Il 29 luglio 2013 è l’ultima data nella quale è stato visto Padre Paolo Dall’Oglio, a Raqqa, mentre si recava nella sede del governatorato della città, diventato il quartier generale del fu falso califfato. 9 anni di angoscia per la scomparsa di “Abouna”, come lo chiamavano i giovani siriani in rivolta contro la dittatura di Bashar Assad. Dedichiamo in suo ricordo un approfondimento a più voci, con il link al video realizzato dal collega Amedeo Ricuci, recentemente scomparso.
Speciale Tg1 2017/18 – Abuna: sulle tracce di Padre Paolo Dall’Oglio” – Video – RaiPlay
Libro. Comunità di Deir Mar Musa, continua e cresce. Il sogno di padre Dall’Oglio
Riccardo Maccioni lunedì 25 luglio 2022
Attraverso le testimonianze di chi ne ha accompagnato origine e crescita, un volume racconta la comunità monastica fondata dal gesuita rapito in Siria il 29 luglio 2013
Il volume “Paolo Dall’Oglio e la Comunità di Deir Mar Musa. Un deserto, una storia” di Francesca Peliti, è stato presentato ieri giovedì 28 luglio a Roma, nella sede Fnsi. Con l’autrice sono intervenuti Cenap Aydin (direttore dell’Istituto Tevere – Centro pro dialogo); la sorella di padre Dall’Oglio, Immacolata; il presidente Fnsi, Giuseppe Giulietti e padre Federico Lombardi (presidente della Fondazione vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI) che firma la prefazione del libro. Ha coordinato il vaticanista Riccardo Cristiano. I diritti d’autore derivanti dalla vendita del libro saranno devoluti alla Comunità di Deir Mar Musa.
Questa è la storia di un’assenza. Drammatica e sofferta come succede quando si tratta di un fondatore. Ma è anche il racconto di una presenza. Che si rafforza spiritualmente giorno dopo giorno. Forte delle radici di vita nuova che porta con sé. Le due dimensioni, nient’affatto contrapposte, convivono nell’esperienza di Deir Mar Musa, la comunità monastica nata in Siria dalla vocazione di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita rapito a Raqqa, forse dai terroristi del Daesh, l’autoproclamato Stato islamico, il 29 luglio 2013. Da allora il fondatore manca fisicamente ma resta un riferimento essenziale per la vita quotidiana, nella preghiera come nel dialogo interreligioso, perfino nelle scelte comunitarie più semplici, minute. Lo racconta benissimo Francesca Peliti nel libro “Paolo Dall’Oglio e la Comunità di Deir Mar Musa. Un deserto, una storia” appena pubblicato da Effatà (384 pagine, 24 euro).
L’autrice, oggi impegnata nell’azienda agricola di famiglia dopo una lunga esperienza nel settore dell’editoria e della comunicazione, lo ha costruito come una raccolta di testimonianze, attraverso cui pulsa la storia di un itinerario spirituale, per certi versi unico. «Dal giorno in cui Paolo Dall’Oglio, allora giovane gesuita, scoprì, su un’antica guida della Siria, l’esistenza di Deir Mar Musa al-Habashi, – spiega Peliti – sono molte le persone la cui esistenza è stata cambiata dall’incontro con quel luogo. Quel progetto, quella vocazione. Mar Musa ha sempre avuto il potere di attrarre anche chi non aveva una visione chiara della propria fede, ha sempre avuto il potere di evocare la chiamata, la vocazione forte e speciale per i valori che incarna e di cui Paolo Dall’Oglio si è fatto portavoce».
Le testimonianze, cui si aggiungono alcune lettere di padre Dall’Oglio compongono un affresco dalle mille sfumature in cui la memoria delle origini si intreccia con l’oggi, così da far emergere come la carica innovativa legata all’ospitalità e all’incontro con l’islam, non si sia affatto esaurita. Semmai ha modificato il perimetro del suo ancoraggio, ha raffinato il vocabolario dell’approccio all’altro, sempre però nel segno della parità, rispettosa delle differenze, che è il marchio di fabbrica del dialogo interreligioso maturo, come quello sperimentato in questo angolo di deserto…
Testimonianza. «Quell’ultima notte con padre Dall’Oglio nella cella del Daesh a Raqqa»
Riccardo Cristiano mercoledì 28 luglio 2021 (Avvenire)
Il racconto di un infermiere siriano: «Portarono un uomo incappucciato, era abuna Paolo. La mattina dopo lo presero: capirà cos’è la libertà, dissero. Poi non so cosa sia successo»
Una memoria che, di anno in anno, alimenta iniziative di dialogo interreligioso quella di padre Dall’Oglio rapito il 29 luglio del 2013 a Raqqa – in rivolta contro il regime e che stava per essere egemonizzata dal nascente Stato islamico – dove si era recato per una «mediazione». La testimonianza qui di seguito, dopo anni di silenzio, aggiunge importanti notizie sulle prime ore del rapimento.
Lui mi ha detto che posso fare il suo nome, ma preferisco citare solo le sue iniziali: A.K. Quel che conta è il racconto di questo rifugiato siriano, musulmano osservante, fuggito nel 2015 da Raqqa. Dopo un bombardamento si è messo in marcia, verso la rotta balcanica. Il viaggio che lo ha portato in Europa è durato quasi due mesi: arrivato in Germania ha fatto la sua scelta di ricollocamento.
