A cura della redazione Anbamed
Il 30 marzo, i palestinesi in tutto il mondo celebrano la Giornata della Terra, una ricorrenza importante, che risale al 1976, quando migliaia di persone, cittadini palestinesi di Israele si mobilitarono per protestare pacificamente contro l’espropriazione di altre terre dei villaggi palestinesi in Galilea. Dura repressione della polizia israeliana che ha sparato uccidendo manifestanti inermi.
Il ricordo di quel giorno di resistenza popolare contro l’Apartheid di Tel Aviv e le sue politiche coloniali divenne la Giornata internazionale della Terra palestinese.
È un anniversario in difesa della terra palestinese dalla distruzione e dalla confisca da parte del governo di Tel Aviv. Questa ricorrenza è l’occasione per rievocare quei tragici avvenimenti del 1976, quando gli abitanti palestinesi cittadini di Israele scesero in piazza per difendere il diritto alla loro terra. Ai loro occhi, ventotto anni di occupazione della loro Palestina (1948-1976) erano stati, infatti, segnati da leggi repressive, coprifuoco, divieto di spostamento, confisca delle terre, distruzione dei villaggi, divieto di espressione e di organizzazione. Tentativi tutti di una politica che mira a cancellare ogni identità fisica, storica, culturale della società palestinese. Il governo israeliano ha scatenato quel feroce attacco contro la mobilitazione pacifica, specialmente in Galilea, per impedire quella presa di coscienza guidata da un movimento progressista.
La storia ricorda che la popolazione palestinesi, guidata allora dal Rakah, il Partito Comunista Israeliano, affrontò, quel giorno, a mani nude, le forze della repressione. Risultato: sei caduti, tra cui una donna, colpita alla testa mentre era sul balcone di casa, decine e decine di feriti, centinaia di arresti. Si apriva, così, una pagina nuova nella lotta palestinese, con una coesione popolare sempre più forte. Ed è appunto da quel 30 marzo 1976 che la lotta palestinese è lotta per il mantenimento della terra. Giornata del ricordo, quindi, che è stata celebrata in tutto il mondo, in cui i palestinesi ricordano le tragiche tappe della loro esistenza nella diaspora, rievocando i massacri di Deir Yassin (9 aprile 1948), di Kafr Qassim (29 ottobre 1956), , di Bint J’beil (Libano, 21 ottobre 1976, quando si scatenò un bombardamento israeliano su un mercato), di Khiam (marzo 1978, un bombardamento che causò oltre cento morti), di Ausay (15 marzo 1978, con un bombardamento che causò morte e distruzione), di Abbasiyah (15 marzo 1978, quando fu distrutta la moschea provocando una strage) fino all’occupazione del Libano e l’assedio di Beirut (1982).
La politica israeliana di conquista dei territori palestinesi non si è fermata con l’occupazione della Cisgiordania e Gaza nel giugno del ’67, ma continua tuttora: giorno dopo giorno con la costruzione del muro dell’Apartheid e la relativa confisca di nuovi terreni palestinesi, dividendo orti, villaggi, città, famiglie. Nuovi insediamenti vengono costruiti e i vecchi vengono ampliati.
«Ogni giorno è la Giornata della Terra». Lo ripetono spesso i palestinesi, il 30 marzo di ogni anno, mentre commemorano un evento che con il tempo ha dato ad un simbolo antico motivazioni nuove.
Ribadiamo che nel 1976, 46 anni fa, sei palestinesi (5 uomini ed una donna) della Galilea, Stato di Israele, venivano uccisi mentre cercavano insieme alle loro comunità, ed in modo pacifico, di impedire la confisca di 20mila dunom di terre della Galilea (un dunom è pari a mille metri quadrati) da parte delle autorità israeliane.
Ricordiamo al lettore che nel 1976 i palestinesi che erano riusciti a rimanere nelle loro terre, dopo la Nakbe (La catastrofe, che indica la cacciata della popolazione palestinese dalla sua terra, nel 1948), da appena un decennio erano usciti da un regime militare ventennale di vero e proprio Apartheid, imposto sulla comunità di etnia araba: coprifuoco, ghetti chiusi da cui entrare e uscire con permessi speciali, arresti, divieto di ribadire la propria appartenenza.
I palestinesi di Israele stavano ricostruendo lentamente la propria identità, andata in frantumi con la scomparsa improvvisa della nazione, della società in cui vivevano e con la creazione di uno Stato nuovo, escludente la popolazione originaria del territorio. In quel contesto, il 30 marzo 1976 segnò un punto di svolta: una lotta di massa per riappropriarsi dell’identità originaria di palestinesi e non più dell’appellativo coniato dagli israeliani: “gli arabi di Israele”.
Da allora, ogni anno, si manifesta, in ogni luogo dell’esistenza, sia in patria che in esilio: si piantano olivi, si festeggia con canti e danze, si ribadisce il legame con una terra negata. Quattro anni fa la Giornata della Terra fu l’inizio a Gaza di una lunghissima Marcia, quella del Ritorno: 18 mesi, oltre 200 morti e 10mila feriti, per lo più giovani, colpiti alle gambe e alle ginocchia dai cecchini israeliani lungo le linee di demarcazione con la Striscia. Furono anche due anni intensi, di condivisione al confine, di canti, balli, studio, delle attività organizzate dei giovanissimi nei campi creati per l’occasione.
La battaglia per la terra non è soltanto una questione simbolica. L’ultimo rapporto del Centro di Statistica palestinese di Ramalla: dal 1948 a oggi, Israele ha assunto il controllo effettivo dell’85% della Palestina storica. Il piano di ripartizione Onu del 1947 gliene assegnava il 55%. L’altro dato: i palestinesi nel mondo sono 13,7 milioni, di cui 6,2 rifugiati fuori dai confini palestinesi. Nessuno di loro, titolare del diritto al ritorno riconosciuto dal diritto internazionale, è mai riuscito a varcare i confini in senso opposto ai genitori e ai nonni.
Una lotta continua di identificazione nazionale con l’attaccamento alla propria terra: a Gaza, in Cisgiordania, in Israele dalla Galilea al Negev, realtà apparentemente lontane ma accomunate dalla perdita costante di quel che resta della propria terra: nei Territori occupati con le confische, nel deserto del Negev (Israele) con la distruzione dei villaggi beduini mai riconosciuti ufficialmente da Israele, dove qualche giorno fa il governo Bennett ha approvato la creazione di 5 colonie ebraiche.
La ricorrenza di quest’anno si commemora tristemente in un contesto internazionale e regionale molto cambiato. Dalla lotta di massa per l’affermazione dei diritti di un popolo si è passati ad azioni armate di lupi solitari probabilmente affiliati all’Isis. Il jihadsmo si ritorce contro il popolo palestinese, come avvenne a metà degli anni Novanta, allontanando con l’isolamento internazionale ogni prospettiva di liberazione. È una deriva pericolosa che il movimento di resistenza non dovrebbe assecondare, né tatticamente, né strategicamente.
In occasione di questa ricorrenza, crediamo sia compito di ogni uomo libero e democratico denunciare e condannare i crimini di guerra commessi dall’esercito israeliano contro la popolazione palestinese, per affermare e difendere il diritto alla vita e alla terra, di vivere in pace nel suo Stato indipendente e sovrano, a fianco di Israele.
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