Le bambine e i bambini palestinesi hanno un nome. Non solo lo sterminio subiscono,
ma anche la cancellazione del nome

di Vijay Prahad *

Traduzione dall’inglese di Giorgio Riolo **

Il sottotitolo è del traduttore.

L’autore, intellettuale e attivista indiano di grande valore, come molte persone e molti popoli nel Sud Globale, considera l’umanità palestinese come propria umanità. Da qui “i nostri bambini”. L’immedesimazione e la compassione partecipe di chi viene dal mondo oppresso da secoli di colonialismo e di imperialismo del Nord Globale. Israele essendo un pezzo di Occidente, nato, foraggiato, armato, protetto dall’Occidente collettivo, Europa e Usa in testa.
Nel mio articolo del novembre 2023 Israele, la questione palestinese e l’immane
ipocrisia dell’Occidente scrivevo “Il sonno della ragione produce sempre mostri.
Violenza per violenza, orrore per orrore. Ma con la netta differenza che i bambini
palestinesi squartati sotto le bombe israeliane sono considerati formichine. Al pari
delle formichine vietnamite, afghane, irachene, siriane, libiche, yemenite ecc. ecc.
Non sono come i morti e i bambini uccisi, con tanto di nome e cognome, israeliani e
occidentali in generale. Immane ipocrisia dell’Occidente”

(Giorgio Riolo).

