di Zeina Kovacs*

Rprendiamo da Il Fatto Quotidiano che lo aveva ripreso da Mediapat. (da qui: https://www.mediapart.fr/journal/international/300824/la-destruction-des-monuments-historiques-de-gaza-une-facette-de-l-aneantissement

“Colpite chiese, moschee & C.: è l’Operazione sfregiare Gaza”

Da ottobre 40.000 morti. Ma l’esercito israeliano ha messo in atto anche un vero e proprio “urbicidio” distruggendo due terzi di edifici tesori che risalgono sino all’età mesopotamica, bizantina e ottomana

Due terzi degli edifici sono andati distrutti nella Striscia di Gaza dall’inizio della guerra, tra cui una sessantina di siti storici, secondo i dati delle Nazioni Unite. Mentre si consuma una crisi umanitaria senza precedenti, con più di 40 mila morti dal 7 ottobre 2023, secondo il ministero della Salute di Hamas, molti specialisti ritengono che la distruzione sistematica della memoria storica palestinese rientri nella politica di annientamento dell’enclave. Ad aprile, le Nazioni Unite avevano spiegato che le “fondamenta stesse della società palestinese” sono state “ridotte in macerie”.

Bombardare edifici e quartieri interi di una regione è un crimine che prende il nome di urbicidio. Ed è quello che l’esercito israeliano sta commettendo a Gaza, secondo diversi intellettuali, tra cui Yousif al-Daffaie, ricercatore in archeologia all’Università di Nottingham, e Peter Harling, specialista del Medio Oriente. I siti storici della regione hanno attraversato quasi 4.000 anni di storia, dai tempi della Mesopotamia a oggi, passando per l’epoca bizantina, mamelucca e ottomana. Sono stati bombardati anche siti culturali più recenti, dove si concentrava la vita quotidiana degli abitanti di Gaza, come la Grande moschea Omari, nella vecchia città di Gaza, il cui minareto è stato raso al suolo in un attacco aereo del 16 novembre 2023. Il centro della città, la cui evacuazione era stata ordinata il 13 ottobre, tra i primi obiettivi dell’esercito israeliano, è stato devastato, così come il lungomare, che all’epoca era in ristrutturazione. Il Mercato dell’oro, uno dei più antichi monumenti storici della città, recentemente restaurato, è stato danneggiato dai bombardamenti a luglio. Tra i beni distrutti nello stesso rione figurano anche la piazza di Palestina e il Palazzo del Pasha, un edificio del XIII secolo che ospitava il museo di archeologia.

“Prima del 7 ottobre, il comune di Gaza voleva valorizzare il patrimonio del centro della città, realizzando lavori di restauro dei monumenti e di recupero del lungomare e della spiaggia. Volevano cambiare l’immagine che Gaza ha avuto per troppo tempo. È evidente che da parte dell’esercito israeliano c’è l’intenzione di sfigurare Gaza, di distruggere la sua identità”, osserva René Elter, archeologo alla Scuola biblica e archeologica francese di Gaza, fuggito dall’enclave ad un mese dall’inizio dei bombardamenti. Il centro di Gaza conta 146 palazzi antichi. Tra questi, è andata distrutta la casa Ghussein, costruita alla fine dell’era ottomana e ristrutturata nel 2020 con i fondi tedeschi del Goethe Institute. La stessa sorte è toccata alla cupola Dar Assa’ada, che era a sua volta in fase di ristrutturazione con il sostegno del British Council. Avrebbe dovuto accogliere e mettere al sicuro la collezione di manoscritti antichi della Grande moschea Omari. Anche la fontana ArRifaiya, costruita dal sultano Abd al-Hamid II nel 1570, che era stata restaurata dal governo turco nel 2014, non esiste più. Il museo di Al-Mata’af, il solo nel nord della Striscia di Gaza, è stato occupato per diversi mesi dall’esercito israeliano. Quando i soldati si sono ritirati, l’hall del museo è stato incendiato e diversi oggetti sarebbero scomparsi, secondo quanto riferito ad aprile dal fondatore del museo, Jawdat Khoudary, all’agenzia France Presse. Per Yousif al-Daffaie, colpire i monumenti storici equivale a colpire il “sentimento di appartenenza di un popolo”: “Prendere di mira i musei significa fondamentalmente prendere di mira l’identità dei palestinesi, la loro memoria e la comprensione della loro terra”, spiega ancora il ricercatore.

