LETTERA APERTA A EDITH BRUCK E LILIANA SEGRE
Prof. Angelo D’Orsi *
Gentilissime,
non ho il piacere di conoscere di persona la signora Liliana Segre, mentre conosco, da molti decenni Edith, che mi onoro di considerare una delle mie più care amiche.
Lei, signora Segre, ha ricevuto nel 2018 il laticlavio dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, gesto che tutti abbiamo apprezzato, non tanto, mi consenta, per i Suoi meriti personali, quanto per ciò che Ella stessa rappresenta: una sopravvissuta a un tentato genocidio.
Anche tu Edith, sei una sopravvissuta, e sebbene tu non sia stata nominata “senatrice”, le tue opere – romanzi racconti poesie cinema televisione – costituiscono un pubblico riconoscimento, al quale la visita, nella tua dimora romana, di Papa Francesco ha dato recentemente un suggello straordinario. Perciò sono rimasto a dir poco sconcertato dalla tua reazione alterata, inutilmente aggressiva, verso il pontefice dopo le parole da lui pronunciate che in forma dubitativa accennavano alla necessità o opportunità di accertare se a Gaza fosse in corso un genocidio. Già nelle settimane precedenti tu, cara Edith, avevi alzato la voce contro coloro che sostenevano i diritti del popolo palestinese, che certo tu riconosci, ma mettendo sullo stesso piano palestinesi e israeliani, come fanno dal 7 ottobre tanti esponenti della cultura “progressista” italiana che si riconosce nell’ebraismo, e ha un giudizio critico della condotta del governo israeliano, ma si rifiuta di ammettere che Israele conduce, dalla sua stessa fondazione, politiche di pulizia etnica e tendenzialmente
genocidarie verso le popolazioni autoctone. Politiche che dall’8 ottobre del 2023 sono diventate esplicitamente genocidarie. No, mi dispiace Edith che tu abbia aggredito il pontefice criticandolo aspramente per le sue dichiarazioni a mio avviso persino timide: consentimi, a Gaza si sta perpetrando un genocidio.
E qui vengo a Lei, senatrice Segre; Lei inizialmente aveva reagito al giudizio ormai praticamente universale sul genocidio in atto da parte degli israeliani a Gaza, con un’affermazione stizzita: “parlare di genocidio è una bestemmia”. Affermazione che nel ricorso a una parola che implicitamente evoca la dimensione sacra, è indicativa su come Ella concepisca la persecuzione e il tentato sterminio del popolo ebraico, ma anche,
sotterraneamente, la sacralità dell’ebraismo, che è la prima giustificazione della stessa nascita dello Stato di Israele, con richiami ai “Testi Sacri” che decreterebbero che la terra di Palestina era “predestinata” agli ebrei. Una interpretazione mitografica che non trova nessun riscontro né archeologico, né storico, né demografico, né antropologico.
Rimane l’altra, più importante motivazione per la nascita di Israele come Stato sovrano nel 1948, il “risarcimento” per la Shoah. Lasciamo stare il dato storico che vede il sionismo nascere ben prima della Seconda guerra mondiale, a fine Ottocento. Ma, al di là del fatto che un risarcimento sarebbe impossibile, tanto grande e grave è stato il torto subito dagli ebrei, perché mai dovrebbero essere gli arabi, e i palestinesi in specie, a subire un torto altrettanto grave, sia pure in forme diverse, per compensare il popolo ebraico di ciò che gli europei, i nazisti tedeschi e i fascisti italiani, in primis, gli hanno fatto? Quale colpa si pretenderebbe di addossare al popolo palestinese? Non è bastato scacciarlo dalla terra in cui
vivevano, in pace e serenità lungo i secoli, accanto ad ebrei, cristiani, islamici? In quella terra erano largamente dominanti, anche se la narrazione sionista ha inventato la menzogna ripetuta come uno stolto slogan: “Una terra senza popolo, per un popolo senza terra”.