Mi ha detto molto di quel viaggio: «I volontari? Non sai quanto siano stati importanti per me. Non solo per il cibo, ma per la forza che ti danno, è incredibile quanto conti che qualcuno ti faccia capire che la tua vita ha un valore. Quello che loro hanno fatto per noi non lo ha fatto nessun Paese musulmano. E così io ora faccio il volontario, per la Croce Rossa».
Questo mi ha interessato: con un caro amico siriano avevamo deciso di andare a sentire cosa volesse dirci su Paolo, ma i miei dubbi non li nascondo. Tanti si presentano dicendo di sapere di Paolo quel che non sanno, con molte finalità. Ma lui mi ha sorpreso perché ha subito messo in chiaro di non sapere il cognome di Paolo. «Lo chiamavano tutti abuna – padre – Paolo. E ci piaceva quel che diceva».
Il racconto: «Ero infermiere a Raqqa, e così conobbi combattenti di tutti i gruppi siriani, soprattutto quelli più attivi, islamisti o attivisti di altre idee. Erano tutti dei nostri, come noi, espressioni del popolo, impegnati nella nostra lotta contro il regime. Il Daesh no. Quando il gruppo si è rafforzato, ci ha chiesto di giuragli fedeltà, ma noi ci siamo rifiutati. Come infermieri non potevamo giurare fedeltà a nessuno, ancor meno a questi stranieri che tutta Raqqa sapeva infiltrati da tanti servizi segreti. Così una sera mi hanno arrestato perché, secondo loro, negandogli fedeltà negavo aiuto ai fratelli. Mi hanno portato in prigione, nel quartier generale».
Può darsi che per la compiacenza di qualcuno che conosceva o che aveva aiutato ed era passato con il Daesh, l’infermiere non finì negli stanzoni, ma in una piccola camera attigua. Poi portarono un altro prigioniero, incappucciato. Si tolse il cappuccio. «Era Paolo. I carcerieri ci proibirono di parlarci, ma Paolo mi ha chiesto subito dove fossimo. Glielo dissi, e lui conservò un’aria tranquilla». Qualche altra parola ed arrivò un miliziano che si piantò tra loro per interrompere quella comunicazione, «Allora ho preso a pensare a me, ero terrorizzato che mi consegnassero a quelli del regime».
Che giorno era? «Non lo so, era il 2013, durante il Ramadan». E in effetti Paolo fu sequestrato proprio durante il Ramadan.
«La mattina seguente il capo della sicurezza del Daesh, Abu Hamza Riadiyyat, ha prelevato padre Paolo dicendo con tono di scherno, malvagio, che voleva fargli capire cosa fosse la libertà di cui gli occidentali tanto parlano. Io l’ho percepita come una sentenza, ma ora penso che agire così non risponda al loro metodo. Il Daesh filmava tutte le sue esecuzioni. Comunque non so cosa sia successo dopo, ma ho sentito che lo avrebbero condannato perché lavorava nell’informazione».
Appena fu rapito si disse che i capi del Daesh erano irritati per le accuse di Paolo Dall’Oglio sui loro massacri di curdi. «Mi rilasciarono poco dopo, dicendo di non far parola a nessuno di ciò che avevo visto. Ma da tempo voglio dire che Paolo lo ha sequestrato il Daesh, benché loro ancora lo neghino. Era era un vero amico del popolo siriano: non lo possiamo dimenticare».
Lo stavo per salutare quando l’infermiere ha aggiunto: «Sai, sui profughi in Europa ho visto che da noi si scrive tanto dei maltrattamenti, che ci sono, ma non del bene che viene fatto, da tanti. Questo mettere i popoli contro non va».
Non so molto di lui, ma ho pensato che il suo tono a Paolo sarebbe piaciuto: lui non faceva gli esami del sangue al prossimo, ma diceva «umilmente, fraternamente ci opporremo agli steccati delle appartenenze bloccate».
Chi è / Il gesuita del dialogo
Paolo Dall’Oglio, 67 anni, gesuita incardinato nella Chiesa siriana, è scomparso a Raqqa. Espulso dopo 30 anni dal regime, nel lontano 1982 aveva avviato la ristrutturazione del monastero di Mar Musa, dove fondò una comunità monastica con la vocazione all’accoglienza e al dialogo con l’islam. Nonostante i numerosi appelli e l’interessamento del Dipartimento di Stato Usa che nel 2019 promise una ricompensa a chi forniva notizie, della sua sorte non si è saputo più nulla.
L’espulsione, il rientro in Siria e la sparizione
16 giugno 2012 Dopo 30 anni di permanenza, padre Paolo Dall’Oglio deve lasciare il Paese, espulso dal regime per aver appoggiato la rivolta popolare
27 luglio 2013 Il gesuita fa rientro di nascosto a Raqqa in Siria nel tentativo di aprire una «mediazione» pare per la liberazione di alcuni prigionieri
29 luglio 2013 A Raqqa, da mesi in rivolta contro il regime e dove cominciava la conquista da parte del Daesh, si perdono le tracce del sacerdote
Una pagina Fb di giornalisti che si battono per la verità sul caso di Padre Paolo dall’Oglio e sulle tematiche che riguardano la crisi siriana e il dialogo interculturale:
https://www.facebook.com/Associazione-Giornalisti-Amici-di-Padre-Paolo-dallOglio-564906517006143/
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