Anbamed, notizie dal Sud Est del Mediterraneo
(testata giornalistica fondata da Farid Adly.
Direttore responsabile Federico Pedrocchi)
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Rassegna anno IV/n. 258 (1145)
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I Titoli:
Libia: A Derna alluvionata, 50 bambini intossicati per l’acqua inquinata. Le stime per il numero delle vittime sono in crescita continua. Si parla di almeno 20 mila morti. Ancora difficoltà nei soccorsi.
Marocco: Un piano per la costruzione di 50 mila case da destinare ai terremotati. Indennizzi per chi ristruttura la propria crollata o danneggiata.
Palestina Occupata: L’esercito israeliano bombarda Gaza per impedire le manifestazioni sulla rete di demarcazione.
Sudan: I partiti democratici respingono i piani delle fazioni militari di creare due governi contrapposti.
Iran: Nel primo anniversario dall’assassinio di Zina Mahsa Amini, i pasdaran sorvegliano i cimiteri, per impedire commemorazioni.
Yemen-Arabia Saudita: Per la prima volta una visita a Riad di una delegazione del movimento yemenita Houthi.
Kuwait: Classi separate per maschi e femmine nelle università dell’emirato.
Le Notizie:
Libia
50 bambini intossicati a Derna a causa delle acque inquinate. Il dilemma che sta vivendo la popolazione della città disastrata dall’alluvione è la scelta tra la salvaguardia dei vivi o il rispetto per i morti. La decisione delle fosse comuni è stata criticata dall’OMS, per gli effetti psicologici sui parenti sopravvissuti e per le possibili difficoltà legali. Finora un migliaio di corpi sono stati sepolti in fosse comuni, per paura di epidemie.
Le ricerche di sopravvissuti o di corpi sotto le macerie continuano. Ieri è stata salvata una donna con un bambino tra le braccia. Sono rimasti vivi perché erano nel vano scala della casa, costruito di cemento armato.
Secondo il comitato locale per i soccorsi, il numero delle vittime accertate è salito a 11 mila e i dispersi oltre 20 mila, di una popolazione totale prima dell’alluvione di 120 mila abitanti. Un quarto della popolazione è perito sotto i 120 milioni di m3 di acqua sprigionate dal crollo delle due dighe. Il centro città appare ora spianato, dopo che l’acqua ha trascinato via alberi e case e auto verso il mare. Le testimonianze dei sopravvissuti sono drammatiche. Un giovane e sua madre, ricoverati nell’ospedale da campo, hanno raccontato la loro avventura ad una radio locale: “Siamo stati salvati perché eravamo nel balcone di casa quando è arrivato il diluvio universale. Ci siamo messi a correre nelle scale verso il quarto ed ultimo piano. Il livello dell’acqua era arrivato poco dopo al terzo piano e la struttura non è crollata. Siamo stati miracolati. Per noi è una seconda vita. Non dimenticheremo mai quelle ore di terrore”.
Per superare le difficoltà del traffico terrestre nella zona di montagna, l’esercito ha proceduto alle riparazioni dei danni del porto per aprire una via marittima per l’arrivo dei soccorsi e per l’evacuazione di malati e sfollati.
Le polemiche delle autorità di governo di Tripoli non cessano, senza rispetto per i morti. Il premier Dbaiba ed i suoi ministri blaterano sulle responsabilità del disastro, quando sono stati loro a mettere in salvo le strutture petrolifere e non aver pensato ai rischi per la popolazione. La presenza in Libia di due governi, uno a Tripoli e l’altro a Bengasi, sta creando problemi seri ai soccorsi, perché il governo Dbaiba ha preteso che tutti gli aiuti internazionali arrivassero a Tripoli, per poi distribuirli direttamente nelle zone disastrate. Ma il governo rivale ha contestato la scelta e indicato gli aeroporti di Bengasi e Tobruk. Una gara polemica che va nella direzione opposta rispetto all’unità nazionale che si è sprigionata dalle popolazioni di tutte le città libiche, mobilitandosi dal basso per la fornitura di aiuti.
Gli aiuti internazionali di conseguenza hanno subito un rallentamento. Oltre alla sottovalutazione iniziale da parte dei media internazionali (sono state valutate in 280 le vittime basandosi su dichiarazioni da funzionari di Tripoli, invece di prendere sul serio quelle allarmate di chi aveva le mani nel fango), si nota adesso un disinteresse alla fornitura di aiuti e soccorsi. La misura la dà la somma destinata dell’UE: 500 mila euro.
Marocco
Il governo di Rabat ha preparato un piano per la costruzione di 50 mila abitazioni per i terremotati e indennizzi per i proprietari delle case crollate o danneggiate. Le ricerche sotto le macerie continuano malgrado le poche speranze di trovare ancora altre persone vive. Una delle difficoltà maggiori è l’accoglienza degli sfollati. I centri predisposti nelle scuole e in altre scuole sono affollati e insufficienti. Migliaia di persone vivono ancora all’aperto, ma con l’arrivo dell’inverno la situazione diventerà drammatica.
Palestina Occupata
Un bombardamento israeliano su Gaza, nella notte. La zona bombardata è una località a nord della striscia, dove si stanno svolgendo manifestazioni di protesta vicino alla rete di demarcazione predisposta dall’esercito di occupazione. Secondo fonti di Gaza, ci sono stati soltanto feriti. Nei giorni scorsi sulla linea di demarcazione si sono svolte proteste di massa con incendio di copertoni e il lancio in cielo di palloni incendiari. L’esercito israeliano ha sparato sulla folla. Ieri sono stati feriti 12 persone, tra i quali un giornalista che stava coprendo l’iniziativa per una Tv araba.
