riceviamo dall’amico Mario Giro il libro, da lui curato e scritto a più mani, “Piano Mattei, come l’Italia torna in Africa” (Guerini e Associati, 2024, pp. 182, € 18,50), Alla stesura del libro hanno collaborato molti esperti e studiosi dell’Africa oltre ad analisti ed esperti di cooperazione: Jean-Léonard Touadi, Nino Sergi, Cléophas Adrien Dioma, Massimo Zaurrini, Raoul Ascari, Giorgio Traietti, e Silvia Stilli, Emmanuel Dupuy, Antella Cavallari.
Mario Giro è stato viceministro degli Esteri nei governi Renzi e Gentiloni; saggista, editorialista; membro della Comunità di Sant’Egidio.
Pubblichiamo qui sotto l’introduzione al libro e vi promettiamo di farne una recensione al più presto possibile, appena il collega incaricato dalla redazione avrà finito di leggerlo.
Introduzione
di Mario Giro
Cos’è l’Africa per l’Italia e per l’Europa? Da alcuni anni non si fa che parlarne eppure il continente nero rimane sfuggente. Lo si dipinge alternativamente come terra del le opportunità economiche o come mostro demografi co pronto a schiacciarci; giacimento a cielo aperto o antro di malattie e pandemie; partner per gli aiuti internazionali o socio nel commercio internazionale; lions on the move (Mc Kinsey) o bottom billion (Paul Collier). C’è una lunga storia tra Africa subsahariana ed Europa, al centro della quale si colloca la colonizzazione che provoca sentimenti contro versi e forse oggi una rottura sentimentale, una relazione di odio-amore che pareva indissolubile ma che finisce. Resta un legame: gli africani sanno quasi tutto degli europei; questi ultimi molto meno di loro. Non sono affatto sorpresi di come vengono trattati: spesso sfruttati come manodopera a basso costo e senza garanzie. Tutto ciò assomiglia molto all’economia «informale» che ben conoscono e che rappresenta l’80% di quella africana. D’altronde la globalizzazione sta rendendo «informali» vari settori anche in Occidente: ciò che in Africa si dice «informale» altrove si chiama «al nero», precario o «sommerso». Per rispondere alla domanda su quale potrebbe essere una nuova relazione con l’Africa, il governo presieduto da Giorgia Meloni ha proposto il Piano Mattei. Con il vertice 10 Italia-Africa del 28-29 gennaio 2024 il nostro Paese si è in camminato con decisione su tale terreno complesso. Una struttura di missione è stata creata, diretta da diplomatici di grande esperienza come Fabrizio Saggio, consigliere diplomatico del presidente del Consiglio, e Lorenzo Ortona. Inoltre tutto il sistema della cooperazione allo sviluppo ha iniziato a muoversi in quella nuova direzione con il direttore generale alla cooperazione allo sviluppo Stefano Gatti e il direttore dell’Agenzia della cooperazione Rober to Rusconi. Il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli dà l’orientamento politico permanente a tale struttura, che già ha compiuto le sue missioni «di sistema» nel continente per dialogare con le competenti autorità africane, a cui partecipano gli ambasciatori delle varie aree regionali del continente, con riunioni in loco sotto la guida del se gretario generale della Farnesina Riccardo Guariglia. Ol tre alla struttura di missione, il Piano Mattei ha una cabina di regia presieduta dalla presidente del Consiglio e in cui siedono, accanto al ministro degli Esteri Antonio Tajani e al viceministro Cirielli, anche gli altri ministri coinvolti, i capi e responsabili delle principali istituzioni di Stato, dal governatore della Banca d’Italia, alla Cassa depositi e pre stiti, alla SACE ecc. Partecipano anche gli amministratori delegati di grandi imprese come ENI, Webuild ecc. Infine vi sono i rappresentanti delle ONG e della società civile. È la prima volta che si istituisce una regia così ampia che permette a tutti di conoscere gli stati di avanzamento del Piano e di avere un’immagine