Lei, Senatrice, come la mia carissima Edith, vede nell’azione su Gaza da parte dell’IDF una “reazione” (magari un po’ eccessiva..) ai fatti del 7 ottobre. Ma è proprio così? Posso suggerirle almeno di leggere un saggio sotto forma di inchiesta (Roberto Iannuzzi, “Il 7 ottobre tra verità e propaganda”, Fazi Editore)? Vedrà, che di quegli avvenimenti sappiamo soltanto ciò che Israele ha voluto farci sapere. Ma non abbiamo noi tutti, in specie chi riveste ruoli pubblici, il dovere di esercitare lo spirito critico? E anche se fossero state
compiute tutte le nefandezze attribuite dagli israeliani ai “terroristi” palestinesi (e non è così), anche se non fosse vero che il criminale Netanyahu abbia in qualche modo favorito, indirettamente, l’attacco palestinese di quel giorno, le pare accettabile una ritorsione condotta su scala 5000 a 1? Le pare che quello che si autodefinisce “l’esercito più morale del mondo” si stia comportando in violazione di tutte le norme e i precetti del diritto internazionale e del diritto umanitario? La distruzione di scuole, ospedali, campi
profughi, l’assassinio di massa di uomini donne anziani e bambini le pare un’azione di guerra? Ella, Senatrice, sostiene che essendo in guerra non si può parlare di “genocidio”. Una ben bizzarra interpretazione, lo consenta a uno studioso che ha mezzo secolo di insegnamento di Storia del pensiero politico alle spalle, e che si è occupato a lungo di codesti temi e altri vicini. Non sorge in Lei il sospetto di sbagliare, se l’intera comunità giuridica, filosofica, politologica e storiografica parla di genocidio a Gaza?
Non le sorge il sospetto che la Sua è una insostenibile “difesa d’ufficio” che non regge davanti ai pronunciamenti di innumerevoli consessi filosofico-giuridici e di organismi internazionali, dalla Corte Penale Internazionale ad Amnesty International? Insomma, Senatrice, se i tanti (la quasi unanimità degli studiosi) che sine ira et studio si sono pronunciati denunciando Israele di portare avanti un genocidio, siano tutti in
malafede? O addirittura “antisemiti”? Perché, gentile Senatrice, non ammette ciò che abbiamo davanti agli occhi, quotidianamente, è un genocidio incrementale? Perché non prende le distanze dal governo israeliano? Si può essere ebrei e non essere israeliani, si può essere ebrei senza esser sionisti e, infine, si può essere ebrei e riconoscere che Israele sta seminando odio per gli ebrei, con la sua politica scellerata, violatrice di ogni principio giuridico, di ogni umanità.
Tutte queste mie argomentazioni valgono naturalmente anche per te, cara Edith, a maggior ragione, perché tu hai scritto e riflettuto anche su questo con una sensibilità eccezionale e so che provi empatia per tutti coloro che soffrono. Chi oggi soffre più di quei bambini condannati a morire di bombe o di fame di malattia o di stenti? Chi soffre di più di quegli anziani che si trascinano le loro povere cose da un capo all’altro della Striscia di Gaza, in base agli “ordini” impartiti dall’IDF? Non vedi la crudeltà immane di tutto questo? E
come entrambe potete pensare che nella storia ci sia stato “un solo genocidio”, quello della Shoah?! Con rispetto per la senatrice e affetto per te, Edith, una affermazione siffatta è una sciocchezza. Purtroppo la storia dell’umanità gronda di genocidi, o di tentati genocidi, ciascuno diverso da tutti gli altri. Non è una questione di numeri ossia puramente quantitativa, né di modalità, ma di scopi: Il genocidio è l’eliminazione, con l’assassinio di massa ma anche con l’allontanamento violento e forzato di un popolo dalla sua terra, dal
suo habitat (la “pulizia etnica”). Quello che si può affermare, e che io ho scritto e detto in innumerevoli sedi (libri saggi articoli conferenze), è che la Shoah è stato un unicum, per le modalità in cui si è svolta, sulla quale abbiamo infinite testimonianze, ma anche numerosissimi studi scientifici. Il campo di sterminio era concepito costruito e gestito come una “fabbrica” capitalistica; Auschwitz, insieme a Hiroshima, è il punto estremo toccato dalla “civiltà” occidentale, il punto più osceno della “modernità”, come hanno insegnato
Adorno, Bauman e tanti altri pensatori. Gli ebrei sopravvissuti al lager, e i loro discendenti, non dovrebbero essere i primi a rifiutare qualsiasi comportamento o pratica ideologica che possa richiamare quegli orrori? Quello che ci attendiamo, o almeno quello che io mi attenderei (ormai debbo scrivere: “attendevo”?) da due persone eccezionali, come lei Senatrice, come te Edith, sono parole inequivocabili di presa di distanza da ciò che Israele sta facendo a Gaza (e taccio rispetto a quanto accade ogni giorno nei Territori Occupati, in
Libia, in Siria, in Yemen.). Se non volete chiamarlo genocidio, per favore, chiamatelo sterminio di massa, o come preferite, ma alzate le vostre voci in modo fermo e non ambiguo, in difesa di un popolo che non deve subire il destino che i nazifascisti tentarono di far subire al vostro popolo.