Sudan
Guerra di comunicati tra i due generali e annunci per la formazione di due governi civili contrapposti. Lo scenario libico è un pericolo serio per il Sudan, perché tra i due campi in conflitto esiste di fatto un equilibrio delle forze. L’esercito ha dominio dei cieli con l’aeronautica, ma le milizie dominano sulle principali città e resistono agli attacchi dei militari. Questa situazione rischia di prolungare per anni la crisi che ha causato lo sfollamento di un quarto della popolazione sudanese (e metà degli abitanti della capitale). Le forze politiche democratiche non ci stanno a questi passi propagandistici dei generali. Gli eventuali governi civili nominati saranno delle maschere dietro le quali imporre il potere delle armi. In un comunicato le “Forze per la libertà e il cambiamento” hanno respinto i piani dei generali considerando illegittimo qualsiasi passo in quella direzione, “come tutti gli atti compiuti dopo la defenestrazione del governo provvisorio guidato dal professore universitario Hamdouk, nell’ottobre 2021”, affermano. “Questa strada prospettata apre le porte alla guerra civile”, conclude il comunicato.
Iran
Nel primo anniversario della morte di Zina Mahsa Amini in un carcere di Teheran, le autorità di sicurezza iraniane hanno predisposto un piano di controllo nelle piazze della capitale e soprattutto nella zona curda e nella città natale della ragazza, assassinata dai pasdaran perché aveva un ciuffo di capello fuori posto. Dopo una repressione feroce contro il dissenso con oltre 500 morti nelle piazze, detenzioni di 20 mila manifestanti, le dure condanne contro le donne che avevano manifestato a capelli scoperti e le condanne a morte (alcune non ancora eseguite), il movimento è entrato in una fase di riflusso.
Dall’inizio di settembre, per prevenire qualsiasi forma di dissenso pubblico, le forze di sicurezza hanno iniziato a minacciare le famiglie delle vittime di gravi conseguenze in caso di partecipazione ad eventi di commemorazione, anche in luoghi chiusi. È stata respinta la richiesta della famiglia di Mahsa alla procura, per un’autorizzazione di commemorare la figlia con una cerimonia sulla tomba, come è consuetudine di tutte le famiglie per ricordare la perdita dei loro cari. Non solo, ma il cimitero dove è stata sepolta la ragazza è stato presidiato dalla polizia da diversi giorni. Secondo fonti degli attivisti iraniani all’estero, nella scorsa settimana sono stati arrestati 40 parenti delle vittime della repressione, per impedire commemorazioni pubbliche. La sfida silenziosa delle donne nelle vie e nelle piazze dell’Iran però è un fatto consolidato. Malgrado le multe e le minacce, migliaia di donne si rifiutano di indossare il copricapo e girano per le città a capelli scoperti. “I pasdaran non potranno fare nulla quando milioni di donne si riballano”, ha detto lo scultore iraniano esule in Francia, Barbad Golshyri, “la rivolta dello scorso anno è stata una rivoluzione culturale contro il dominio dei barbuti che dura dagli anni Ottanta”.
Yemen-Arabia Saudita
Per la prima volta dal 2015, una delegazione del movimento yemenita Houthi è in visita a Riad. L’iniziativa è avvenuta per la mediazione dell’Oman, che è molto attivo da tempo per trovare una soluzione pacifica al conflitto nel paese confinante. La visita ha un forte carattere politico e supera le discussioni bilaterali precedenti che avevano affrontato soltanto questioni umanitarie: fine dell’embargo e scambio di prigionieri. Negli incontri di questi giorni si parlerà di una soluzione politica complessiva della crisi yemenita, per mettere fine al conflitto e costituire un governo unitario. Molti analisti arabi sono ottimisti, perché pochi giorni fa a Moscate era arrivato in visita l’emiro Mohammed Bin Salman alla testa di una delegazione che comprende anche il ministro della difesa, Khaled Bin Salman. La stessa visita del ministro degli esteri iraniano, Amir-Abdollahian in Arabia Saudita, la scorsa settimana, è stata positiva ed ha aperto a collaborazioni tra Riad e Teheran in molti campi, sia economici che di sicurezza. Queste aperture hanno influssi positivi sulla situazione yemenita, anche se ancora a piccoli passi.
Kuwait
Il rettore dell’Università di Kuwait City ha annunciato che da quest’anno saranno vietate le classi miste nei corsi universitari. Una decisione che va nella direzione opposta rispetto ad una tradizione educativa non improntata alle correnti fondamentaliste. Proteste delle studentesse che temono la discriminazione scolastica per l’insufficienza di insegnanti donne a coprire tutte le materie. “ragazzi e ragazze hanno sempre rispettato un vestiario rispettoso della tradizione islamica, ma un’imposizione affrettata rischia di creare confusione e discriminazioni. È una decisione di carattere politico, per compiacere alle correnti fondamentaliste”, ha dichiarato un professore kuwaitiano in condizioni di anonimato, per timore di ritorsioni. Nel parlamento dopo le ultime elezioni si è formata una maggioranza di islamisti, che sta procedendo a far pressioni sulla famiglia reale che governa l’emirato, con l’imposizione di passi di egemonia culturale. E si comincia con la repressione delle libertà delle donne, iniziando con la segregazione.
Notizie dal mondo
Sono passati 18 mesi e 22 giorni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Droni marittimi ucraini contro una nave commerciale russa.
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