Su suggerimento dell’amico e compagno Flavio Mongelli, pubblichiamo ui di seguito le quattro puntate apparse su Il Fatto Quotidiano, di Daniele Luttazzi.
- da Il Fatto Quotidiano 20/11/2024
Unità 8200, il “network” della lobby israeliana che pilota l’informazione
Lo scorso ottobre la Hind Rajab Foundation ha denunciato alla Corte penale internazionale (Cpi) 1.000 soldati israeliani per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio a Gaza. Oltre 8.000 prove verificabili, tra cui video, registrazioni audio, relazioni forensi e documentazione sui social media dimostrano il coinvolgimento diretto dei soldati identificati in quelle atrocità. Le violazioni del diritto internazionale sono sotto gli occhi di tutti da più di un anno, eppure nei media statunitensi (e di conserva nei nostri) il racconto su Gaza è costantemente sbilanciato in favore di Israele.
L’anomalia è bipartisan: giornali, settimanali e tv liberal (New York Times, Cnn, Nbc) non differiscono dalla reazionaria Fox News nel sostegno incondizionato ai crimini di guerra di Netanyahu. Il pesce puzza dalla testa: in un promemoria sfuggito alle maglie della censura interna, la dirigenza del New York Times ordina esplicitamente ai suoi giornalisti di non usare parole come “genocidio”, “massacro” e “pulizia etnica” quando scrivono delle azioni di Israele. Devono anche evitare parole come “campo profughi”, “territorio occupato” o persino “Palestina” (t.ly/anUkh). Alla Cnn le cose non vanno meglio: un promemoria ordina a tutti i giornalisti di presentare Hamas (e non Israele) come responsabile della violenza; di specificare sempre “controllato da Hamas” quando scrivono del ministero della Salute di Gaza e delle cifre delle vittime civili; e di non riferire mai il punto di vista di Hamas. Nyt e Cnn hanno licenziato giornalisti che criticavano le azioni israeliane: Jazmine Hughes fu costretta a dimettersi dal Nyt dopo aver firmato un appello contro il genocidio in Palestina. E il conduttore della Cnn Marc Lamont Hill fu licenziato dopo aver chiesto la liberazione della Palestina in un discorso alle Nazioni Unite. Come mai, nei democratici Stati Uniti d’America, la libertà d’espressione viene conculcata, quando si tratta di Gaza? Per lo stesso motivo per cui gli Usa danno 5 miliardi di dollari ogni anno a Israele, spiega il giornalista d’inchiesta Alan MacLeod (MintPress, Guardian, Jacobin, Grayzone): “Israele svolge una funzione molto importante per l’impero statunitense: in pratica è un 51° Stato, un avamposto degli Stati Uniti in Medio Oriente. Serve a controllare l’area più importante al mondo dal punto di vista strategico ed economico. In Medio Oriente c’è il petrolio, cardine dell’economia moderna: chiunque controlli quel petrolio ha un potere enorme sulla società globale”. Una delle conseguenze, scoperta da MacLeod, è che negli Usa i media mainstream, ma anche i giornali locali e i social media, non trovano nulla di strano ad assumere come giornalisti, anche in ruoli apicali, ex spie ed ex lobbisti israeliani (t.ly/z7beI, t.ly/fo1DB). La sua accusa è pesante: questo network di propagandisti israeliani (sono centinaia) scrive le notizie dei media statunitensi sull’offensiva israeliana in Palestina, Libano, Yemen, Iran e Siria. Manipolano l’opinione pubblica: cancellano i crimini di Israele e creano consenso al coinvolgimento Usa nel genocidio in corso. Le ex spie arrivano dall’Unità 8200, la divisione militare israeliana che si occupa di spionaggio, sorveglianza, guerra informatica e operazioni coperte. All’Unità 8200 viene attribuita per esempio l’esplosione dei 3000 cercapersone in Libano (9 morti, fra cui una bambina, e migliaia di feriti fra i civili). Un atto definito terroristico dall’ex direttore Cia Leon Panetta; ma “un successo” secondo il giornalista Barak Ravid. Ad aprile Ravid ha ricevuto da Biden il White House Press Correspondents’ Award, uno dei premi giornalistici più prestigiosi negli Stati Uniti. Piccolo particolare: Ravid è stato un analista dell’Unità 8200 e fino all’anno scorso era un riservista Idf.