E vi prego: smettetela di ricorrere alla comoda categoria dell’“antisemitismo”, per zittire coloro che denunciano i crimini di Israele. Crimini che vanno non soltanto denunciati, ma perseguiti legalmente sul piano internazionale (come si sta finalmente incominciando a fare), senza timore di essere bollati con quell’accusa stolta e infamante che oggi sentiamo ogni giorno correre su tutte le bocche, anche e specialmente (che grottesco paradosso!) su quelle non innocenti degli eredi politici di coloro che del tentato sterminio degli ebrei sono stati volenterosi collaboratori. È vero che il sionismo per giustificare le proprie infamie ha elaborato anche categorie bislacche come “l’ebreo antisemita” (!) o “l’antisemita
inconsapevole”. Ma confido nella vostra intelligenza, nella vostra cultura, nella vostra sensibilità e nella vostra stessa drammatica esperienza umana, per gettare alle ortiche tali scempiaggini; e soprattutto confido nel vostro senso di umanità e di giustizia, invitandovi a schierarvi, per una volta, senza esitazione, dalla parte delle vittime, che non sono gli israeliani, non sono gli ebrei, ma oggi (un oggi che dura da troppi anni) sono i palestinesi. Abbiate il coraggio di dirlo, come tanti ebrei hanno fatto, con onestà, sfidando
censure e ostracismi, in questi mesi di sangue e di orrore, abbiate anche voi l’onestà di riconoscere dove è il torto e dove la ragione, e di dirlo con chiarezza, anzi di gridarlo sui tetti, non di sussurrarlo a mezza voce.
Abbiamo bisogno di restare umani o forse di ritornare umani; voi, per la vostra stessa storia, potete aiutarci.
Angelo d’Orsi
(Torino, 7 dicembre 2024)
- Angelo d’Orsi, allievo di Norberto Bobbio, è stato Ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino. Ha insegnato anche altre discipline storiografiche, metodologiche e politologiche, a Torino, e in altre università. Negli ultimi anni svolge corsi di storia al Politecnico di Torino. È stato visiting professor in numerosi atenei stranieri.
Oltre alla storia delle idee e delle culture e dei gruppi intellettuali, si è dedicato al tema guerra, al fascismo e all’antifascismo, nonché a questioni di metodologia e di storia della storiografia, e di teoria politica. È autore di oltre cinquanta volumi, di centinaia di saggi e articoli. I suoi ultimi titoli sono Gramsciana. Saggi su Antonio Gramsci (Mucchi, 204; nuova ed. ampl. 2015); 1917. L’anno della rivoluzione (Laterza, 2016); L’intellettuale antifascista. Ritratto di Leone Ginzburg (Neri Pozza, 2019); Manuale di storiografia (Pearson Italia, 2021); Gramsci. La biografia (Feltrinelli, 2024).
Ha fondato e dirige “Historia Magistra. Rivista di storia critica” e “Gramsciana. Rivista
internazionale di studi su Antonio Gramsci”. Fa parte della Commissione per l’Edizione Nazionale degli Scritti di Gramsci e quella delle Opere di Antonio Labriola.
Giornalista e conferenziere, collabora a varie testate cartacee e on line, e svolge un ruolo di commentatore e opinionista su canali televisivi e in Rete.
Approvo e sottoscrivo la lettera Aperta di Angelo D’orsi.
“Esistono popolazioni che dispongono di un diritto superiore a quello degli altri. Da loro i diritti sono
vissuti non come universali, ma come diritti del proprio gruppo. Usano le armi come procedura di
giustizia. Massicci bombardamenti sono prassi ordinaria nei conflitti.” Questo deve cessare. Torniamo umani
Condivido e sottoscrivo la lettera aperta di Angelo d’Orsi. Una tragedia, quella che si sta consumando in Medio Oriente e in partcolare a Gaza, sotto gli occhi indifferenti di un mondo ottuso e interessato soltanto ai propri interessi economici.