di Fabio Scuto (da Il Fatto Quotidiano del 22.10.2024)

“Così cacceremo gli arabi. E Gaza sarà tutta nostra”

La destra di Bibi “Morte ai gazawi”

People wave flags, on the day of a conference on the resettlement of the Gaza Strip, in Be’eri, southern Israel, October 21, 2024. REUTERS/Janis Laizans

“Siamo qui per conquistare, cacciare via gli arabi e tornare a vivere a Gaza”, la voce di Sima Hasson leader del gruppo di ultradestra Mothers Parade moltiplicata dagli amplificatori cala sulla folla assiepata sullo sterrato al confine sud fra Israele e la Striscia di Gaza. In un migliaio urlano “morte agli arabi, morte ai terroristi” mentre lei dopo una pausa a effetto urla nel microfono: “Non sto parlando di prenderci solo una zona di Gaza, la parte settentrionale, intendo invece ogni singolo lembo di terra. È l’unico modo in cui salveremo i nostri ragazzi dall’andare costantemente in guerra”.

Quello di Sima Hasson è stato forse uno degli interventi più a effetto a questa conferenza celebrativa – organizzata nelle tende per il Sukkot sui confini con Gaza dall’ultradestra israeliana, quella che fa capo ai coloni, quella che fa capo ai messianici, quella che risponde alle parole d’ordine del ministro di Polizia, Itamar Ben-Gvir. L’ex avvocato senza clienti, se non i teppisti del Beitar Jerusalem e i razzisti del “Lehava”, che è il punto di riferimento dentro il governo di Benjamin Netanyahu. Ma chiunque pensi che l’idea di occupare in modo permanente la Striscia di Gaza e di costruirvi di nuovo degli insediamenti colonici sia prerogativa di pochi messianici è in errore.

Tra gli intervenuti c’erano diversi ministri ed esponenti di primo piano del Likud, il ministro May Golan e i membri della Knesset, Buaron, Guetta, Gotliv, Dallal, Vaturi, Milwidsky, Kallner, Shitrit e Shkalim. Il partito del premier si è persino fatto carico del catering. Solo a qualche centinaio di metri dal luogo scelto per l’evento c’è il kibbutz di Be’eri, teatro di uno dei massacri del 7 ottobre. I sopravvissuti – un centinaio – che sono tornati a vivere nell’insediamento con bandiere gialle e le foto dei loro cari ancora ostaggio nella Striscia, hanno manifestato il loro dolore e la loro rabbia contro questi profeti della supremazia e dell’odio, tenuti ben distanti dai conferenzieri da un fitto cordone di poliziotti. Sullo sfondo, in lontananza, i fumi che si alzano dalle macerie di Rafah, con i morti abbandonati sopra e sotto le sue rovine. Una città all’ultimo spasimo, senza cibo, senz’acqua, senza corrente, senza un ospedale funzionante, senza un posto sicuro per una tenda. L’inferno sulla Terra.

Il ministro di Polizia, Ben Gvir, nel suo intervento non ha lesinato il suo odio e il suo disgusto. “Quello che abbiamo imparato quest’anno è che tutto dipende da noi perché noi siamo i proprietari di questa terra”, ha sostenuto Ben-Gvir con aria ispirata, “vedo i terroristi (i palestinesi, ndr) nelle loro celle che adesso piagnucolano per ciò che ci siamo ripresi. E questo è per noi la prova che quando vogliamo davvero qualcosa abbiamo successo”. Il discepolo del rabbino razzista Meir Kahane ha anche una sua ricetta per lo sfollamento della Striscia: “Incoraggeremo il trasferimento volontario di tutti i cittadini di Gaza, offriremo loro l’opportunità di trasferirsi in altri paesi, perché quella terra ci appartiene”. Fra le diverse anime dell’ultradestra, non poteva mancare Daniella Weiss, la pasionaria dei coloni della Cisgiordania. “Siamo qui con un obiettivo chiaro: colonizzare l’intera Striscia di Gaza, ogni centimetro da nord a sud – ha sostenuto la Weiss – siamo migliaia, siamo pronti a trasferirci a Gaza in qualunque momento, col massacro del 7 ottobre gli arabi hanno perso il diritto di stare qui e non ci resteranno!”. Finora Netanyahu ha mantenuto le distanze da queste idee, è stato attento a dire che Israele non ha intenzione di costruire insediamenti a Gaza. Lo ha detto alla Cnn a maggio, lo ha ribadito sulla tv Channel 14, e poi ancora nel suo discorso al Congresso Usa in luglio. Le idee politiche del movimento per gli insediamenti rappresentano una parte considerevole della società israeliana e Bibi se ne compiace, anche se non può dirlo pubblicamente.

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