2) dal Il Fatto Quotidiano 21/11/2024
Unità 8200, gli “stenografi del potere” che fanno da megafono per Israele
Riassunto della puntata precedente: il giornalista Alan MacLeod ha scoperto che le notizie dei media statunitensi sull’offensiva israeliana in Palestina, Libano, Yemen, Iran e Siria sono in mano a un network di ex spie ed ex lobbisti israeliani che militano nelle redazioni Usa più influenti. Le ex spie arrivano dall’Unità 8200, la divisione militare israeliana che si occupa di spionaggio, sorveglianza, guerra informatica e operazioni coperte. Barak Ravid, che ad aprile ha ricevuto da Biden il White House Press Correspondents’ Award, uno dei premi giornalistici più prestigiosi negli Stati Uniti, è un ex analista dell’Unità 8200. I suoi articoli, pubblicati dal website Axios, raccontano sempre di fantomatici contrasti fra Biden e Netanyahu: “Ultimatum di Biden a Netanyahu: se Israele non cambia rotta a Gaza, ‘non saremo in grado di sostenervi’”; “Lo scontro Biden-Bibi si intensifica mentre gli Usa vengono accusati di indebolire il governo israeliano”; “Biden ha detto a Bibi che gli Stati Uniti non sosterranno un contrattacco israeliano all’Iran”.
Gli Usa sono uno dei giocatori in campo (l’amministrazione Biden appoggia i crimini di Israele inviandogli decine di miliardi di dollari in armamenti e bloccando le risoluzioni Onu favorevoli alla Palestina), ma coi suoi articoli Ravid accredita il presidente Usa come onesto intermediario nella questione mediorientale. Ravid non nasconde l’entusiasmo per Netanyahu, arrivando a scrivere che gli attacchi israeliani contro Hezbollah “non hanno lo scopo di portare alla guerra, ma sono un tentativo di raggiungere la de-escalation attraverso l’escalation” (!). Propaganda smaccata, presa di mira dalla satira in Rete (“Esclusiva Axios: dopo aver venduto a Netanyahu armamenti per miliardi di dollari, Biden mette su a tutto volume Bad Blood di Taylor Swift”), ma c’è poco da ridere. Nel 2014, 43 riservisti dell’Unità 8200 firmarono una dichiarazione: non erano più disposti a prestare servizio nell’Unità a causa delle sue pratiche immorali, che includevano la mancata distinzione tra cittadini palestinesi e terroristi. Ravid li attaccò con un intervento alla radio dell’esercito israeliano: “Opporsi all’occupazione della Palestina significa opporsi a Israele stesso”. MacLeod definisce Ravid “uno stenografo del potere”. E ne elenca altri, tutti ex spie israeliane, domandandosi: “Quale sarebbe la reazione se personaggi di spicco dei media statunitensi venissero smascherati come agenti di Hezbollah, di Hamas o dell’Fsb?”. Sachar Peled era all’Unità 8200 e ha fatto pure l’analista per lo Shin Bet, i servizi segreti israeliani. Alla Cnn lavorava con Christiane Amanpour. Adesso è Senior Media Specialist a Google. Tal Endrich, altra ex Unità 8200, era al Jerusalem Bureau della Cnn, notoriamente pro Israele. Oggi è la portavoce ufficiale di Netanyahu. Tamar Michaelis, che oggi alla Cnn produce buona parte dei contenuti su Israele e Palestina, era la portavoce ufficiale dell’esercito israeliano. Ami Kaufman, fra gli autori di Amanpour, era nell’esercito israeliano e nella Cia. Anat Schwarz, ex agente dell’intelligence aeronautica israeliana, scrisse sul New York Times “Scream Without Words”, il famigerato articolo sugli stupri di massa di Hamas che fece il giro del mondo: una balla talmente inconsistente che i giornalisti del Nyt ne presero le distanze. Numerosi anche i giornalisti Usa che, come l’editorialista del Nyt David Brooks, hanno o hanno avuto figli nell’Idf: ma, quando scrivono su Israele, i loro giornali non ne sottolineano mai il conflitto di interessi. Jeffrey Goldberg, caporedattore a The Atlantic, da volontario Idf aiutò a coprire gli abusi sui prigionieri palestinesi durante la prima Intifada. MacLeod: “Fino a che punto questi giornalisti possono essere imparziali sui fatti di Gaza?”.
