Il Prof. Alessandro Orsini risponde alla senatrice Liliana Segre sul genocidio che il governo e l’esercito israeliani stanno compiendo a Gaza.
“Risposta, molto rispettosa, a Liliana Segre. Il dibattito sul genocidio a Gaza, reale o presunto che sia, non può prescindere dalle scienze sociali. Nel suo articolo per il Corriere della Sera, Liliana Segre ha indicato due caratteristiche del genocidio che, a suo dire, sarebbero assenti a Gaza. Avendo studiato nei miei libri l’organizzazione dei massacri di Robespierre in Francia, di Mao in Cina, di Stalin in Russia e di Pol Pot in Cambogia, mi permetto di segnalare alcune caratteristiche del genocidio presenti a Gaza.
Per impostare il dibattito pubblico in maniera rigorosa, dobbiamo ricorrere innanzitutto alla sociologia fenomenologica per mettere in discussione il significato delle parole che l’uomo comune dà per scontato. In questo caso, la parola che tutti danno per scontata è “guerra”. Tutti parlano di “guerra” a Gaza. Ma siamo sicuri che ciò che accade a Gaza sia una guerra? A Gaza non ci sono mica due eserciti regolari che si scontrano come accade in Ucraina. C’è soltanto un esercito che spara quasi esclusivamente contro la popolazione civile, come tutte le immagini mostrano e come confermano, almeno in questa fase iniziale delle indagini, la Corte penale internazionale e la Corte internazionale di giustizia dell’Onu. L’esercito israeliano ha distrutto tutte le scuole, le moschee, gli ospedali, le case e i campi profughi dei palestinesi usando copiosamente le potentissime bombe MK-84 concepite per cancellare indiscriminatamente tutto ciò che toccano con crateri smisurati. In secondo luogo, l’esercito israeliano ha ucciso oltre 44.000 persone in dodici mesi. Tuttavia, autorevoli riviste parlano di (almeno) 186.000 morti dirette e indirette. Un caso di morte indiretta sono i palestinesi che defungono per un infarto perché gli ospedali non funzionano o i bambini che muoiono perché vengono amputati senza anestesia, come ha testimoniato il medico britannico-Palestinese Abu Sittah. Il bimbo morto per amputazione senza anestesia non rientra nel calcolo dei 44.000.
Questa è una caratteristica tipica del genocidio: distruggere tutte le condizioni materiali di esistenza di un popolo per precipitarlo nella disperazione affinché non si rialzi più. In terzo luogo, Israele ha chiuso tutte le vie di fuga ai palestinesi conferendo loro due caratteristiche tipiche dei popoli soggetti a genocidio: non hanno difese e non hanno scampo. Anche questo è tipico dei governi genocidi: chiudere tutte le vie di fuga ai dominati uccidendo i civili impunemente senza freni. In quarto luogo, Israele ha ridotto i palestinesi alla fame impedendo loro di ricevere cibo e aiuti umanitari con stragi di efferata crudeltà, come la strage della farina del 29 febbraio 2024: una strage del tutto immotivata contro i civili palestinesi falcidiati dai mitragliatori israeliani mentre si lanciavano affamati verso i camion dell’Onu con il cibo. Stragi così disumane sono tipiche dei genocidi dove le vittime vengono completamente disumanizzate. L’articolo in oggetto del Corriere della Sera commette anche un errore metodologico: l’errore di giudicare ciò che accade ai palestinesi in base al punto di vista del Corriere della Sera stesso. Mentre il genocidio degli ebrei è stato raccontato dagli ebrei stessi, le cui testimonianze sorreggono tutti i libri sull’Olocausto, nessuno ha chiesto ai palestinesi che cosa essi pensino di ciò che sta capitando loro. Il fatto di non includere il punto di vista delle vittime nella scrittura della storia delle vittime è un errore metodologico grave quando si fa “storia”.
Quando diciamo che il governo Netanyahu non intende commettere un genocidio – domando – abbiamo incluso le parole dei ministri israeliani che hanno invocato l’uso della bomba atomica contro Gaza o le parole di Gallant che, in una conferenza pubblica, disse che avrebbe colpito tutti i palestinesi, definiti “animali umani”, per punire Hamas? I palestinesi ci chiedono di includere questi fatti nella “nostra” storia su di loro. Ce lo chiede anche la teoria postcoloniale di Edward Said, Homi Bhabha e Gayatri Chakravorty Spivak. C’è poi la convinzione di Liliana Segre secondo cui indicare come “genocidio” ciò che accade a Gaza svaluterebbe l’orrore infinito dell’Olocausto nazista. Ma quale dato o fatto sorregge una conclusione di questo tipo? Per quel che mi riguarda, l’Olocausto nazista resterebbe un orrore assoluto sia che a Gaza sia genocidio, sia che a Gaza sia pulizia etnica.
Aggiungo che, nella letteratura scientifica sulla violenza politica, la pulizia etnica è talmente simile al genocidio che gli esperti fanno difficoltà a distinguere chiaramente tra i due, tant’è vero che l’enciclopedia di Oxford sul terrorismo concepisce la pulizia etnica come una “variante” del genocidio.
Infine, sono d’accordo che le parole dovrebbero essere usate con cautela, ma non è nemmeno possibile, almeno in una società libera, che la parola “genocidio” sia “ostaggio” di una élite del potere. Il prossimo genocidio non si presenterà identico al genocidio organizzato da Hitler. Per questo motivo, noi occidentali non riusciremo a riconoscerlo, a causa dei nostri limiti culturali e dei nostri pregiudizi eurocentrici”.