Nel dicembre scorso è uscito uno studio che mi ha fatto piangere. Intitolato Needs
Study: Impact of War in Gaza on Children with Vulnerabilities and Families (Studio
dei bisogni: impatto della guerra a Gaza sui bambini vulnerabili e sulle famiglie), è
stato condotto dal Community Training Centre for Crisis Management (CTCCM) di
Gaza. Scritto in uno stile medico-clinico, nulla del linguaggio usato avrebbe dovuto
colpirmi nel modo in cui lo ha fatto. Ma i risultati dello studio sono stati scioccanti.
Ecco alcuni dei fatti nudi e crudi:
Il 79% dei bambini di Gaza soffre di incubi.
L’87% di loro ha una forte paura.
Il 38% riferisce di aver fatto la pipì a letto.
Il 49% di chi si prende cura ha dichiarato che i loro bambini sentivano che sarebbero
morti in guerra.
Il 96% dei bambini di Gaza sentiva che la morte era imminente.
Semplicemente, ogni singolo bambino di Gaza sente che sta per morire.
Questa newsletter, la prima del 2025, avrebbe potuto concludersi dopo l’ultima riga.
Che altro c’è da dire? Ma c’è altro da dire.
Nel marzo del 2024, il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti dell’infanzia ha
rilasciato una dichiarazione molto netta sulla guerra in Sudan tra le forze armate
sudanesi e i paramilitari delle Forze di Supporto Rapido, entrambe sostenute da un
certo numero di potenze straniere. Quella dichiarazione riportava fatti molto pesanti:
24 milioni di bambini in Sudan – quasi la metà dei 50 milioni di abitanti del Paese –
sono a rischio di “catastrofe generazionale”.
19 milioni di bambini non vanno a scuola.
4 milioni di bambini sono sfollati.
3,7 milioni di bambini sono gravemente malnutriti.
Il primo punto si riferisce alla totalità dei bambini del Sudan, tutti a rischio di
“catastrofe generazionale”. Questo concetto, utilizzato per la prima volta dalle
Nazioni Unite per descrivere i traumi e i contraccolpi subiti dai bambini a causa delle
restrizioni del COVID-19, significa che i bambini del Sudan non si riprenderanno dal
calvario che la guerra ha inflitto loro. Ci vorranno generazioni prima che nel Paese
torni qualcosa di simile alla normalità.
Uno studio scientifico del 2017 ha rilevato che i traumi infantili profondi possono
segnare una persona sia fisicamente che psicologicamente. I traumi riorientano il
sistema nervoso in via di sviluppo dei bambini, rendendoli estremamente vigili e
ansiosi anche a distanza di decenni. Questo processo, scrivono gli autori, genera un
meccanismo chiamato “elaborazione potenziata della minaccia”. Non c’è da stupirsi
che gli studi sui bambini che hanno vissuto guerre precedenti mostrino che soffrono
in modo sproporzionato di condizioni mediche, tra cui disturbi cardiaci e cancro.
Nel marzo 2022, cinque medici provenienti da Afghanistan, India, Irlanda e Sri
Lanka hanno scritto un’accorata lettera a The Lancet in cui ricordavano al mondo la
situazione dei bambini afghani. Nel 2019, ogni bambino in Afghanistan era nato e
cresciuto durante la guerra. Nessuno di loro ha conosciuto la pace. Gli autori hanno
notato che “gli studi sugli interventi psicoterapeutici nei bambini e negli adolescenti
afghani sono rari e le prove che hanno prodotto sono di bassa qualità”. Hanno quindi
proposto un piano di assistenza sanitaria integrata per i bambini afghani che si basa
sull’assistenza telematica e su professionisti non medici. In un altro mondo, il piano
avrebbe potuto essere discusso. Alcuni dei fondi che avevano arricchito i mercanti di
armi durante quella guerra sarebbero stati invece spesi per realizzare questo piano.
Ma questa non è la strada che si segue nel nostro mondo.
L’affermazione sui mercanti di armi non è fatta a caso. Secondo una scheda
informativa dell’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma (SIPRI) del
dicembre 2024, le 100 maggiori aziende produttrici di armi e di servizi militari del
mondo hanno aumentato le loro entrate combinate di armi del 4,2% nel 2023,
raggiungendo l’incredibile cifra di 632 miliardi di dollari. Cinque aziende con sede
negli Stati Uniti rappresentano quasi un terzo di queste entrate. Tra il 2015 e il 2023,
queste 100 aziende hanno aumentato i loro ricavi totali da armamenti del 19%.
Sebbene i numeri completi per il 2024 non siano ancora disponibili, se si osservano i
documenti trimestrali dei principali mercanti di morte, i loro guadagni sono aumentati
ulteriormente. Miliardi per i guerrafondai, ma niente per i bambini che nascono in
zone di guerra.
Nel 2014, i bombardamenti di Israele su Gaza hanno causato la morte di bambini
innocenti. Due incidenti nel luglio hanno colpito in modo particolare. In primo luogo,
Israele ha lanciato un missile che ha colpito il Fun Time Beach Café (Waqt al-Marah)
di Khan Younis alle 23:30 del 9 luglio. Nel bar, una struttura di fortuna a circa trenta
metri dal Mar Mediterraneo, diverse persone si erano riunite per guardare la
semifinale della Coppa del Mondo FIFA 2014 tra Argentina e Paesi Bassi. Erano tutti
seri appassionati di calcio. Il missile israeliano ha ucciso nove giovani: Musa Astal
(16 anni), Suleiman Astal (16 anni), Ahmed Astal (18 anni), Mohammed Fawana (18
anni), Hamid Sawalli (20 anni), Mohammed Ganan (24 anni), Ibrahim Gan (25 anni)
e Ibrahim Sawalli (28 anni). Non hanno mai potuto assistere alla vittoria
dell’Argentina ai rigori o alla vittoria della Germania in una partita molto tesa pochi
giorni dopo.
I bombardamenti di Israele, nel frattempo, non si sono fermati. Tre giorni dopo, il 16
luglio, alcuni ragazzi stavano giocando a calcio – come se stessero rigiocando la
Coppa del Mondo sulla spiaggia di Gaza – quando una nave della marina israeliana ha
sparato prima contro un molo e poi, mentre i ragazzi scappavano dall’esplosione,
contro i ragazzi. Israele ha ucciso quattro di loro – Ismail Mahmoud Bakr (9 anni),
Zakariya Ahed Bakr (10 anni), Ahed Atef Bakr (10 anni) e Mohammad Ramez Bakr
(11 anni) – e ne ha feriti altri.
Il bombardamento israeliano del 2014 su Gaza ha ucciso almeno 150 bambini in
totale. Quando il gruppo per i diritti umani israeliano B’Tselem (nome completo
B’Tselem – Il centro d’informazione israeliano sui diritti umani nei territori occupati)
ha prodotto un messaggio pubblicitario per trasmettere i nomi dei bambini alla
televisione israeliana, l’Israel Broadcast Authority lo ha vietato. Il poeta britannico
Michael Rosen ha risposto alle uccisioni e al divieto con la bellissima poesia “Don’t
Mention the Children” (Non fare i nomi dei bambini).
Non nominare i bambini.
Non nominare i bambini morti.
Il popolo non deve conoscere i nomi
dei bambini morti.
I nomi dei bambini devono essere nascosti.
I bambini devono essere senza nome.
I bambini devono lasciare questo mondo
senza nome.
Nessuno deve conoscere i nomi dei
bambini morti.
Nessuno deve pronunciare i nomi dei
bambini morti.
Nessuno deve nemmeno pensare che i bambini
hanno un nome.
La gente deve capire che sarebbe pericoloso
conoscere i nomi dei bambini.
Il popolo deve essere protetto dal
conoscere i nomi dei bambini.
I nomi dei bambini potrebbero diffondersi
come un incendio.
La gente non sarebbe al sicuro se conoscesse
i nomi dei bambini.
Non nominare i bambini morti.
Non ricordare i bambini morti.
Non pensare ai bambini morti.
Non dire: “bambini morti”.
Sì, i bambini hanno dei nomi. Continueremo a nominare tutti quelli che riusciamo a
ricordare. Non li dimenticheremo. Nel settembre 2024, il Ministero della Sanità
palestinese ha pubblicato un elenco aggiornato dei nomi dei palestinesi uccisi nel
genocidio Usa-israeliano dall’ottobre 2023 all’agosto 2024. Nell’elenco figurano 710
neonati la cui età è indicata come zero. Molti di loro avevano appena ricevuto il
nome.
Sebbene l’elenco sia troppo lungo per essere riprodotto in questa sede, la storia di
Ayssel e Asser Al-Qumsan è emblematica. Il 13 agosto 2024, Mohammed Abu Al-
Qumsan ha lasciato il suo appartamento a Deir al-Balah, nella “zona sicura” centrale
di Gaza, per registrare la nascita dei suoi due figli gemelli Ayssel e Asser. Ha lasciato
i gemelli con la madre, la dottoressa Jumana Arfa (29 anni), che li aveva partoriti tre
giorni prima all’ospedale Al-Awda di Nuseirat. La dottoressa Jumann Arfa era una
farmacista formatasi all’Università Al-Azhar di Gaza. Pochi giorni prima di dare alla
luce i suoi figli, aveva scritto su Facebook che Israele prende di mira i bambini,
citando un’intervista con il chirurgo ebreo-americano Dr. Mark Perlmutter in un
potente servizio di CBS News intitolato Children of Gaza (Bambini di Gaza).
Quando Mohammed tornò dopo aver registrato i gemelli, scoprì che la loro casa era
stata distrutta e che la moglie, i figli appena nati e la suocera erano stati uccisi in un
attacco israeliano.
Ayssel Al-Qumsan.
Asser Al-Qumsan.
Dobbiamo dare un nome ai bambini morti.

