di John Pilger
Ringraziamo l’amico e compagno Giorgio Riolo per averci tradotto e introdotto questo articolo del grande giornalista Johnn Pilger.
”
a suo tempo vi feci avere un articolo di John Pilger sul ruolo della propaganda, sul ruolo dei mass media, sulla guerra in Ucraina ecc. È giornalista di grande esperienza e grande oppositore al cosiddetto “mainstream”, nel sistema mediatico, nel sistema politico, nel potere nudo e crudo. Testimone di tante nefandezze compiute intorno al mondo. Nelle guerre coloniali Usa e occidentali in Vietnam, in Cambogia, in Africa ecc.
È nato in Australia e ha vissuto in Inghilterra. Da qui il riferimento, nell’articolo che ho tradotto e che vi faccio avere in allegato, alle vicende di oppositori in Australia e nella Gran Bretagna, a Julian Assange ecc.
Egli cita Arthur Miller. È proprio così. “Questo è un momento critico, ora, in questo momento preciso…”. Noi attraversiamo un tornante storico decisivo. Non si tratta solo di Israele, del martoriato popolo palestinese, delle guerre fuori. Di Ucraina, Russia ecc. Si tratta di noi.
Usa, Occidente collettivo e quindi anche Italia. Siamo in guerra anche noi. Siamo anche complici. Così vogliono i soliti guerrafondai, atlantisti, eurocentrici e occidentalocentrici. Di destra e di “sinistra”. Con una gran voglia di menare le mani, di farci mettere tutti uniformi ed elmetti.
L’unica via di uscita è fare come Spartaco, dice Pilger. E subito viene a mente la Lega di Spartaco e la nostra grande Rosa Luxemburg, comunista e fiera antimilitarista.
Grazie per l’attenzione.
Un caro saluto.
Giorgio Riolo”
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Non può esserci democrazia e guerra coloniale; una aspira alla decenza, l’altra al fascismo.
di John Pilger
Spartacus è un film hollywoodiano del 1960 basato su un libro scritto segretamente
dal romanziere Howard Fast, inserito nella lista nera, e adattato dallo sceneggiatore
Dalton Trumbo, uno dei “10 di Hollywood” che furono banditi per la loro politica
“antiamericana”. È una parabola di resistenza e di eroismo che parla senza alcun
dubbio ai nostri tempi.
Entrambi gli scrittori erano comunisti e vittime del senatore Joseph McCarthy,
praziresidente della Commissione per le Operazioni Governative e della sua
Sottocommissione Permanente per le Indagini del Senato degli Stati Uniti che, nel
corso della Guerra Fredda, distrusse le carriere e spesso le vite di coloro che avevano
saldi principi e il coraggio sufficiente per opporsi a un fascismo in versione locale
Usa.
“Questo è un momento critico, ora, in questo momento preciso …” scriveva Arthur
Miller ne Il crogiuolo “Non viviamo più nel crepuscolo pomeridiano in cui il male si
mescolava al bene e confondeva il mondo”.
C’è un provocatore “preciso” ora; è evidente a tutti coloro i quali vogliono vederlo e
prevedere le sue azioni. Si tratta di una banda di Stati guidata dagli Stati Uniti, il cui
obiettivo dichiarato è il “full spectrum dominance” (il dominio a tutto spettro). La
Russia è tuttora l’odiata, la Cina Rossa la temuta.
Da Washington e Londra, la virulenza non ha limiti. Israele, anacronismo coloniale e
mastino sguinzagliato, è armato fino ai denti e gode di un’impunità storica, in modo
tale che “noi” occidentali ci assicuriamo che il sangue e le lacrime non si asciughino
mai in Palestina.
I parlamentari britannici che osano chiedere un cessate il fuoco a Gaza sono messi al
bando, la porta di ferro della politica bipartitica è chiusa loro da un leader del partito
laburista che vorrebbe che acqua e cibo fossero negati ai bambini.