Il 7 ottobre 2023, giorno in cui i combattenti di Hamas hanno attaccato Israele, Fadel al-Otol, archeologo palestinese, si trovava sul sito di un cimitero romano nel nord della Striscia di Gaza, vicino a Jabaliya. “Verso le 6:30 del mattino, mentre preparavo il materiale per mettermi al lavoro, ho visto dei missili attraversare il cielo. Ho immediatamente interrotto quello che stavo facendo, ho messo via il materiale e sono andato a rifugiarmi con la mia famiglia in una scuola dell’Unrwa”, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi. Nel cimitero romano sono state rinvenute quasi 300 tombe risalenti a più di 2.000 anni fa. “Era la prima volta che venivano trovati sarcofagi intatti a Gaza”, sottolinea l’archeologo, ora rifugiato a Deir al-Balah. Da allora, l’area intorno agli scavi archeologici è stata bombardata e molto materiale di ricerca è andato distrutto, ma il cimitero, stando agli archeologi che sono tornati sul posto, sarebbe rimasto intatto. Uno dei sarcofagi rinvenuti sul sito era stato inviato al Museo del Palazzo del Pasha per essere esposto: “Siamo quasi certi che non verrà ritrovato intero”, aggiunge. Fadel al-Otol lavora nello staff di René Elter, a Gaza da sette anni. Elter stava portando avanti degli scavi anche sul sito del monastero di Sant’Ilarione, uno dei siti monastici più antichi del Medio Oriente, risalente al IV secolo, oggi minacciato dalla guerra. A luglio, l’Unesco lo ha inscritto con la procedura d’emergenza nella lista del Patrimonio dell’Umanità in pericolo, rafforzandone la protezione. Come nel caso del cimitero romano, anche il monastero di Sant’Ilarione è stato dichiarato distrutto da diverse ONG e dall’Unesco stesso sulla base di immagini satellitari. Secondo René Elter, i cui collaboratori hanno potuto fare un sopralluogo sul posto, il monumento invece è “intatto”.

“Ovviamente non mettiamo in pericolo la vita di nessuno per salvare i nostri luoghi storici – spiega l’archeologo -. Ma capita che qualcuno dello staff si ritrovi a passare nelle vicinanze del sito, per esempio per la distribuzione del cibo alle popolazione, e ne approfitta per andare a verificare come stanno le cose”. È così che un altro collaboratore di Elter ha potuto verificare che i mosaici della chiesa bizantina di Jabaliya, nel nord di Gaza, malgrado i danni, si sono salvati. “L’esercito israeliano sapeva con esattezza dove sono collocati gli scavi archeologici, i droni ci sorvolavano regolarmente mentre lavoravamo – spiega ancora René Elter -. Israele tra l’altro ha firmato i testi internazionali che gli impongono di proteggere il patrimonio storico. La cosa più importante – aggiunge – è che tutti i membri del mio staff siano ancora in vita”. Elter spera che gli scavi riprenderanno non appena cesseranno i bombardamenti: “Anche se adesso non sappiamo in che stato psicologico si troveranno i giovani alla fine della guerra”.

Secondo i dati delle Nazioni Unite, verificati dal quotidiano Le Monde, ad aprile nella Striscia di Gaza era stato distrutto quasi il 60% degli edifici religiosi, soprattutto moschee. Il 19 ottobre 2023, nel centro di Gaza, è stata bombardata la chiesa di San Porfirio, risalente al V secolo, dove diverse centinaia di civili avevano trovato rifugio. Almeno diciotto persone sono morte quel giorno. Sulla base della lista stilata dall’Unesco utilizzando i dati satellitari, Mediapart ha cercato di collocare su una mappa alcuni dei siti storici bombardati, che si può consultare online. Di molti non è stato possibile verificare l’entità dei danni. Il patrimonio storico della regione non è solo minacciato dalle bombe, ma anche dall’“abbandono”. Dopo un inverno senza alcun tipo di intervento di conservazione, anche i monumenti più intatti rischiano di subire degradi. “Pavimenti a mosaico molto belli possono scomparire in pochi mesi se non vengono curati – spiega l’archeologo, consapevole che il patrimonio storico non sarà la priorità una volta finita la guerra -. Bisognerà innanzitutto bonificare il terreno dalle mine, anche sui siti antichi, prima di poter tornare a lavorare”. “Per le persone che vivono in un contesto come quello di Gaza, la storia passa in secondo piano rispetto alla necessità permanente di mettersi in salvo. Solo quando la popolazione si sentirà di nuovo al sicuro, ci potremmo offrire il lusso di pensare a come ricostruire i siti storici”, osserva Yousif al-Daffaie. Il ricercatore ritiene che la ricostruzione non dovrà essere effettuata in modo unilaterale dalle istituzioni internazionali: “Bisogna coinvolgere la popolazione, chiedere alle persone che vivono sul posto quali sono i siti andati persi che desiderano fare ricostruire in priorità”.

Traduzione di Luana De Micco

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *