Riceviamo dalla Rete Kurdistan, che ringraziamo. La Redazione.

“Inaugurazione della mostra fotografica “DONNA, VITA, LIBERTÀ”

Un racconto per immagini che celebra la forza, la resilienza e la lotta per la libertà di chi resiste nelle zone più difficili del mondo.

Il progetto nasce da un lavoro di reportage di Mirca Garuti dell’associazione Alkemia Laboratori Multimediali durato fino al 2023 e la mostra si terrà con il patrocinio 

del Comune di Mantova e grazie al supporto dell’Assessora Alessandra Riccadonna.

La mostra è curata e organizzata dall’Associazione La Papessa, in collaborazione con Rete Kurdistan Mantova.

Inaugurazione sabato 8 marzo alle ore 18:30 con intervento della fotografa Mirca Garuti, Zilan Diyar del movimento delle donne curde e le associazioni coinvolte.

Ti aspettiamo nella Sala Peppino Impastato (Sala delle Colonne) della Biblioteca Gino Baratta di Mantova (Corso Garibaldi, 88)!”

Pubblichiamo di seguito un testo di Mirca Garuti, che spiega le motiviazioni di questo lavoro di esplorazione su temi e cause ignorate dai grandi media e dalla cancellerie:

Ci sono luoghi della terra in cui l’intreccio fra autodeterminazione,
indipendenza e dominio politico si fa più esplicito e violento che altrove.
Uno di questi è Sinjar, una regione montuosa che svetta sulla Piana di Ninive alle
estremità nord-occidentali dell’Iraq, teatro di un genocidio (riconosciuto
dall’ONU) che verrebbe da definire “dimenticato”, non fosse che è praticamente
ancora in corso nel silenzio assordante della comunità internazionale.
Di quegli sfollati, la metà non sono ancora tornati: 250mila si dividono tra i
campi profughi, troppo spaventati per tornare o senza una porta di casa da riaprire,
e tra la diaspora in Germania. Moltissime donne non sono ancora state trovate,
almeno 1.117 delle 6mila rapite nell’agosto 2014 e rese schiave, vendute al
mercato di Mosul, passate di mano in mano, stuprate innumerevoli volte. In quei
luoghi la vita ha resistito, anche attraverso la costruzione di scuole, municipalità,
associazioni di donne, centri sanitari nei villaggi e unità di difesa maschili e
femminili.
Un altro luogo è il Campo profughi curdo di Makhmour in pieno deserto del
Kurdistan iracheno (Bashur). Un campo abitato da circa 13mila curdi fuggiti a piedi
dalla Turchia nel 1993, quando, per combattere il Partito dei lavoratori del Kurdistan
( PKK), l’esercito turco aveva iniziato ad evacuare tutti i villaggi di confine abitati da
contadini e pastori, accusati di aiutare i guerriglieri del Pkk.
Hanno attraversato le montagne che separano la Turchia dall’Iraq, inseguiti e
bombardati dagli elicotteri turchi e affrontati scontri con i Peshemerga di Barzani
(Capo del Partito Democratico del Kurdistan – PDK). Nel 1998, infine, gli è stato
concesso un luogo dove poter stanziarsi ed essere riconosciuti come profughi
dall’ONU.
Hanno così ricominciato a vivere, piantando alberi, dissodando terreni, aprendo
scuole e cooperative. Oggi, Makhmour è una comunità autogestita, caratterizzata
da una forte democrazia dal basso e di genere, costruita secondo i principi del
Confederalismo Democratico.
Per questo lo vogliono cancellare. Makhmour si trova sotto totale embargo dal
2019.
Makhmour è il cuore dell’esilio del popolo curdo, è il popolo in cammino verso la
sua liberazione, è l’esodo in un deserto da dove, prima o poi, si giungerà alla terra
non promessa, ma voluta e conquistata, ed infine, è la testimonianza della volontà
di vita degli uomini.
Il Newroz, capodanno curdo, è una festa all’inizio di ogni primavera, dal 21 al 23
marzo, che unisce migliaia di persone in Kurdistan, in Turchia, in Iran e anche in
Europa, al grido “Newroz ovunque, libertà in ogni momento”.
Una festa proibita, spesso contrastata, specialmente in molte grandi città della
Turchia, come Diyarbakir, Van, Mardin, dalle forze di polizia turca con cariche di
lacrimogeni e cannoni ad acqua, per impedirne l’accesso.

Nasce da una leggenda che narra della ribellione contro un re dispotico e
sanguinario. Per comunicare la vittoria alla popolazione curda sparsa tra le
montagne, vennero accesi dei fuochi in segno di gioia. Il fuoco è considerato quindi
un simbolo di trionfo e di Resistenza.
Durante il Newroz, le curde ed i curdi indossano i loro abiti tradizionali e
festeggiano con allegre danze e canti popolari, accendendo i fuochi.
Partecipare ai Newroz è stata una bellissima esperienza specialmente quella
vissuta a Diyarbakir, Van e in piccoli paesi sperduti tra le montagne. Molto emozionante
è stato il Newroz del 2015 a Van dove ho portato i saluti dell’Italia a più di un
milione di persone, essere sul palco in quel momento, è stato da pelle d’oca, anche
perché lì ho conosciuto e dato la mano a Demirtas, ex co-presidente del partito
HDP, (oggi DEM) purtroppo poi l’anno dopo è stato arrestato dal governo turco e
l’anno scorso, dopo 8 anni di detenzione, è stato condannato a 42 anni di carcere.
Sono stati momenti molto intensi, a volte trascorsi con molta ansia, dal momento
che poche volte i festeggiamenti erano autorizzati e, quindi pronti a delle fughe
veloci, ma ne è valsa la pena!
Le foto raccontano questi viaggi (il mio ultimo a maggio 2023) in Turchia –
Kurdistan Bakur e in Iraq – Kurdistan Bashur- a Makhmour, Suleymaniya, Qandil,
Erbil e Shingal, per dare voce e volto a questa grande popolazione che vive
suddivisa dalle grandi potenze occidentali in quattro stati diversi: Turchia, Iran, Iraq
e Siria

Mirca Garuti – Associazione Alkemia

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