*Vijay Prashad

Vijay Prashad
Vijay è uno storico e giornalista indiano. È autore di quaranta libri, tra cui Washington Bullets, Red Star Over the Third World, The Darker Nations: A People's History of the Third World, The Poorer Nations: A Popular History of the Global South, e The Withdrawal: Iraq, Libya. , Afghanistan e la fragilità del potere degli Stati Uniti, scritto con Noam Chomsky. Vijay è il direttore esecutivo di Tricontinental: Institute for Social Research, corrispondente principale di Globetrotter e caporedattore di LeftWord Books (Nuova Delhi). È apparso anche nei film Shadow World (2016) e Two Meetings (2017).
To reach Vijay for an interview, event, research, writing, or other request, please write to inquiries@thetricontinental.org.

Vijay is an Indian historian and journalist. He is the author of forty books, including Washington BulletsRed Star Over the Third World, The Darker Nations: A People’s History of the Third World, The Poorer Nations: A Possible History of the Global South, and The Withdrawal: Iraq, Libya, Afghanistan, and the Fragility of U.S. Power, written with Noam Chomsky. Vijay is the executive director of Tricontinental: Institute for Social Research, the chief correspondent for Globetrotter, and the chief editor of LeftWord Books (New Delhi). He also appeared in the films Shadow World (2016) and Two Meetings (2017).

** Giorgio Riolo

Ha svolto attività di direzione di associazioni culturali e di riviste. È stato responsabile dell’Associazione Culturale Punto Rosso. Ha fondato la Libera Università Popolare e le Edizioni Punto Rosso. In particolare ha tenuto corsi sui temi filosofici, storici, economici, letterari. Ha scritto e pubblicato vari saggi e articoli. Con Massimiliano Lepratti è coautore del libro Un mondo di mondi. L’avventura umana dalla scoperta dell’agricoltura alle crisi globali contemporanee (ispirato alla lezione di Samir Amin e della scuola del sistema-mondo di Fernand Braudel e Immanuel Wallerstein, di imminente pubblicazione). Ha curato l’edizione italiana, con propria introduzione, del libro Samir Amin, Eurocentrismo. Modernità, religione e democrazia. Critica dell’eurocentrismo, critica dei culturalismi, La Città del Sole, 2023.

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