3) Il Fatto Quotidiano del 22 novmbr 2024
Facebook, Tik tok o Nbc i lobbisti filo-israeliani sono nei centri essenziali
Riassunto delle puntate precedenti: il giornalista Alan MacLeod ha scoperto che le notizie dei media statunitensi sull’offensiva israeliana in Palestina, Libano, Yemen, Iran e Siria sono in mano a un network di ex spie ed ex lobbisti israeliani che militano nelle redazioni Usa più influenti. Manipolano l’opinione pubblica: cancellano i crimini di Israele e creano consenso al coinvolgimento Usa nel genocidio in corso. MacLeod: “Poiché Israele non potrebbe continuare le sue guerre senza l’aiuto americano, la battaglia propagandistica è importante quanto le azioni sul campo. Molti dei principali giornalisti che ci forniscono notizie su Israele/Palestina sono letteralmente ex agenti dell’intelligence israeliana”. Le ex spie arrivano dall’Unità 8200, la divisione militare israeliana che si occupa di spionaggio, sorveglianza, guerra informatica e operazioni coperte. Vale anche per il web: sono centinaia quelle assunte da Meta, Google, Microsoft, Amazon e TikTok. Ne è un esempio Emi Palmor, ex Unità 8200: oggi è nel Consiglio di vigilanza di Meta, il comitato che decide quali contenuti consentire e quali sopprimere sui social di Zuckerberg (Meta è accusata da Human Rights Watch di cancellare sistematicamente le voci palestinesi sulle sue piattaforme: oltre 1.000 casi di palese censura anti-palestinese solo nell’ottobre e nel novembre 2023). Un altro esempio di ex Unità 8200 a Meta è Asaf Hochman, già capo delle strategie commerciali globali di TikTok. Oltre alle ex spie, i media Usa sono una sentina di ex lobbisti israeliani. Cominciamo dalla Nbc. Ci troviamo Kayla Steinberg, che scriveva di essere “orgogliosamente pro Israele” quando lavorava all’Aipac (American Israel Public Affairs Committee), la lobby israeliana più potente negli Stati Uniti. Aipac nell’ultimo ciclo elettorale ha distribuito 100 milioni di dollari a 362 candidati sionisti: tutti eletti. E ha speso 30 milioni di dollari per battere alle primarie Jamal Bowman e Cory Bush, critici di Israele. La reporter Nbc Gili Malinsky era un’ufficiale Idf al dipartimento Relazioni pubbliche. Si occupò anche del marketing della Fidf (Friends of the Israeli Defense Forces), un gruppo statunitense che raccoglie fondi per l’Idf. Noga Even diventò manager alla Nbc dopo aver lavorato all’ambasciata israeliana negli Stati Uniti. Benji Stawsky viene dal Tamid, un gruppo che mette in contatto studenti universitari con aziende israeliane; dalla Cnn approdò alla Nbc. Il vicepresidente di Nbc Universal, Danny Bittner, era direttore regionale della Bbyo (B’nai B’rith Youth Organization), il cui motto è: “Dalla parte di Israele e del suo diritto a difendersi”. Brandon Glantz, dirigente di Nbc Universal, lavorava per la Hillel International, la più grande organizzazione universitaria ebraica. Altre lobbiste pro Israele alla Nbc: Yelena Kutikova (lavorò 3 anni alla Uja-Ny, un gruppo che raccoglie fondi per costruire insediamenti ebraici illegali in Palestina; documenti interni Uja consigliavano di diffondere la falsa notizia degli stupri di Hamas per contrastare le critiche ai massacri israeliani a Gaza); Samantha Subin: giornalista finanziaria, collaborò con il Washington Institute for Near East Policy (Winep, una costola dell’Aipac), poi col Tamid; Alana Heller (Aipac); Sara Bernstein (Hillel); Sarah Poss: era alla Anti-Defamation League (Adl), un’organizzazione che si spaccia per antirazzista, ma usa l’accusa di antisemitismo per proteggere Israele dalle critiche (per esempio etichetta come antisemite le marce pro-Palestina). Moshe Arenstein, dirigente Ms Nbc, era un ufficiale dell’intelligence Idf. Sorpresa sorpresa: dopo il 7 ottobre, Ms Nbc sospese senza spiegazioni gli unici tre conduttori musulmani, Ayman Mohieddine, Ali Velshi e Mehdi Hasan.
