20 Gennaio 2025 di Paola Caridi (Ripreso da Invisible arabs)

Tra i 90 detenuti liberati il 19 gennaio nel primo scambio tra Israele e Hamas, c’è anche lei, Khalida Jarrar. Attivista per i diritti umani, accademica nella prestigiosa università di Birzeit a Ramallah, deputata per il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP) nelle elezioni del 2006, Khalida Jarrar è una figura molto conosciuta in Palestina. Hamas ne ha chiesto la liberazione, come di molti detenuti che non appartengono al movimento islamista: il PFLP è la fazione  più a sinistra e più laica, nella politica palestinese. La richiesta del suo rilascio conferma che la questione dei prigionieri è un dossier che riguarda l’intera società palestinese e che Hamas lo utilizza per ampliare (o consolidare) il suo consenso oltre i militanti.

 I video e le foto della liberazione di Khalida Jarrar, all’una di notte ora italiana alla periferia di Ramallah, sono scioccanti. Si ha difficoltà a riconoscere la bella, forte, curata Khalida Jarrar del periodo precedente a questa ultima detenzione nella donna piegata, sofferente, fragile che, sorretta dalla sorella, passa attraverso la folla che attendeva i detenuti, donne e minori, in buona parte in detenzione preventiva nelle carceri israeliane.

Khalida Jarrar è stata arrestata, l’ultima volta, nel dicembre del 2023. Senza accuse, in detenzione amministrativa, rinnovata ogni volta. Per sei mesi è stata detenuta in isolamento, in una cella di due metri per uno e mezzo, luce accesa 24 ore su 24, una finestrella, un letto di cemento su cui era stato messo un materasso basso, cibo non adeguato al suo diabete. “E’ come essere sepolta viva in una tomba” aveva detto Khalida Jarrar al suo avvocato.

Isolamento, sei mesi, in detenzione amministrativa, isolamento rinnovato anche nel dicembre scorso. Senza accuse. Il sesto arresto, per Khalida Jarrar, femminista, attivista per i diritti umani, per oltre dieci anni a capo di Addamer, l’associazione che difendere i prigionieri palestinesi.. L’unica condanna, quella di appartenere a una organizzazione illegale, e cioè il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina per cui era stata eletta deputata. Durante le sue detenzioni, sono morti sua padre, sua madre, sua figlia, un nipote. Non le è stato concesso di partecipare ai funerali. Ha sempre superato tutto.

Le foto di lei in tribunale, arrestata, rilasciata hanno sempre mostrato in questi dieci anni una donna di una forza incredibile. Salvo il video e le foto di stanotte (ho scelto quella scatta da Oren Ziv, uno dei più bravi e coraggiosi giornalisti e fotografi israeliani, e pubblicata sull’account instagram), una conferma di quello che le associazioni palestinesi, israeliane, internazionali per la difesa dei diritti umani denunciano da mesi: violazioni, condizioni di prigionia pesanti e pensatissime, fino ad arrivare alle torture.

Non bisognava far vedere i 90 detenuti, tutti donne e minori, alla luce del giorno. Sono stati liberati di notte, 78 di loro a Betunia, alla periferia di Ramallah, a poca distanza dal carcere israeliano di Ofer (costruito in Cisgiordania, nel Territorio Palestinese occupato) dove i detenuti erano stati raccolti per poter essere rilasciati nelle mani della Croce Rossa Internazionale. Alcuni detenuti sono stati rilasciati a Gerusalemme est, e alle famiglie è stato impedito di celebrare la liberazione.

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