In Siria stiamo assistendo ad uno scenario libico.
Il tiranno della dinastia degli Assad sta per scappare da Damasco, se non l’avesse già fatto. E farà la fine dell’altro dittatore, Gheddafi.
In una guerra lampo, nel giro di una settimana, le città di Aleppo e Hama sono cadute nelle mani di Tahrir Sham, principale formazione dell’arcipelago delle milizie jihadiste siriane sostenute ed armate dalla Turchia di Erdogan. Le forze del governo siriano si sono ritirate, intimorite dal largo uso di jihadisti suicidi e soprattutto di droni kamikaze da parte dell’opposizione armata e dalla mancanza di sostegno da parte dell’Iran, della Russia e di Hezbollah; presenze che avevano permesso il dominio su Hama (dal 2014) su Aleppo (dal 2016), dopo lunghe battaglie e duri bombardamenti aerei. Le forze jihadiste sono in procinto di conquistare Homs, ultima città prima di raggiungere la capitale Damasco. La ritirata delle truppe governative si è ripetuta città dopo città e villaggio dopo villaggio, adducendo scuse legate a tattiche e strategiche inesistenti. Era una fuga dal fronte per la disparità delle forze militari, ma anche per la sfiducia in un regime oppressivo e sanguinario. I soldati di leva sono, infatti, vittime delle atrocità e non complici.
Le forze di sicurezza e le truppe speciali, guidate dal fratello del dittatore, Maher, sono le vere responsabili delle peggiori sevizie contro gli oppositori o supposti tali. Dal carcere di Aleppo è stato liberato un cittadino libanese di 60 anni che è stato imprigionato da 40 anni fa dopo il suo arresto in Libano durante l’occupazione siriana, senza sapere che colpe abbia avuto.
Sul ruolo della Turchia nell’offensiva è molto chiaro dalle parole di Recep Tayyip Erdogan, che non lasciano dubbi sull’implicazione di Ankara nel sostegno agli insorti: «La marcia dell’opposizione continua ad avanzare. Speriamo che continui senza incidenti o problemi». Un cinismo senza confini.
Se Hezbollah ha tutte le ragioni per essere impegnato nella difesa del Libano dall’occupazione israeliana, le due potenze presenti militarmente in Siria, l’Iran e la Russia, principali alleati del dittator Bashar al-Assad, hanno espresso in vari modi, diretti e indiretti, che non sono intenzionati a continuare a difendere il dittator. Mosca sta svolgendo piccole azioni di difesa bombardando Idlib e le zone dei combattimenti, ma nulla più. Anzi, ha ritirato tutte le sue truppe di terra nelle basi di Hmaimim e Tartous. Fonti di stampa saudite affermano, citando fonti anonime di Mosca, che qualsiasi intervento russo a sostegno di Damasco sarà limitato, poiché attualmente è concentrata su altre priorità.
Teheran, dal canto suo, accusa Usa e Israele di aver orchestrato una cospirazione, ma sta assumendo una posizione cauta, espressa chiaramente dalle parole del presidente Pezeshkian. Tuttavia, le parole della guida spirituale al-Khamenei, vero leader del Paese, sono improntate alla massima solidarietà, ma finora solo a parole. Dalle dichiarazioni del ministro degli esteri, Abbas Araqshi, si può dedurre che Teheran mantenga ora una posizione di attesa. Nel documento finale della riunione tra i ministri degli Affari Esteri di Iraq, Iran e Siria, si legge: «La Repubblica Islamica ha sempre sostenuto la Siria e continuerà a farlo con tutte le sue forze». Ma il sostegno si è limitato ad invitare tutti i paesi a prendere posizione contro le minacce del terrorismo e appoggiando la conferenza di Doha sulla Siria e un prossimo vertice del gruppo di Astana (Russia, Turchia e Iran). I govrni di Amman e Il Cairo hanno chiesto a Bashar Assad di dimettrsi e lasciare il paese.
I media del regime sono in grande confusione e si limitano a ripetere i comunicati dell’esercito e del governo. “Il presidente è a Damasco e sta guidando il comando delle operazioni sul fronte”. Come per dire che non è ancora scappato. Gli emissari di Assad a Teheran e Baghdad in realtà sono tornati a mani vuote, accompagnati con tante dichiarazioni di solidarietà e niente più.
Anche nella copertura mediatica internazionale si sta ripetendo lo scenario libico del 2011. La CNN, che in 14 mesi di aggressione israeliana contro la popolazione di Gaza non ha mai mandato una troupe, adesso è lì ad Aleppo, con giornalisti statunitensi arrivati dalla Turchia, per intervistare il capo jihadista di Tahrir Sham, Joulani. Il capo qaedista, amico di Al-Za ahiri e di Al-Baghdadi, ha annunciato le sue vocazioni moderate per un “governo civile, rispettoso delle diversità etnico-confessionali”. Parole false visto quel che è successo a Tal Rifaat, a nord di Aleppo, alla popolazione curda uccisa e deportata.
[…] Assad è scappato. È uno scenario libico in salsa afghana. (Leggi il nostro editoriale di ieri Clicca ) Gli sviluppi accelerati della situazione in Siria hanno avuto la svolta attesa. Verso mezzanotte […]