la più completa possibile di tutto ciò che l’Italia fa con l’Africa. Come si vede si tratta di un intero pezzo di amministrazione che si sta muoven do concentrando contatti e pensiero attorno agli obiettivi che di volta in volta vengono individuati ed elaborati con i partner africani. Si discute sui media e nei corridoi della politica se le risorse messe a disposizione (come quelle del Fondo Clima, oltre alla cooperazione) siano sufficienti ma la novità del piano risiede nel fatto che l’Africa sia diventata una priorità politica nazionale toccando quasi tutti i li velli di governo: un impulso di estroversione assolutamente necessario. Vi sono stati altri momenti in cui l’Africa e la coopera zione sono stati messi al centro dell’attenzione e della programmazione governativa, come il Forum della coopera zione a Milano del 2012, voluto dall’allora ministro dell’Integrazione e Cooperazione Andrea Riccardi del governo Monti. In quel governo l’esistenza di un ministro dedicato ai temi della cooperazione è stata un’assoluta novità nella composizione del gabinetto, purtroppo non più ripetuta. Successivamente dell’Africa si parlò molto per la guerra di Libia, alle cui conseguenze il governo di Enrico Letta cer cò di porre riparo senza l’aiuto degli altri europei. Furono anni in cui si discusse di Africa soltanto in termini migra tori, con ripetuti tentativi di accordi con i Paesi d’origine dei migranti che non hanno avuto l’esito ricercato a causa di un approccio esclusivamente concentrato sulle priorità europee, prendendo poco in conto quelle continentali (come si è visto dagli scarsi risultati del vertice Europa- Africa di Malta del 2015). Del resto l’Europa ha sostanzialmente lasciato l’Italia da sola di fronte all’aumento dei flussi dal Mediterraneo. Durante il governo di Matteo Renzi fu portata a termine la tanto attesa riforma della cooperazione con la nascita dell’Agenzia (legge 125, 11 agosto 2014), tuttavia operativamente rallentata da molte lentezze nella discussione sulle competenze, sul ruolo del ministero degli Esteri e sulla questione della sede. Ci fu in parlamento anche l’idea di un Africa Act a cui lavorarono la deputata Lia Quartapelle e il sottoscritto. Dal 2013 si sono tenute annualmente alla Farnesina le conferenze Italia-Africa a livello ministeriale. L’impressione di fondo dei nostri partner africani era che l’Italia aveva certamente un approccio diverso, più flessibile, volenteroso e meno paternalistico degli altri europei, ma mancava di continuità. La scommessa del Piano Mattei del governo Meloni è 11 12 quella di superare tale limite creando una vera e propria azione sistemica che duri nel tempo. La frattura tra Occidente e Africa, segnatamente con la Francia in Africa occidentale, rende tale compito arduo. Nei recenti colpi di Stato continentali abbiamo visto bruciare bandiere francesi e alzare quelle russe. Sono scene del Mali o del Burkina Faso e infine del Niger (anche se non in Gabon e nemmeno in Guinea Conakry). Si tratta di una rottura definitiva con l’Occidente? Lo si è visto nei ripetuti voti alle Nazioni Unite dove il continente si è spaccato sulla condanna alla Russia. Più ancora si è notato nel caso della guerra a Gaza: l’Africa intera si è schierata con i palestinesi quasi spontaneamente. Vengono al pettine i nodi delle relazioni post-indipendenza guidate in Africa occidentale dalla Francia con il silenzio-assenso europeo. I sentimenti di vicinanza con l’antica metropoli sono progressivamente venuti meno in maniera impercettibile, quasi senza che se ne capisse la ragione. Non basta puntare il dito sul neocolonialismo (quell’intreccio di interessi economico-politici con le ex metropoli, proseguito anche dopo le indipendenze): era sui banchi dell’accusato da molto tempo, controbilanciato tuttavia da un