Ai tempi di McCarthy, vi erano comunque spiragli di verità. I cani sciolti accolti
allora diventano eretici oggi; esiste un giornalismo sotterraneo (come questo sito,
Consortium News) in un paesaggio di conformismo ipocrita. I giornalisti dissenzienti
sono stati defenestrati dal “mainstream” (come scrisse il grande editore David
Bowman); il compito dei media è quello di capovolgere la verità e di sostenere le
illusioni della democrazia, compresa una “stampa libera”.
La socialdemocrazia si è ridotta alla larghezza di una carta di sigarette che separa le
politiche principali dei partiti maggiori. La loro comune adesione è a un culto
capitalistico, il neoliberismo, e a una povertà imposta, descritta da un relatore
speciale delle Nazioni Unite, come “l’immiserimento di una parte significativa della
popolazione britannica”.
La guerra oggi è un’ombra immobile; le guerre imperiali “per sempre” sono
considerate normali. L’Iraq, il modello, viene distrutto al costo di un milione di vite e
di tre milioni di profughi. Il distruttore, Blair, si arricchisce personalmente e viene
adulato al congresso del suo partito come un vincitore elettorale.
Blair e la sua controparte morale, Julian Assange, vivono a 14 miglia di distanza l’uno
dall’altro, l’uno in una villa di stile Regency, l’altro in una cella in attesa
dell’estradizione all’inferno.
Secondo uno studio della Brown University, dall’11 settembre quasi sei milioni di
uomini, donne e bambini sono stati uccisi dall’America e dai suoi accoliti nella
“guerra globale al terrorismo”. A Washington verrà costruito un monumento per
“celebrare” questo assassinio di massa, il cui comitato è presieduto dall’ex presidente
George W. Bush, mentore di Blair. L’Afghanistan, dove tutto è iniziato, è stato
definitivamente distrutto quando il Presidente Biden ha rubato le riserve bancarie
nazionali afghane.
Ci sono stati molti Afghanistan. Il giornalista d’inchiesta William Blum si è dedicato
a dare un senso a un terrorismo di Stato che raramente ha pronunciato il suo nome e
che quindi richiede una ripetizione: Nel corso della mia vita, gli Stati Uniti hanno
rovesciato o tentato di rovesciare più di 50 governi, la maggior parte dei quali
democratici. Hanno interferito in elezioni democratiche in 30 Paesi. Hanno sganciato
bombe sulla popolazione di 30 paesi, la maggior parte dei quali poveri e indifesi. Ha
combattuto per reprimere i movimenti di liberazione in 20 Paesi. Ha tentato di
assassinare numerosi leader.
Forse sento qualcuno di voi che dice: basta così. Mentre la Soluzione Finale di Gaza
viene trasmessa in diretta a milioni di persone, i piccoli volti delle vittime impressi
nelle macerie bombardate, incorniciati tra le pubblicità televisive di automobili e
pizza, sì, questo è sicuramente abbastanza. Quanto è profana questa parola
“abbastanza”?
L’Afghanistan è stato il luogo in cui l’Occidente ha mandato giovani uomini oberati
dal rituale di “guerrieri” che debbono uccidere persone e divertirsi. Sappiamo che
alcuni di loro si sono divertiti grazie alle prove dei sociopatici delle forze speciali
australiane della SAS, compresa una loro fotografia che li ritrae mentre bevono dalla
protesi di un uomo afghano.
Nessun sociopatico è stato incriminato per questo e per altri crimini come il lancio di
un uomo da un dirupo, l’uccisione di bambini a bruciapelo, lo sgozzamento: niente di
tutto questo “in battaglia”. David McBride, un ex avvocato militare australiano che ha
prestato servizio per due volte in Afghanistan, era un “vero credente” nel sistema,
ritenuto sistema morale e onorevole. Ha anche una profonda fede nella verità e nella
lealtà. È in grado di definirle come pochi sanno fare. La prossima settimana sarà in
tribunale a Canberra come presunto criminale.
