Fonti di Pace ringrazia le amiche e gli amici che generosamente hanno voluto contribuire per aiutare il popolo curdo così duramente colpito. Stiamo lavorando perché il vostro contributo, entro pochi giorni, vada effettivamente alle popolazioni colpite dal terremoto. Per chi volesse partecipare può effettuare un bonifico a:
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Monte dei Paschi di Siena, agenzia 37
NON SI PUO’ IMPEDIRE UN TERREMOTO, MA SI POSSONO LIMITARE I DANNI DI UN DISASTRO AMPIAMENTE ANNUCIATO. BASTA VOLERLO.
Per comprendere le dimensioni del più grande disastro degli ultimi vent’anni bisogna ricordare al disastro ventennale. Siamo di fronte a un regime che da importanza solo al profitto e che non esita la manovra per trovare qualche vantaggio anche nella tragedia.
L’arrivo al potere dell’Akp, il partito di Erdogan, non a caso ha coinciso con il triplicarsi dei permessi per la realizzazione di progetti abitativi e l’apertura di sempre nuovi cantieri in tutto il paese. Il boom dell’edilizia sostenuto da Erdogan e dal suo partito serviva a consolidare e ampliare la sua base elettorale. Ad aver tratto vantaggio dalle sue politiche urbanistiche sono state cinque compagnie legate al presidente, note come la “banda dei cinque”. Dal 1999 in poi sono state emanate una serie di norme che avrebbero dovuto rendere più stringenti i criteri di costruzione in zone a rischio sismico,
ma, è sotto gli occhi di tutti, che gli aerei non possono atterrare negli aeroporti costruiti su terreni paludosi e le strade appaltate con criteri politici si sbriciolano come biscotti.
Quelli che hanno mandato le forze armate turche a invadere la Siria, e nominato prefetti nei territori occupati come fossero sultani ottomani, esitano a inviare nelle zone terremotate l’esercito pagato con le tasse dei cittadini. E i religiosi con le Mercedes, sempre finanziati dalle tasse recitano orazioni funebri per il paese. Anche il ministro degli interni che non ha mai perso occasione di andare davanti alle telecamere, non si è fatto vedere. Quando le macerie saranno rimosse, probabilmente manderà alle vittime le forze speciali e le camionette della polizia.” (da un articolo di Dagan Irak e Diken pubblicato dell’Internazionale del 10 febbraio)
Pubblichiamo qui di seguito l’articolo di Rosella Simone:
Terremoto e cinismo del potere
Sono passati undici giorni dal terribile terremoto che ha colpito la Turchia, la Siria e, con
particolare accanimento, le regioni curde in Turchia (Kurdistan del nord). Le cifre che ci raccontano
il disastro sono impressionanti 41mila vittime e 1,6 milioni di sfollati di sfollati. Nella Siria nord
occidentale, una zona dove sono già stati ammassati nei campi profughi più di 2 milioni di sfollati
di guerra, le vittime sono più di 6000 almeno secondo i dati forniti dal governo siriano e dai ribelli
al governo di Damasco che controllano la maggior parte elle aree colpite. Numeri comunque
destinati a salire e non solo per le vittime dirette del terremoto ma per la difficoltà degli aiuti ad
arrivare in certe zone dove nel freddo più estremo mancano luce, acqua, viveri, coperte, medicine
senza parlare della recrudescenza dell’epidemia di colera. Il Congresso nazionale del Kurdistan
accusa il presidente Erdogan e la sua coalizione di governo (AKP-MHP) di ”corrotta
incompetenza”, di “malversazioni cleptocratiche”, “di incompetenza nei momenti di crisi” e
denuncia la mancata tempestività di intervento dopo il sisma che ha causato ulteriori vittimi e la
crisi umanitaria. Un Erdogan che si è fatto una associazione per affrontare la crisi terremoto
legata direttamente alla propria famiglia e impedisce alla Mezzalunarossa di volgere le necessarie
attività di soccorso. Ben sette città curde non hanno visto aiuti dal governo centrale, e lo stesso è
accaduta nelle città a prevalenza di popolazione araba,
In Siria il presidente Assad pretende, così riferiscono i soccorritori, una percentuale del 70% sulle
forniture mentre i ribelli chiedono che ogni convoglio umanitario consegni loro tutto il materiale.
