«Nell’interrogatorio mi hanno detto che i miei scritti erano come “I protocolli dei saggi di Sion”. Quando gli ho chiesto se l’avessero mai letti quei protocolli, non hanno risposto»
di Angela Nocioni (ripreso dall’Unità QUI
Questa è la storia di un professore di storia e di educazione civica di una scuola secondaria in Israele, a Petach Tikva. Lui si chiama Meir Bruchin. È un professore molto amato dai suoi alunni, con una lunga serie di attestati ufficiali di riconoscenza degli istituti in cui ha insegnato e di lettere piene di elogi di presidi con cui ha lavorato.
Per fortuna sua quelle pagine di complimenti e ringraziamenti le aveva conservate, orgogliosamente riposte in un angolino a casa sua. Per fortuna, perché gli sono servite in tribunale a difendersi. Ha raccontato in prima persona quel che gli è successo sul quotidiano israeliano “Haaretz”.
«Quando è scoppiata la guerra, ho iniziato a scrivere sulla mia pagina Facebook criticando i danni causati a persone innocenti a Gaza, specialmente a donne e bambini. Inutile dire che le atrocità commesse da Hamas sabato 7 ottobre mi hanno profondamente scioccato e mi fanno ancora male oggi. L’ho espresso esplicitamente in un post che ho fatto l’11 ottobre. Ciò nonostante ho ricevuto migliaia di messaggi di odio che auguravano a me e ai miei figli la morte e malattie di ogni tipo. Sono stato accusato di essere un sostenitore del terrorismo che simpatizza con le atrocità perpetrate da Hamas».
E fino a qui, niente di non comune. È quel che capita mediamente a chiunque esprima in rete perplessità sul massacro dei civili a Gaza. Al professore Meir Bruchin però quella libertà è costata cara: «Il 18 ottobre sono stato convocato per un’udienza con il mio datore di lavoro, il comune di Petah Tikva, la città dove insegno dal 2007. Il giorno dopo ho ricevuto una lettera di licenziamento. Pochi giorni dopo, il Ministero dell’Educazione ha sospeso la mia licenza di insegnamento, impedendomi così di insegnare in altre scuole. Ho immediatamente iniziato il processo di presentazione di una misura cautelare presso il Tribunale del Lavoro contro il Comune di Petah Tikva e il Ministero dell’Educazione. Processo fermato dalla polizia il 9 novembre. Quel giorno mi hanno chiesto per telefono di presentarmi alla polizia di Gerusalemme per essere interrogato con l’accusa di incitamento alla violenza. In retrospettiva, si è scoperto che, per interrogare un cittadino israeliano sotto sospetto incitamento, la polizia aveva bisogno dell’approvazione dell’Ufficio del Procuratore di Stato. La polizia ha chiesto il permesso, ma la sua richiesta è stata negata. Quindi ha deciso di interrogarmi per altre due accuse: tentativo di tradire lo Stato di Israele e tentativo di alterare l’ordine pubblico».
Il reato di tentativo di tradimento dello stato di Israele è un crimine punibile con la galera fino a dieci anni. «Non appena sono entrato nella stazione di polizia, mi hanno ammanettato le mani e i piedi, e hanno sequestrato il mio cellulare. Cinque detective mi hanno portato a casa mia e per circa due ore l’hanno rivoltata come un calzino alla ricerca di materiali sovversivi». Non c’erano. Quindi, oltre al cellulare hanno sequestrato al professore due computer portatili e sei chiavette Usb.
«Poi mi hanno riportato alla stazione di polizia per un interrogatorio iniziale, che è durato circa quattro ore – racconta lui – ed è stato diviso in due parti: nella prima parte, mi hanno mostrato 14 post che avevo fatto sulla mia pagina Facebook, la maggior parte dei quali sono stati pubblicati molto prima del 7 ottobre, e criticano essenzialmente l’occupazione israeliana. Vi faccio un esempio: nel novembre 2019 una casa molto precaria è stata bombardata a Gaza. Il risultato sono state nove vittime, tutte persone di una famiglia che di cognome fa Al Sawarka. In un post scritto in quel momento, ho chiamato quell’operazione ‘omicidio’. In un altro post, del maggio 2023, ho semplicemente raccontato di Mohammed Khaled Daoud, un residente di Gaza il suo unico figlio, Tamim Muhammad, è morto per arresto cardiaco nel 2018 durante un bombardamento della nostra aeronautica. Il suo cuore non poteva resistere e ha smesso di battere».
