di riportare gli ostaggi a casa e distruggere la resistenza palestinese, programmando un nuovo genocidio, che come 42 anni fa, ha l’aspetto di una vera e propria pulizia etnica provocando oltre 170.000 morti e feriti, oltre i dispersi . È Un genocidio.
Purtroppo, la storia si ripete in modo identico e mi riferisco al contesto regionale, all’obiettivo sotteso nelle azioni del governo israeliano ed infine alla reazione della Comunità Internazionale.
Il mondo arabo e la Comunità Internazionale condannano a parole, ma non con fatti concreti. Oggi come allora una politica di aggressione e di “pulizia etnica” ai danni dei palestinesi non viene fermata, e oggi come allora crea i presupposti perché nuove tragedie si scatenino.
L’unico elemento di novità rispetto al periodo che ha visto il massacro di Sabra e Shatila è stato l’accordo di Oslo, quando l’Arafat combattente e leader riconosciuto al livello mondiale scelse la sola strada politica e assieme a Rabin, primo ministro israeliano, in accordo con gli Stati Uniti, scommettono sul futuro e firmano un patto di pacificazione tra i loro popoli. Gli accordi di Oslo prevedevano la creazione di uno Stato palestinese, alla fine di un processo che sarebbe iniziato con l’Autonomia palestinese. Rimangono irrisolte grandi questioni ed in primis le colonie israeliane nel territorio dell’Autonomia Palestinese, questione che scoppia in tutta la sua drammaticità con l’assassinio dello stesso Rabin da parte di un colono integralista israeliano, e si trasforma in un percorso di occupazione della Cisgiordania che non vede interruzioni, portando agli odierni 800.000 coloni israeliani dislocati a macchia di leopardo nel piccolo territorio a giurisdizione palestinese.
Come si vede le questioni aperte negli anni della strage di Sabra e Shatila e ai tempi di Oslo lo sono ancora oggi, nessuno stato e nessun diritto è stato garantito ai palestinesi.
La parentesi di Oslo, quando i leader di questi due popoli hanno indicato un nuovo modo per convivere, oltre la violenza e il conflitto armato, non ha trovato seguito, e il pensiero genocida dei governanti israeliani di allora e di oggi è proseguito in modo autentico.
Allora di fronte al massacro si sono alzati voci autorevoli denunciando il fatto, oggi di fronte al genocidio il mondo civile tace e si limita a chiedere moderazione e al massimo a condannare in modo timido e in tantissimi ancora rifiutano di chiamarlo genocidio.
A queste persone vorrei ricordare il grido di Don Dossetti che dopo la notizia del massacro di Sabra e Shatila, scriveva al Primo Ministro Israeliano Menahem Begin queste parole: “sono un monaco italiano che da dieci anni vive in questa terra (cfr Ain AriK, presso Ramallah, nota dell’autore), ho scelto di vivere gli ultimi anni della mia vita in questa terra perché è la terra della rivelazione di Dio e dell’incarnazione del figlio di Dio, Gesù. In nome del Dio unico e in nome di Gesù e del suo Vangelo, debbo dire che tutto in me si ribella al massacro di Beirut e debbo dichiarare con forza che non è lecito in assoluto e per nessun motivo”. Rivolgendosi a chi stava in silenzio, Dossetti scriveva : “Talvolta si danno delle circostanze estreme in cui il silenzio non è più consentito, se può essere inteso come condiscendenza di comodo o addirittura come tacita complicità”.
In questa 42° anniversario di quel massacro e il genocidio che si sta consumando contro il popolo palestinese a Gaza e in Cisgiordania e visto il pronunciamento della Corte Penale Internazionale e la Corte di Giustizia dobbiamo assieme al mondo libero e alla società civile chiedere l’apertura del fascicolo relativo al massacro di Sabra e Shatila attraverso il consiglio di Sicurezza e portare i criminali di allora e di oggi davanti alla giustizia per essere giudicati dal Tribunale Penale Internazionale perché la storia li ha già giudicati.
La Comunità Internazionale deve pretendere l’applicazione del diritto e la legalità riconoscendo lo Stato della Palestina con piena sovranità entro i confini della guerra dei sei giorni con Gerusalemme Est sua Capitale.
Questa è la strada maestra per rendere omaggio a quelle vittime che sono state trucidate in modo incivile e disumano allora come oggi solo perché palestinesi e per rendere giustizia ad un popolo che sta lottando da oltre 70 anni per il suo diritto all’autodeterminazione per la sua libertà e per vivere in pace come tutti i popoli.
Milad Jubran Basir – Giornalista italo Palestinese
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