Le voci sulla reale situazione sono discordanti, la televisione italiana annunciava ieri tre vie di
accesso aperte per consentire l’accesso degli aiuti nella zona di Iblid; oggi invece si parla di una
sola, il varco di Bab al Hawa che a ridosso delle scosse era rimasto chiuso per ben tre giorni,
ignobili giochi di potere. Erdogan nella sua ansia di ripulire il paese per presentarsi come efficiente
e generoso dirigente politico alle prossime elezioni nazionali ha mandato nelle zone turche le
ruspe appena dopo due giorni, operazione cinica col significato di condannare a morte certa chi
stava ancora combattendo per la vita sotto le macerie e devia gli aiuti dalle zone arabe e curde
perché la dura battaglia politica giocata da Erdogan non si ferma neanche davanti a quella immane
montagna di morti.
Nel Kurdistan colpito il 6 febbraio da due potenti scosse, una a distanza di sette ore dalla prima, ad
aiutare chi è rimasto sotto le macerie sono soprattutto volontari; esercito e altri corpi dello stato
non vanno in zona curda. Per certi versi è un vantaggio perché le comunità organizzate subito
mobilitate per liberare i sepolti vivi ancora scavano e trovano vite sotto quell’ammasso di polvere
che sono ormai i palazzi costruiti dagli impresari collusi con il potere. Palazzi che avrebbero dovuto
adottare misure antisismiche e che invece sono un cumulo di detriti di sabbia dal quale emergono
poche esili strutture di metallo attorcigliate. La popolazione accusa, per ora ancora sottovoce,
Erdogan per aver “rubato i fondi destinati alla preparazione al terremoto”. Secondo il Congresso
nazionale kurdo “L’alleanza al potere AKP_MHP sta usando il terremoto come bomba per
distruggere le città che i militari turchi non hanno spazzato via durante gli assalti del 2015 e del
2016 usando i droni per attaccare militarmente i curdi del Rojava”. E passa sotto colpevole
silenzio il cessato il fuoco deciso unilateralmente dal PKK per poter affrontare con un grande
sforzo di tutti il disastroterremoto e “trasformare quella tragedia in una opportunità di pace per
tutta la regione”.
Intanto, dal marzo 2021, non si hanno notizie del leader kurdo Mohammad Ocalan in carcare da
24 anni e rinchiuso a regime di carcere duro, sotto la tortura dell’isolamento, nell’isola di Imrali. A
settembre 2022 il Comitato contro la tortura era stato autorizzato a visitarlo ma non a rilasciare
dichiarazioni, per cui nulla si sa di quel prigioniero, della sua salute fisica e psichica.
Di fronte alla prepotenza, al cinismo e all’ingordigia di potere che non vacilla neanche di fronte a
una tragedia delle proporzioni di quella che ha toccato la Turchia e la Siria viene anche a noi come
a Gianni Tognoni Segretario generale del Tribunale permanente dei popoli di chiederci se “la vita
dei popoli fa parte dei diritti” riconosciuti dalla collettività umana o se bisogna impegnarsi per
ricostruire un mondo dei diritti.
Ma il disprezzo per la vita umana altrui ha un prezzo che, prima o poi, il popolo turco chiederà ad
Erdogan di pagare, magare non subito ma appena riuscirà a sollevare gli occhi dal suo grande
dolore.
Per donare aiuti mirati alle popolazioni curde versate il vostro contributo a:
1.La mezzaluna rossa curda (www.mezzalunarossakurdistan.org/)
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