A Bruxelles, il ministro degli Esteri irlandese denuncia: “L’Unione Europea deve cambiare atteggiamento verso Tel Aviv”
di Eric Salerno* (Riprendiamo da “La voce di Newyork” questo articolo dell’amico, compagno e maestro, Eric Salerno. Da QUI)
I nostri genitori, più di quello che vogliamo capire o ammettere, portano sulle spalle, nei cervelli spesso tormentati, anni di esperienza e comprensione. Quando da piccolo mio padre nel Bronx mi parlava del processo di Norimberga e delle punizioni comminate ai criminali di guerra nazisti, responsabili non solo dello sterminio di sei milioni di ebrei in Europa, ma anche della morte di sessanta milioni di uomini, donne e bambini nel corso del secondo conflitto mondiale, mi disse di mai dimenticare i civili giapponesi morti sotto le atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Purtroppo, mi spiegò, nel grande gioco della follia umana, finiscono sotto processo soltanto i perdenti, mai chi ha vinto.
Ieri, il ministro degli Esteri irlandese ha dichiarato che le relazioni dell’Unione europea (UE) con Israele non dovrebbero continuare come al solito, mentre il Paese sta violando il diritto internazionale nel conflitto a Gaza. “Questa è una guerra contro i palestinesi, non solo contro Hamas… È una guerra contro la popolazione”, ha detto Micheal Martin ai giornalisti durante un incontro a Bruxelles. Martin ha anche fatto riferimento alla sentenza della Corte internazionale di Giustizia secondo cui l’occupazione israeliana di Gaza e della Cisgiordania è illegale. Poco prima, il capo della Politica estera dell’UE, Josep Borrell, ha suggerito di emanare sanzioni contro i ministri israeliani che dispiegano “messaggi di odio” contro i palestinesi.
È improbabile che la proposta andrà avanti. I 27 Stati membri sono profondamente divisi sul loro approccio a Israele. Oltre oceano, la potenza americana, direbbe un giudice, è un complice degli atti criminali dei reati commessi da Israele. Il massiccio invio di armi USA a Tel Aviv sono soltanto un elemento che potrebbe prendere in considerazione finora.
Israele difficilmente perderà la sua guerra contro il popolo palestinese. E ora punta ad allargarla. Netanyahu e i suoi ministri, con il consenso di una buona fetta della popolazione ebraica israeliana, punta a eliminare la “questione palestinese”. Fin dagli anni Novanta del secolo scorso, giace tra i piani conservati negli archivi del Ministero della Difesa nel cuore di Tel Aviv un’operazione chiara. In caso di un attacco terroristico palestinese contro la popolazione dei coloni in Cisgiordania o a Gerusalemme Est, le forze armate israeliane – è scritto – cacceranno i palestinesi dal territorio che Israele considera parte della sua terra biblica. Dove? Oltre il fiume Giordano. “Due o tre giorni, forse una settimana”, mi confidò allora una persona che aveva partecipato alla preparazione del progetto nemmeno tanto segreto. Ora, con il sostegno americano, trascina avanti un negoziato chiaramente improbabile mentre distrugge la Striscia di Gaza e la sua popolazione e sembra puntare, appunto, alla Cisgiordania. Con una operazione militare che, dice, andrà avanti per parecchio.
La guerra forse finirà con le elezioni americane? E poi?
L’altro giorno sul quotidiano Ha’aretz, Yitzhak Brik, ex comandante di brigata, divisione e truppe, dei collegi militari dell’IDF e per 10 anni difensore civico delle Forze di difesa israeliane, ha lanciato un allarme. “Israele sta sprofondando in profondità nel fango di Gaza, perdendo sempre più soldati, uccisi o feriti, senza alcuna possibilità di raggiungere l’obiettivo principale della guerra: abbattere Hamas”. E ancora: ”Il Paese sta galoppando verso l’orlo di un abisso. Se la guerra di logoramento contro Hamas ed Hezbollah continua, Israele crollerà entro non più di un anno… Gli attacchi terroristici si stanno intensificando in Cisgiordania e all’interno del Paese…L’economia sta precipitando. Israele è anche diventato uno Stato paria, provocando boicottaggi economici e un embargo sulle spedizioni di armi. Il crescente odio tra le diverse parti della nazione minaccia di accendersi e portarla alla sua distruzione dall’interno”.
Grazie anche ai suoi alleati, Israele, i suoi leader politici o i suoi capi militari non saranno mai portati davanti a un tribunale internazionale, ma qualche cosa di grave sta accadendo all’interno al mondo ebraico di Israele. E al mondo ebraico della diaspora. Ho raccontato nel mio libro appena uscito, Fantasmi a Roma, il breve colloquio che ebbi negli anni finali del secolo scorso con Fausto Coen, mio direttore a Paese Sera ai tempi della famosa Guerra dei sei giorni. “Lo incontrai davanti al Teatro Argentina… Mi salutò con calore e una frase da cui traspirava disperazione: Eric, abbiamo sbagliato tutto. Esitai, cercai di capire a cosa si riferiva. Da anni ero fisso a Gerusalemme come inviato del Messaggero. “Abbiamo sbagliato tutto… Noi ebrei eravamo intelligenti quando eravamo in Europa… Non dovevamo creare Israele”.
“Sentirlo – lui che aveva scritto una storia di Israele, che dirigeva “Sorgenti di vita”, un programma tv legato alle comunità ebraiche italiane che cercava di raccontare la storia degli ebrei di ieri e oggi – pronunciare quella frase e poi scappare perché andava di fretta mi lasciò sbalordito. Oggi non lo sarei”.
In Israele, l’idea dell’esilio, scrive un collega sempre su Haaretz, “è di nuovo di gran moda… A giugno si è tenuta a Berlino una conferenza intitolata “Tra Stato ed esilio”, con la partecipazione di alcuni dei più importanti studiosi di studi ebraici e di pensiero politico ebraico. Tra loro c’erano ex israeliani, tra cui i filosofi Adi Ophir e Ariella Aïsha Azoulay, che in passato erano figure di spicco nella sinistra accademica anti-sionista israeliana, e il filosofo e traduttore Elad Lapidot, che vive a Berlino. Più o meno nello stesso periodo, lo studioso del pensiero ebraico Shaul Magid pubblicò un libro intitolato The Necessity of Exile che ebbe ampio risalto negli Stati Uniti. Nel discorso sul futuro di Israele – racconta Haaretz – vengono spesso elencate alcune opzioni principali: la continuazione dell’attuale situazione di controllo israeliano sulla vita di milioni di palestinesi che non hanno diritti (come sostenuto recentemente dalla Knesset in un voto schiacciante); la divisione della terra in due stati; e uno stato per tutti i suoi cittadini. Ma una quarta opzione al di sopra delle altre: il ritorno degli ebrei a una situazione di esilio, il che significa zero Stati”.
“Tali espressioni – ricorda sempre il quotidiano israeliano – possono essere considerate marginali e persino ridicole dal mainstream israeliano, ma va ricordato che anche il movimento sionista è iniziato come un fenomeno principalmente culturale tra pochi scrittori e poeti fantasiosi ma impotenti. Ogni movimento significativo inizia con un’idea, e l’idea di tornare in esilio avanza. Occorre prestare attenzione”.
Eric Salerno
Giornalista ed esperto di questioni africane e mediorientali, è stato corrispondente de ‘Il Messaggero’ da Gerusalemme per quasi trent’anni.