Una prima parte dell’interrogatorio subito dal professore quel 9 novembre verteva proprio su questi due post. «Mi è stato chiesto qual è la mia intenzione nel diffondere questi post, cosa volevo ottenere, e come il contenuto dei post potrebbe essere interpretato dai lettori. La seconda parte dell’interrogatorio non era fatto di vere domande. Le risposte che suppongo auspicassero erano piantate nel corpo delle domande, quindi non mi è stato permesso di scegliere le risposte che volevo. Alla fine dell’interrogatorio sono stato portato al centro di detenzione del complesso della polizia. Mi hanno definito un ‘detenuto per motivi di sicurezza’. Mi hanno messo in una cella isolata senza finestre. Mi hanno persino tolto l’orologio da polso. Il giorno seguente, venerdì 10 novembre, si è tenuta un’udienza giudiziaria. L’udienza è durata alcuni minuti, al termine dei quali il giudice ha deciso di estendere il mio arresto fino a lunedì 13 novembre a mezzogiorno».
«Il tempo passava lentamente. Non mi era permesso avere un libro nella cella di detenzione. Ho indossato gli stessi vestiti per quattro giorni. Per tenermi occupato facevo un allenamento fisico ogni due ore. Ai poliziotti del centro di detenzione è stato vietato parlare con me. Domenica 12 novembre mi hanno portato a un secondo interrogatorio, che è durato anche circa quattro ore. Anche durante questo interrogatorio è stato fatto un tentativo di mettere parole non mie nelle mie risposte. Ad un certo punto colui che mi interrogava mi ha detto che i miei post erano come “I protocolli dei saggi di Sion”. Quando gli ho chiesto se avesse mai letto i protocolli, non ha risposto. Il giorno dopo c’è stata un’udienza giudiziaria alla fine della quale sono stato rilasciato». Libertà riconquistata, ma il lavoro no.
«Dopo che sono stato rilasciato ho continuato con il processo per presentare un provvedimento ingiuntivo al tribunale del lavoro. All’udienza si è scoperto che il mio datore di lavoro, il comune di Petah Tikva, non aveva un solo documento su cui basare le accuse contro di me. Sia nell’udienza che nella sentenza, che ha ordinato di ridarmi il mio posto di lavoro e di risarcirmi, il giudice ha evidenziato il mio alto livello professionale come insegnante, riflesso in molte lettere di elogio e ringraziamento da parte di studenti, genitori e presidi. Il mio licenziamento e il mio arresto facevano parte della persecuzione politica di chiunque esprima compassione per i palestinesi in generale e per i residenti innocenti di Gaza in particolare. Il 3 dicembre la polizia mi ha restituito gli effetti personali confiscati. Quando ho acceso il mio cellulare ho trovato migliaia di messaggi di quando il telefono era sotto sequestro. Un messaggio ha particolarmente attirato la mia attenzione. L’ho letto molte volte. È stato scritto da un ex studente che ha finito la scuola l’estate scorsa».
Ecco qui il messaggio: «Ciao Meir, spero che ti ricordi di me. Ho sentito che eri sotto arresto. Spero davvero che tu stia bene in generale e che tu rimanga forte. Sicuramente non è semplice. Se questo aiuta, ho pensato che sarebbe stato un buon momento per dirti che nelle tue lezioni ho imparato tanto. Hai significato molto per me. Ti ringrazio per quello che mi hai insegnato. Non ho mai avuto la possibilità di dirlo. Grazie per aver combattuto per la giustizia e l’uguaglianza. Penso che tu sia molto coraggioso, che sei una persona fedele ai suoi valori e ai suoi principi qualunque cosa accada. Cerco di adottare questo approccio nella mia vita, e non mi è facile per niente. Anche se non ero sempre d’accordo con te, è stato affascinante ascoltarti. Sei un insegnante incredibile, e soprattutto in un momento come questo le tue lezioni che ricordo prendono un grande spazio nella mia mente. Devi sapere che c’è almeno un tuo studente che ti ammira e ti apprezza».