Dopo essere stato presentato in anteprima mondiale al 74esimo Festival di Berlino dove ha vinto il premio per il Miglior Documentario e il Premio del Pubblico nella sezione Panorama, No Other Land, diretto da Yuval Abraham, Basel Adra, Hamdan Ballal e Rachel Szor, vince il premio come Miglior Documentario alla 37esima edizione degli European Film Awards.
No Other Land, il documentario diretto da Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham e Rachel Szor, è opera di un collettivo israelo-palestinese che ha filmato per quasi dieci anni le operazioni di espulsione forzata degli abitanti di Masafer Yatta in Cisgiordania da parte dell’esercito israeliano.
No Other Land: non c’è nessun’altra terra possibile per Basel Adra, suo padre, che quando era bambino vedeva andare alle manifestazioni, e la sua famiglia prima di lui.
La comunità di Masafer Yatta è una comunità resistente, fatta di una resistenza paziente e tenace contro l’occupazione che il governo israeliano porta avanti sulle terre che generazioni di palestinesi hanno difeso: bambini, donne e anziani dormendo nelle grotte e i giovani ricostruendo le case durante la notte.
La realtà che raccontano i registi Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham e Rachel Szor è attualissima e allo stesso tempo senza tempo, è la perpetua quotidianità di una popolazione che non si arrende davanti a bulldozer, soldati, propaganda e divieti.
Alla base di tutto l’incontro tra Basel e Yuval, un giovane palestinese e un giornalista israeliano, uniti dal desiderio di denunciare l’ingiustizia. Yuval impaziente di raccontare e libero nei suoi movimenti e decisioni, Basel formato dalle lunghe attese e stretto nella morsa di checkpoint e controlli militari dell’esercito occupante, una lotta contro la deportazione pianificata dal governo israeliano e attuata dai coloni arrivati da ogni dove per colonizzare una terra con la quale non hanno nessun legame, se non una pretesa promessa messianica costruita sul nulla ed una potenza militare opprimente. È il racconto di una lotta tra gli abitanti autoctoni e i coloni che tentano di strappare la terra con ogni mezzo, dalle confische per uso militare, la costruzione di strade o l minacce agli abitanti con aggressioni, distruzione di raccolti e uccisione di bestiame.
Le riprese mostrano la distruzione delle case e gli abusi subiti dalla comunità palestinese dei territori occupati p. Il gruppo di attivisti palestinesi, sostenuto da membri israeliani, documenta la propria lotta contro l’oppressione israeliana. Basel Adra, un giovane palestinese, scopre grazie a questo progetto la possibilità di avere un grande amico israeliano, si tratta del giornalista Yuval Abraham.
Un’amicizia che si oppone all’occupazione militare, alla deportazione ed alla segregazione razziale.
Basel Adra: “Siamo un collettivo di quattro registi: io, Yuval, Rachel Szor e Hamdan Ballal. Hamdan e io viviamo a Masafer Yatta, nella parte meridionale della Cisgiordania occupata. Yuval e Rachel sono venuti nella nostra zona per svolgere il loro lavoro giornalistico. Nessuno di noi aveva esperienza di documentari, quindi abbiamo deciso di fare questo viaggio insieme come parte del nostro attivismo. Abbiamo filmato, scattato foto e scritto, e abbiamo pensato che fosse molto importante fare questo documentario per presentarlo al pubblico, soprattutto nel mondo occidentale, dove le persone non sanno chi e cosa i loro governi stiano sostenendo. E dovrebbero sapere dove vanno a finire i loro soldi e le loro armi. Servono per venire nella mia comunità e distruggere i rifugi per le pecore, i bagni e le scuole, a impedire alla gente di avere l’acqua, a costruire insediamenti e ad a cacciare noi palestinesi dalla nostra terra e darla ai coloni. Non è un conflitto, non è da entrambe le parti; non è come lo si vuole chiamare. È un apartheid, è un’occupazione. Tutte le organizzazioni per i diritti umani lo hanno detto molto chiaramente”.
Yuval Abraham: “Una parte della mia famiglia è ebrea-araba; mio nonno, che era ebreo yemenita, parlava correntemente l’arabo palestinese. Imparare l’arabo mi ha collegato alla mia famiglia e ai palestinesi che vivono intorno a me. Mi sono sentito come se, per tutta la vita, avessi avuto un occhio chiuso e non avessi visto molte delle cose che accadevano;ho aperto l’altro occhio e ho iniziato a vedere e percepire la vita sotto l’occupazione in modo diretto, perché potevo sentire le persone parlare”.