“Un informatore australiano”, riferisce Kieran Pender, avvocato esperto
dell’Australian Human Rights Law Centre, “dovrà affrontare un processo per aver
denunciato un’orrenda irregolarità. È profondamente ingiusto che la prima persona
processata per crimini di guerra in Afghanistan sia l’informatore e non un presunto
criminale di guerra”.
McBride può ricevere una condanna fino a 100 anni per aver rivelato l’insabbiamento
del grande crimine dell’Afghanistan. Ha cercato di esercitare il suo diritto legale di
informatore in base al Public Interest Disclosure Act, che secondo l’attuale
procuratore generale, Mark Dreyfus, “mantiene la nostra promessa di rafforzare le
protezioni per chi denuncia irregolarità nel settore pubblico”.
Eppure è stato Dreyfus, ministro laburista, a firmare il processo a McBride, dopo
un’attesa punitiva di quattro anni e otto mesi dal suo arresto all’aeroporto di Sydney:
un’attesa che ha distrutto la sua salute e la sua famiglia.
Coloro che conoscono David e sanno dell’orribile ingiustizia che gli è stata fatta
riempiono la sua strada a Bondi, vicino alla spiaggia di Sydney, per salutare
quest’uomo buono e rispettabile. Per loro, e per me, è un eroe.
McBride rimase sconvolto da ciò che trovò nei documenti e files che gli fu ordinato
di ispezionare. C’erano prove di crimini e del loro insabbiamento. Passò centinaia di
documenti segreti all’Australian Broadcasting Corporation e al Sydney Morning
Herald. La polizia fece irruzione negli uffici della ABC a Sydney, mentre giornalisti e
produttori assistevano scioccati alla confisca dei loro computer da parte della polizia
federale.
Il procuratore generale Dreyfus, autodefinitosi riformatore liberale e amico degli
informatori, ha il singolare potere di fermare il processo McBride. Una ricerca della
Freedom of Information sulle sue azioni in questa direzione rivela poco, al massimo
l’indifferenza.
Non si può gestire una democrazia vera, compiuta e una guerra coloniale; una aspira
alla decenza, l’altra è una forma di fascismo, a prescindere dalle sue pretese. Basti
pensare ai campi di sterminio di Gaza, bombardati a tappeto dall’apartheid israeliano.
Non è un caso che nella ricca ma impoverita Gran Bretagna sia in corso una
“inchiesta” sull’uccisione da parte dei soldati delle SAS britanniche di 80 afghani,
tutti civili, tra cui una coppia nel loro letto.
La grottesca ingiustizia di cui è stato vittima David McBride è sul calco
dell’ingiustizia di cui è stato vittima il suo compatriota Julian Assange. Entrambi sono
miei amici. Ogni volta che li vedo, sono ottimista. “Mi rallegri”, dico a Julian quando
alza un pugno di sfida alla fine della nostra visita. “Mi fai sentire orgoglioso”, dico a
David nel nostro caffè preferito a Sydney.
Il loro coraggio ha permesso a molti di noi, che potrebbero non avere speranza, di
comprendere il vero significato di una resistenza che tutti condividiamo se vogliamo
impedire la conquista di noi stessi, della nostra coscienza, del nostro rispetto, se
preferiamo la libertà e la decenza alla condiscendenza e alla collusione. In questo
siamo tutti Spartaco.
Spartaco era il capo ribelle degli schiavi di Roma nel 71-73 a.C. Nel film Spartaco di
Kirk Douglas c’è un momento emozionante in cui i Romani chiedono agli uomini di
Spartaco di rivelare il loro capo e di essere così graziati. Invece centinaia di suoi
compagni si alzano in piedi, alzano i pugni in segno di solidarietà e gridano: “Io sono
Spartaco!”. La ribellione è in corso.
Julian e David sono Spartaco. I palestinesi sono Spartaco. Le persone che riempiono
le strade con bandiere, principi morali e solidarietà sono Spartaco. Siamo tutti
Spartaco, se vogliamo esserlo.