di Aya Ashour (da Il Fatto Quotidiano del 7 ottobre 2024)
Ho perso parenti e amici, non ho più una casa. Il villaggio è ora solo macerie
“L’attenzione del mondo si è spostata, temo la morte in solitudine”
Nell’anniversario del 7 ottobre, mentre l’attenzione del mondo è concentrata sull’Iran e sul Libano, qui a Gaza si continua a morire! Dall’escalation del conflitto tra Hezbollah e Israele, e tra Teheran e Tel Aviv, noi civili qui continuiamo a chiederci: il mondo si sta dimenticando di noi? Il mondo smetterà di raccontare quel che accade qui? Moriremo lentamente senza che il mondo sappia nulla di noi, anche se abbiamo documentato tutto quello che abbiamo passato per un intero anno di genocidio?
Le proteste degli studenti universitari mi hanno fatto sentire la solidarietà, come se ci fossero persone che portano il nostro messaggio e diffondono la consapevolezza di ciò che stiamo vivendo come civili, indipendentemente dallo sporco gioco politico che i “grandi” del mondo stanno facendo contro di noi, cercando di usare noi e il nostro sangue per servire i loro interessi. Ma ora, dopo gli eventi globali che si sono intensificati dalla fine di settembre a oggi, ci sentiamo completamente diversi.
Stiamo morendo qui e potrei anche perdere uno dei miei amici libanesi da un momento all’altro a causa di questa aggressione al Libano dopo l’aumento delle ostilità con Hezbollah. Cerco di sentire tutti i miei amici libanesi che mi sono stati vicini dall’inizio della guerra, che hanno chiesto notizie mie e della mia famiglia ogni giorno. Ricevevo i loro messaggi dopo che avevano saputo di un massacro a Gaza. Abbiamo lavorato insieme per far sapere al mondo cosa stavamo passando dall’inizio della guerra, ma ora, purtroppo, lavoriamo insieme per diffondere le notizie di tutti noi, poiché siamo tutti minacciati, con lo stesso colpevole: Israele.
La mia amica giornalista libanese Marwa Saab, che vive a Beirut, mi ha raccontato di aver perso uno dei suoi amici e colleghi che lavoravano sul campo e mi ha raccontato della sua famiglia, sfollata con la forza dal sud del Libano a Beirut. Lei condivideva e documentava gli stessi eventi che abbiamo vissuto a Gaza, e ora lei e la sua famiglia stanno vivendo quello che abbiamo vissuto e documentato qui. Ci sentiamo soli qui, a morire e a essere uccisi in ogni modo possibile, mentre ci sono altri che vengono uccisi in Libano in ogni modo possibile, vivendo quello che abbiamo già vissuto noi, con la forza e senza alcuna volontà propria.
Il giorno in cui l’Iran ha attaccato Israele i veicoli dell’Idf sono avanzati in diverse aree a est di Khan Younis, circondando un gran numero di famiglie con aerei e carri armati, causando un altro massacro che è costato la vita a più di 20 persone. Altrove, l’esercito ha bombardato i campi di Nuseirat e Bureij e il nord di Gaza. Molteplici modi di morire allo stesso tempo ed è chiaro che alla fine sono i civili ad essere uccisi.
Da un anno vivo lontano dal mio villaggio, dai miei amici, dalla mia famiglia. Ho perso la mia casa e la mia città è diventata una zona militare chiusa, chiamata “Asse di Netzarim”, senza alcuna speranza di farvi ritorno. Mi mancano mia nonna e mio nonno. Mi mancano mio zio Ibrahim e la mia amica Elena. Ho perso il significato di casa e mi sento strana quando i miei piedi toccano un pavimento di marmo, e mi sento strana quando vedo l’elettricità, una cucina o un bagno. Dopo un anno, mi sento come se mi stessi perdendo, e mi sento estranea alla normale vita umana che continua fuori da questo punto geografico chiamato Gaza, mentre i numeri continuano a contare i corpi dei nostri morti.