di Giovanna Iotti

Così come tutti sanno che il termine “extra-comunitario” non si riferisce, come si potrebbe intendere, ad un canadese, giapponese, svizzero o norvegese, israeliano, ma solamente agli abitanti di quella parte del mondo che con noncuranza viene nominata terzo o quarto mondo…

Analogamente dobbiamo essere consapevoli che il vocabolo “miliziani” non corrisponde nel significato che gli viene attribuito sui giornali e nei media in generale al termine “soldati” o “militari” che viene invece associato a quella parte di combattenti per i quali parteggia il cosiddetto “Occidente”, a seconda, o anche no, del grado di democrazia che viene assegnato ad una delle parti in causa, anzi in guerra, dall’Occidente si intende.

L’utilizzo errato, o a sproposito, di questi termini sottende chiaramente una valutazione o svalutazione sociale e/o politica delle persone a cui vengono attribuiti.

Nel primo caso la differenza e improprietà è evidente, credo, a tutti, nel secondo no.

Lo deduco dal fatto che sono entrati nell’uso anche nomi come immigrato e straniero, anche se meglio sarebbe indicare la provenienza della persona a cui ci si riferisce, come si fa comunemente per l’italiano o il tedesco: un filippino, un tunisino, un iracheno, un ghanese, un peruviano non sono uguali per provenienza.

Ma per il termine “miliziani” è tutta un’altra storia.

Noto che sul prestigioso vocabolario d’italiano “Oli-Devoto” la definizione di “miliziano” è: “Appartenente a un corpo armato locale o cittadino nei secoli XVIII e XIX ”. Durante la guerra civile spagnola, combattente nelle file repubblicane (dallo spagnolo miliciano).”

Quindi è stato riesumato un vocabolo otto-novecentesco, dimenticando sicuramente il valore della sua accezione spagnola, per stigmatizzarne il significato e attribuire alle persone a cui si riferisce una nota di biasimo o colpevolezza.

Ci sono altri due termini che mi fanno saltare dalla sedia, quando li leggo o li ascolto, e sono “territori occupati”. Occupati da chi? Perché non si dice da chi?

Territori occupati dagli israeliani, in virtù del fatto che a questo popolo eletto è stato offerto, per senso di colpa europeo e altri discutibili motivi, di stabilirsi in un territorio non occupato, bensì abitato da secoli dal popolo palestinese, cioè molto semplicemente la Palestina, per motivi anacronistici storicamente e politicamente inammissibili per qualsiasi altro stato.

Pensare se, in quanto eredi dell’Impero Romano, noi italiani dovessimo rivendicare la Gallia alla Francia o la Britannia al Regno Unito…

Chiaro che ci sono state guerre e rivendicazioni tra israeliani e palestinesi, non poteva non accadere, benché le forze in campo fossero sproporzionate, con la forza di fuoco ed economica anche solo degli Stati Uniti, ma si sa che le guerre di liberazione, perché di tale si tratta in questo caso, sono spesso state sproporzionate e hanno portato a esplosioni di furia bellica, attentati, morte e distruzione. Tutte le nostre e altrui guerre di liberazione ne contano diversi episodi.

Come l’attentato dell’8 Ottobre, deprecabile certo, ma non lo è stato, anche di più e con minori motivazioni all’origine.

Pensiamo solo alle leggi discriminatorie tra ebrei e palestinesi, tra gli stessi arabi israeliani e gli ebrei, ai saccheggi, alle distruzioni di case e famiglie intere, le violenze continue dei cosiddetti “coloni”, il vero nome sarebbe “razziatori”, a Sabra e Chatila. Potremmo andare avanti ma questo solo è già più che sufficiente a motivare la rabbia delle insurrezioni palestinesi.

Quanto ai nomi non si è stati invece altrettanto inventivi con il termine “shoah”.

Che, se non andiamo alla traduzione letterale ma a quella che ha corso comune, significa distruzione, sterminio di massa o genocidio, come purtroppo è avvenuto per gli ebrei nell’ultima guerra mondiale, forse neppure ultima mondiale, e anche per altri popoli prima di loro, penso ai nativi americani e non solo.

Allora perché non usare, sui giornali e nei media, anche nei discorsi comuni fra la gente, l’espressione “shoah palestinese” per distinguerla da quella, anch’essa terribile ed evocante orrende immagini di sofferenza, ricordata e propagandata abbondantemente dai media, specialmente nell’ultimo anno, con film e documentari, interviste, anche commemorazioni- in assenza per di più di una giornata mondiale che ricordi la fine della schiavitù – forse per oscurare, mi chiedo, la barbarie a cui assistiamo, visivamente anche poco oserei dire, quella che porta, questa sì, alla “soluzione finale” del popolo palestinese.

Cominciamo allora a usare i nomi giusti, cominciamo ora!

E chiediamo di farlo a giornalisti, uomini di cultura, pare dimentichi della Storia, ai nostri vari media e alle Tv.

Facciamolo! Se organizzate una raccolta di firme…io ci sto.

Giovanna Iotti

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