diffuso sentimento di prossimità culturale e linguistica che oggi sembra improvvisamente svanito. La chiamano una «rottura sentimentale» che si allarga a tutta l’Europa. Si parla di rivolta del Sud globale. La caduta del sistema della guerra fredda ha rappresentato, com’è noto, la fine delle ideologie contrapposte. Al loro posto c’è stato l’avvento delle identità e/o delle emozioni, di per sé molto volubili. Secondo il politologo franco-americano Dominique Moïsi, le relazioni tra gli Stati e i popoli sono ormai rette da una «geopolitica delle emozioni», le più significative tra le quali sono la speranza, l’umiliazione (e il rancore ad essa connesso) e la paura (del declino). Per le nazioni e le classi politiche tali emozioni non si fermano al sentimento popolare ma si trasformano in cultura e programmi partitici. Nella post-globalizzazione tutti si sentono al medesimo tempo nativi ed estranei: di conse guenza più o meno spaesati. È ciò che stanno vivendo i giovani africani: ogni punto di riferimento è scomparso, terremotato dai cambiamenti geopolitici in atto. Lo spaesamento stravolge la vita quotidiana: il vecchio mondo del quale si erano imparati valori e gerarchie è scomparso. Tutto è in grande e generale rimescolamento, come le frontiere del Sahel che sembrano sparite nella sabbia del deserto. I jihadisti contestano i confini degli Stati africani (così come fece l’ISIS in Iraq e Siria), ma anche le reti criminali li oltrepassano senza darsene cura. Il mercato globale ha insegnato a scavalcare i vecchi ordinamenti. Così Andrea Riccardi descrive lo spirito del tempo: davanti a un mondo così complesso siamo tutti un po’ incompetenti… ci manca la capacità di assimilare tanta informazione. A volte siamo presi da un senso di impotenza di fronte a situazioni lontane e poco comprensibili… Oggi la complessità disorienta e confonde. Uno degli effetti maliziosi è la trappola complottista: credere a congiure e dietrismi senza fine. In molti riscrivono la propria storia per affermarne una visione vittimista ricostruita ad arte, allo scopo di giustificarsi. Il vittimismo si diffonde dovunque, in un gorgo di eccitazioni e passioni con poco fondamento che si trasformano in una realtà parallela. La democrazia viene sfidata da tali narrazioni alternative che sembrano spiegare le vicende attuali in maniera più semplice. Il finto complotto (definito storico) contro la Russia/URSS diviene una giustificazione per le scellerate decisioni di guerra del Cremlino. Ma anche le manipolazioni post-coloniali di Parigi divengono la scusante per i golpe militari antidemocratici. La geopolitica delle emozioni si sta trasformando nella cultura della cancellazione (cancel culture): ciò che non piace della storia passata, ciò di cui c’è da vergognarsi (rileggendola con lo sguardo attuale), va cancellato ed eliminato, forma moderna di damnatio memoriae. La storia non si cancella anche se si può dimenticare. Ciò che stanno vivendo le relazioni euro-africane oggi è un piano inclinato in cui le emozioni celano (e guidano) interessi nascosti o agende nemmeno tanto segrete di potere e controllo delle risorse. Dialogo e convivenza sono messi in crisi e la frattura avviene quasi senza averla decisa. Soltanto un’analisi lucida delle reciproche responsabilità e la ricerca di un nuovo quadro di mutuo rispetto e vantaggio potranno permettere di ricostruire con l’Africa quella fiducia di cui oggi i giovani – africani ma anche italiani ed europei – hanno bisogno. Tale è la sfida del Piano Mattei: una prova non solo economica ma anche culturale e politica che Giorgia Meloni ha sintetizzato in una formula efficace: «rapporto paritario e non predatorio». In queste pagine gli autori, partendo da punti di vista diversi, hanno l’ambizione di arricchire il ragionamento e lo sforzo comune.