4) da Il Fatto Quotidiano 23/11/2024
Il New York Times, la Cnn e Fox News per la rete filo-israeliana pari sono
Riassunto delle puntate precedenti: il giornalista Alan MacLeod ha scoperto che le notizie dei media statunitensi sull’offensiva israeliana in Palestina, Libano, Yemen, Iran e Siria sono in mano a un network di ex spie ed ex lobbisti israeliani che militano nelle redazioni Usa più influenti (ne ha scovati dozzine anche nelle redazioni dei giornali locali). Manipolano l’opinione pubblica: cancellano i crimini di Israele e creano consenso al coinvolgimento Usa nel genocidio in corso. L’anomalia è bipartisan: giornali, settimanali e tv liberal (New York Times, Cnn, Nbc) non differiscono dalla reazionaria Fox News nel sostegno incondizionato ai crimini di guerra di Netanyahu. Fra gli ex lobbisti israeliani di Fox News c’è Rachel Wolf. Era nel Committee for Accuracy in Middle East Reporting (Camera), un gruppo di attivisti sionisti. Ha lavorato all’ambasciata israeliana a Washington e ha fatto la speechwriter per la Missione permanente di Israele all’Onu, dove era assistente di Netanyahu. Si è poi trasferita in Israele: era la portavoce dell’esercito (comunicati stampa, campagne sui social). Oggi è la homepage e social media editor di Fox News. Olivia Johnson era direttrice del Jewish Institute for National Security Affairs (Jinsa). Un recente rapporto del Jinsa chiede agli Usa di sostenere Israele in una guerra contro l’Iran. Dopo il Jinsa, la Johnson ha lavorato a Cbs News e ora è a Fox News. Sarah Schornstein (Aipac, Hillel, Jinsa, Camera). “Per la Camera monitoravo qualsiasi attività antisemita/antisionista nel mio campus”, ha scritto. MacLeod: “Dunque per lei antisemita e antisionista sono la stessa cosa”. Nel 2021 era alla Missione permanente di Israele presso le Nazioni Unite, dove controllava che le Ong invitate non “avessero un impatto dannoso sugli interessi israeliani”. Nicole Cooper: ex Aipac, è l’assistente del presidente di Fox News. Molti anche gli ex lobbisti israeliani alla Cnn, un tempo uno dei network giornalistici più prestigiosi. Per esempio Jenny Friedlander. Era all’American Jewish Committee (Ajc), un’organizzazione che combatte il movimento “Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni” (una campagna globale contro l’occupazione israeliana). Di recente, l’Ajc ha pubblicato l’articolo “Cinque motivi per cui gli eventi a Gaza non sono un genocidio”. Hannah Rabinowitz viene invece dall’Anti Defamation League. MacLeod: “I palestinesi si sono accorti che i servizi della Cnn su Gaza erano parziali e fuorvianti: l’anno scorso una diretta della Cnn da Ramallah è stata interrotta da dimostranti infuriati che urlavano ‘Fanculo la Cnn! Sostenete il genocidio! Qui non siete i benvenuti!’”. L’articolo di MacLeod si conclude con una rassegna di alcuni ex lobbisti in forza al New York Times. Dalit Shalom era alla Jewish Agency for Israel, che fa parte della World Zionist Organization. Sofia Poznansky lavora a stretto contatto con gruppi di pressione come StandWithUs, Adl e Hillel. Rania Raskin lavorava per il Tivkah Fund, un’organizzazione che promuove il sionismo tra i giovani ebrei americani. Raskin è l’assistente dell’editorialista Bret Stephens, che per il Nyt ha scritto articoli intitolati “L’accusa di genocidio contro Israele è un’oscenità morale”, “Hezbollah è un problema di tutti”, “Abolire l’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi” e “Hamas è colpevole di ogni morte in questa guerra”. Altri ex lobbisti sionisti in media importanti: Beatrice Peterson, ex Aipac, e Oren Oppenheim, ex Hillel, lavorano a Abc News; Erica Scott, ex Adl, e Betsy Shuller, ex Hillel, a Cbs News. Al Washington Post c’è Lisa Jacobsen: era direttrice dell’American Israeli Cooperative Enterprise, un gruppo che sponsorizza politiche Usa pro-Israele. Con la condanna di Netanyahu, i propagandisti sionisti diventano correi. Anche quelli italiani. I nomi li sapete. (4. Fine)